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La Turchia come hub: la chiave per l’accesso europeo al gas naturale?

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Nell’ultimo decennio la rincorsa mondiale fra le economie emergenti e i Paesi occidentali per l’accesso alle riserve di gas naturale in Asia centrale ha rilanciato il ruolo della Turchia come Paese di transito. Il governo “islamico-conservatore” di Recep Tayyip Erdogan, eletto nel 2003, ha puntato decisamente ad integrare ulteriormente la Turchia nel sistema industriale europeo – ponendo al centro del suo mandato l’ingresso nella UE. Nel quadro di tale strategia si inserisce il tentativo di sviluppare il Paese come un hub regionale per il transito del gas centro-asiatico (dai cosiddetti “Stan”) diretto non solo alla UE, ma anche ai paesi mediorientali e nord- africani, il cui fabbisogno sta crescendo rapidamente.

La sostenuta crescita economica turca, associata ad un trend demografico in netta ascesa, ha fatto aumentare nel corso degli ultimi anni i consumi energetici del Paese. Si stima che al 2030 (quando gli abitanti saranno circa 90 milioni), i consumi aumentino di oltre il 6% all’anno. Attualmente nel mix energetico del paese il gas rappresentando un cospicuo 29% della domanda nazionale, con una diminuzione del 10% nei consumi di petrolio negli ultimi vent’anni. Tuttavia Ankara importa la quasi totalità del gas dalla Russia, che da sola fornisce oltre il 50% delle importazioni turche di idrocarburi.

La crescita nel consumo di gas ha comportato negli ultimi otto anni un raddoppio delle dimensioni della rete di distribuzione, gestita dalla compagnia energetica nazionale Botas. Contemporaneamente il governo di Erdogan ha iniziato una mirata azione diplomatica nei confronti dell’establishment iraniano, interessato a uscire dall’isolamento internazionale e di capitali per sviluppare la propria industria del gas. I due Paesi hanno firmato accordi per la fornitura del gas e la realizzazione di centrali idroelettriche. Allo stesso tempo, il governo di Ankara ha indetto a inizio 2010 una gara d’appalto per la costruzione della prima centrale nucleare sul proprio territorio, destando l’interesse di molti gruppi occidentali (canadesi, francesi, statunitensi) e asiatici (sud-coreani e giapponesi).

Una strategia multi-direzionale
Nel tentativo di aumentare la pressione negoziale per l’adesione all’Unione Europea, Ankara ha sviluppato un’audace politica energetica che mira a sviluppare la Turchia come un hub regionale per il transito del gas, ma anche del petrolio. In questo contesto si inquadrano gli accordi con Russia e Italia per la realizzazione del gasdotto South Stream, che collegherà direttamente la Russia all’Italia attraverso le acque territoriali turche, nonché quelli con Austria, Bulgaria e Romania per la costruzione del Nabucco (fortemente voluta da Bruxelles) per ricevere gas proveniente dai Paesi centroasiatici. A questi progetti si devono aggiungere gli accordi firmati per la realizzazione del gasdotto ITGI-Poseydon, che  collegherà la Turchia all’Italia attraverso la Grecia, e il possible prolungamento del Blue Stream per permettere la fornitura del gas russo a Israele.

Nonostante i già notevoli investimenti infrastrutturali compiuti, la Turchia è ora costretta a migliorare anche la propria rete interna di gasdotti e aumentare la capacità di stoccaggio sul proprio territorio. Alla luce di tali necessità, il ministro dei trasporti starebbe considerando l’opportunità di sviluppare il trasporto ferroviario del Gas Naturale Liquefatto (GNL) e la realizzazione nell’area di Tuz Golu (nella Turchia sud-orientale) di siti di stoccaggio sotterranei per il gas. Intanto Ankara lavora anche sul settore petrolifero: nella seconda metà del 2009, il governo di Erdogan ha tenuto dei colloqui con i Ministri del Petrolio siriano Al-Alaw e del Qatar Hamad al-Thani, per discutere la realizzazione dell’Arab Gas Pipeline – infrastruttura che dal 2011 dovrebbe permettere il trasporto in Turchia di petrolio dai giacimenti off-shore egiziani – e altri possibili progetti per il trasporto delle risorse del Golfo. Ankara è inoltre riuscita a instaurare una reale collaborazione industriale con l’Iran, causando peraltro una certa irritazione nei confronti dei suoi alleati occidentali: sono stati sottoscritti, oltre ad accordi per la fornitura di gas, un accordo per lo sfruttamento dei giacimenti iraniani di South Pars, considerati fra i più ricchi dell’area.

Le implicazioni per l’UE
Tale attivismo ha come diretta conseguenza un forte interesse della UE per una maggiore integrazione della Turchia nel mercato energetico europeo, al fine di assicurarsi l’approvvigionamento del gas situato negli “Stan”. Il governo di Ankara rappresenta per l’Europa l’unica opzione per diversificare ulteriormente le proprie rotte di approvvigionamento tramite la realizzazione di un quarto corridoio energetico che si andrebbe ad aggiungere ai tre già esistenti (Nord Africa, Russia e Norvegia). Solo con l’accesso diretto al gas centro-asiatico, infatti, i gruppi europei potranno entrare in competizione con Gazprom per la fornitura di gas. La compagnia di stato russa, a causa di mancati investimenti in nuovi giacimenti sul territorio nazionale, è costretta ad acquistarlo dagli “Stan” per rispettare i contratti di fornitura siglati proprio con i gruppi europei.

Alla luce di tale situazione, appare sempre più chiara l’esigenza per l’Unione Europea di chiarire e consolidare il proprio travagliato rapporto con la Turchia, sviluppando contemporaneamente una politica energetica di lungo periodo che miri a rafforzare le relazioni con i Paesi produttori. Una strategia che dovrà quindi combinare nuovi accordi e investimenti delle imprese europee in loco, incentivi per la costruzione delle nuove infrastrutture di trasporto, e un rilancio della più ampia partnership economica con la Turchia. Il rischio è altrimenti che il persistere delle resistenze europee sull’adesione di Ankara all’UE, associato alla debolezza della politica energetica europea, spinga di fatto il governo di Erdogan a dare maggiore enfasi allo sviluppo di nuovi accordi infrastrutturali per la fornitura di gas ai paesi mediorientali. Se ciò accadesse, l’UE si troverebbe in condizioni perfino peggiori di oggi, perdendo una grande occasione per ridurre la dipendenza dalle forniture russe. Sviluppare forme di stretta integrazione con la Turchia è ormai diventata una questione direttamente connessa agli interessi dei consumatori europei.