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Il Mali nel gorgo di un conflitto regionale

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L’offensiva islamista in Mali del 10 gennaio ha preso di sorpresa tutti. L’Occidente delle cancellerie che vive di dichiarazioni di principio, le forze panafricane, gli analisti. L’ammissione è dello stesso Romano Prodi, inviato speciale ONU per il Sahel, che si trovava a Bamako per partecipare a due riunioni proprio nel giorno del nuovo attacco fondamentalista: l’obiettivo era nuovamente una mediazione tra le parti con i ben noti ingredienti di sviluppo economico, ma la notizia che gli islamisti stavano puntando verso sud sulla città di Mopti ha dato una sveglia collettiva azzerando l’agenda. La nuova situazione ha forzato l’opzione militare francese.

Il presidente Hollande ha così deciso l’inizio dell’operazione “Serval” (dal nome del gattopardo desertico del Sahel), che ha portato alle prime vittime tra i miliziani islamisti e alle prime due vittime francesi (un militare e un ostaggio). L’intento di Parigi, sulla carta, è triplice ed è stato enunciato dal capo di Stato maggiore francese, ammiraglio Edouard Guillaud: arrestare l’offensiva islamista verso sud; garantire l’integrità territoriale maliana; preparare il terreno per le forze militari panafricane cui spetterà la campagna di terra.

Il primo proposito è scontato, e sottolinea tuttavia l’impreparazione diplomatica occidentale: si è infatti minacciata per mesi una campagna verso il nord coordinata con le forze dell’ECOWAS e ci si è invece trovati a dover reagire ad un attacco verso sud che puntava alla capitale Bamako.

Il secondo proposito sfiora l’ovvietà, ma cerca di nascondere la sostanziale impotenza a concepire un piano sostenibile di riconquista territoriale, anche in presenza di un ampio mandato ONU.

Il terzo proposito è l’unico che sembra reggere ad un’analisi stringente e trova riscontro nei raid aerei che non si sono limitati all’area del recente attacco, ovvero Konna e Mopti, ma hanno interessato anche Kidal e Gao.

La Francia, con l’appoggio inglese grazie all’invio di mezzi d’aviazione, opera per ora principalmente dal cielo, lasciando al contingente panafricano l’ardua impresa via terra. È convinzione diffusa (anche nell’opinione pubblica e negli osservatori sul campo) che i militari africani saranno costretti a entrare nella tana del lupo e dovranno scovare i miliziani casa per casa, nascondiglio per nascondiglio.

Infatti, quello che è apparso con evidenza subito dopo i primi raid francesi è la scomparsa dei fondamentalisti, rientrati nei loro nascondigli e mimetizzatisi alla perfezione con le popolazioni civili. Questa tattica renderà via via ininfluenti le missioni aeree lasciando all’offensiva di terra le sorti del conflitto. Non è una buona prospettiva, anche perché i francesi si sono accorti, come peraltro sospettavano, che i fondamentalisti delle diverse sigle (Ansar Dine, MUJAO) dispongono di armamenti sofisticati, in parti provenienti dall’ex arsenale libico ma in parte confluiti nel Sahel dai labili confini di Burkina Faso, Ciad e Mauritania.

Insomma, l’Occidente ha peccato sinora di ottimismo, sottovalutando la determinazione dei fondamentalisti a consolidare le proprie posizioni spingendosi addirittura oltre la linea Maginot del Sahel (Diabaly è infatti caduta in mano ribelle). Si sta dunque allargando il conflitto regionale, mentre è stato giustiziato un ostaggio francese nelle mani dei ribelli da mesi (uno 007 addestratore di Parigi che si era registrato in un hotel di Bamako con la copertura di giornalista), e sono state minacciate azioni terroristiche di rappresaglia sin nel cuore di Parigi. Il quadro è complicato dal fatto che anche gli alleati africani dell’Occidente sono in una posizione delicata e non hanno il totale controllo delle rispettive situazioni interne.

Per le sue implicazioni politiche e diplomatiche, l’iniziativa islamista è in realtà la notizia più rilevante: molto più della risposta francese, che se dovesse esaurirsi nel giro di pochi giorni avrebbe tutti i caratteri di una semplice rappresaglia. Ciò ha in un solo colpo reso nulli mesi di colloqui tra i paesi africani. Così il summit ECOWAS fissato per il 19 gennaio ad Abidjan dovrebbe finalmente partorire una linea comune, anche se le tensioni interne di ciascun paese e le contraddizioni nel gestirle non lasciano ben sperare. Per quel che concerne l’Europa, la Germania ha già fatto capire a Francia e Gran Bretagna come la soluzione diplomatica sia la sola opzione vista con favore da Berlino. Intanto Romano Prodi ha annunciato che busserà, più che alla porta, alla cassa di Pechino e Mosca per raccogliere fondi a sostegno del Sahel.

L’unico fattore che, ad oggi, potrebbe alterare il quadro delle possibili operazioni militari future sarebbe il passaggio delle forze tuareg musulmane laiche (del nazionalista MNLA, in una parola) dalla parte dell’Occidente. Come si coniugherebbe questo clamoroso cambio di campo rispetto alla richiesta di autonomia del movimento (che ha proclamato l’indipendenza dell’Azawad al principio della destabilizzazione maliana), è la grande incognita e in effetti la cruciale posta in gioco: solo così infatti le truppe panafricane e i loro alleati occidentali potranno approfittare della quasi leggendaria esperienza dei guerrieri tuareg e sperare di sconfiggere la truppa islamista. L’MNLA è stato nei mesi scorsi di fatto estromesso al potere dai fondamentalisti di Ansar Dine, un tempo loro alleati, e quindi oggi rappresenta una risorsa potenziale, nonostante la sua natura separatista. È questa probabilmente la sola carta della strategia congiunta Occidente-ECOWAS, visto il ruolo per ora molto marginale degli Stati Uniti, per nulla ansiosi di aprire un nuovo fronte operativo.

Intanto nuovi rifugiati, in una regione che denuncia una già critica situazione umanitaria, si dirigono verso il primo confine utile, quello Mauritano. Il Burkina Faso ha chiuso il proprio confine per drenare un eventuale nuovo esodo di popolazioni in fuga dai bombardamenti e dalla legge islamica che ormai si è imposta al nord. Il sud del Mali è sempre più impaurito e impreparato, nonostante l’intervento francese e l’accresciuta attenzione internazionale.