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La vigilia del secondo turno egiziano: un presidente di minoranza?

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Un voto a sorpresa sembra chiudere la stagione della primavera egiziana, per consegnare il paese in mano a un gattopardo del deposto rais o a un islamista della Fratellanza musulmana. Secondo i  sondaggi pre-elettorali, a sfidarsi al ballottaggio del 16 e 17 giugno dovevano essere Amr Moussa, ex segretario generale della Lega Araba già ministro degli Esteri dell’ex presidente Hosni Mubarak, e Abdel Moneim Abu el Fotouh, islamista riformista espulso dalla Fratellanza dopo la sua decisione di correre come indipendente. Gli elettori egiziani hanno però scelto uomini dalle tinte più forti, preferendo a questi due candidati centristi Ahmed Shafik, premier dell’ultimo governo Mubarak, e Mohamed Morsi, leader del partito della Fratellanza.  

Rimpiazzo del più carismatico Khatir al Shater, Morsi è stato sottovalutato da quanti hanno dimenticato che è l’unico candidato ad avere alle spalle un vero e proprio partito. La Fratellanza aveva già rodato la macchina elettorale in occasione delle parlamentari dello scorso novembre e, grazie alla fitta rete di relazioni che ha soprattutto nei territori rurali, ha aiutato Morsi a vincere il primo turno con il 25% delle preferenze.

Il 24% degli elettori che ha scelto Shafiq proviene da classi sociali molto diverse. Infatti, nei lussuosi alberghi del Cairo dove si sono riuniti i sostenitori dell’ex premier si sono trovati anche amici dei figli del deposto rais. È questo uno dei motivi per cui su Shafiq pesa l’accusa di essere un fulul, un’eredità colluso con il del vecchio regime. Ciononostante, secondo l’analista Emad Eddin Hussein, il consenso di Shafik “non viene tanto dai membri del passato regime, ma da quella fetta di popolazione che ha smesso di sostenere la rivoluzione quando ha temuto che diventasse caos.”  

A prima vista sembra quindi che la rivoluzione del 25 gennaio 2011 sia la grande sconfitta, ma un’analisi più approfondita mostra alcune sorprese. Una delle più interessanti è il terzo posto raggiunto da Hamdin Sabbahi, il candidato nasserista che ha ottenuto il 22% delle preferenze. Socialista, considerato dai sondaggi un outsider accreditato a meno del 10%, Sabbahi ha raccolto il voto dello zoccolo duro della rivoluzione e di quei lavoratori che lo hanno ritenuto l’unico in grado di realizzare gli obiettivi della rivolta di piazza. Sabbahi è riuscito dove Abu el Fotouh non è arrivato. Presentandosi come il presidente dell’unità, quest’ultimo sperava di raccogliere i voti dei giovani attivisti, degli islamisti moderati e dei salafiti che lo avevano scelto in seguito all’esclusione del loro candidato. A mostrare che queste aspettative erano inattendibili sono i risultati in alcune enclavi salafite come Alessandria e il quartiere cairota di Imbaba, dove Abu el Fotouh è stato superato da Sabbahi che si è imposto nelle principali località urbane. Il sostegno ricevuto dai salafiti ha poi fatto perdere a Abu el Fotouh i voti di molti cristiani che, intimoriti da un’ascesa islamista, gli hanno preferito Shafiq.

Se si sommano i voti di Sabbahi a quelli di Abu el Fothou, emerge poi un dato significativo: il 40% degli elettori ha scelto un candidato proveniente dalle istanze rivoluzionarie che non sono riuscite però a finalizzare perché hanno corso separatamente. A perdere non é stato tanto lo spirito di Piazza Tahrir, quanto la capacità degli attivisti di tradurre il loro messaggio politico in termini di organizzazione politica, sopratutto in fase di campagna elettorale.

Anche se un eventuale successo di Morsi al secondo turno farebbe dell’Egitto un paese sotto il controllo dei Fratelli musulmani, i risultati delle urne mostrano che gli islamisti stanno perdendo terreno a discapito dei liberali, forti del 55% dei consensi. Nelle scorse parlamentari, le forze islamiste avevano ottenuto il 70% delle preferenze, mentre a questo primo turno di presidenziali hanno conquistato solo il 43%. Gli islamisti hanno perso sia in governatorati nei quali sono storicamente forti, come Shaqyia e Dahqahlia, che nelle zone turistiche del Mar Rosso in cui la popolazione teme le ricadute economiche di politiche eccessivamente conservatrici.

In aggiunta, questi risultati mostrano che la visibilità mediatica può a volte rivelarsi un boomerang che fa perdere voti ai candidati eccessivamente sotto i riflettori. Abu el Fotouh e Amr Moussa sono stati infatti gli unici ad affrontarsi in un dibattito televisivo seguito da milioni di elettori: evidentemente troppo pochi sono rimasti convinti dalla loro performance.

Gli eventi delle ultime settimane hanno poi confermato che è Shafiq il personaggio più vicino al vecchio regime, visto che Moussa (con solo l’11% dei voti raccolti), pur essendo un funzionario di Mubarak, non ha potuto contare sull’effettivo sostegno della vecchia guardia. L’ex premier si è invece imposto proprio nella regione del delta del Nilo dove si trovano membri del dissolto Partito Nazional Democratico, che cercano di riorganizzarsi per riprendere potere.

A sostenere Shafiq sono anche le famiglie dei militari che sperano in avanzamenti di carriera, e i vertici stessi dell’esercito che lo ritengono l’uomo in grado di cambiare il volto dell’Egitto, pur non intaccando il ruolo centrale dei militari. Molti elettori egiziani, delusi da questo primo verdetto, sono indecisi sul da farsi. Importanti intellettuali come lo scrittore Alaa al Aswany, noto per le sue posizioni laiche, hanno annunciato che pur di salvare la rivoluzione sosterranno Morsi. La sentenza che sabato scorso ha condannato l’ex presidente Mubarak all’ergastolo potrebbe in realtà facilitare il compito di Shafiq: la punizione inflitta al capo del vecchio regime sembra infatti mostrare un’epurazione dell’intera struttura autoritaria, ma molti la ritengono soltanto una mossa programmata dai militari per convincere i cittadini che vi è stato un reale cambiamento rispetto al passato. Tra questi, cresce così il numero di quanti pensano di votare scheda bianca o di  boicottare il ballottaggio.

È quindi probabile che il primo presidente dell’era post-Mubarak godrà di fatto del sostegno di una minoranza della popolazione. È per questo che la piazza sta già iniziando a fare sentire nuovamente la sua voce.