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La proiezione internazionale della Germania: un momento delicato

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Secondo una recente statistica della BBC, anche quest’anno la Germania è il paese più popolare al mondo, con il 62% degli intervistati che valutano la sua influenza come “positiva”. Questo risultato rende i tedeschi molto fieri del proprio impegno civile negli ultimi decenni. L’amore per la Germania sarebbe il risultato di una politica accorta di azione esterna, della prontezza ad assistere finanziariamente i paesi in difficoltà, e dal lavoro costante delle fondazioni politiche e di quelle impegnate nei progetti di sviluppo, con uffici territoriali sparsi nei maggiori paesi in crescita.

Eppure, alcune delle mosse tedesche in politica estera denunciano ancora forti incertezze. La recente vicenda della vendita di una partita di 200 carri armati “Leopard 2” all’Arabia Saudita è stata gestita malissimo, portando parte dell’opinione pubblica a sospettare che il governo volesse tener nascosta l’operazione. Prima di questo episodio, all’inizio dell’intervento occidentale in Libia la Germania non è riuscita a coordinarsi con gli alleati, e ha lasciato la guida delle operazioni alla Francia – nonostante una presenza industriale tedesca importante nel paese africano, come quella dell’azienda petrolifera Wintershall. Ancora prima, quando Karl-Theodor Von Guttenberg era ministro della Difesa, un’operazione di bombardamento in Afghanistan ha causato 142 vittime civili, e soprattutto è stata seguita da un maldestro tentativo d’insabbiamento da parte di alcuni generali.

Con la crisi dell’euro, poi, è emersa in tutta evidenza la situazione di forte disequilibrio finanziario, in cui Francoforte si è ritagliata una posizione di vantaggio grazie a tassi d’interesse bassi e una spinta alle sue esportazioni. La prontezza a disporre finanziamenti per evitare i default altrui sarebbe dovuta a un obbligo morale contratto nel corso degli ultimi dieci anni di forte crescita. Berlino manterrebbe volentieri la sua posizione di preminenza commerciale nel continente – in marzo c’è stato il record storico nelle esportazioni -, ma ormai anche il governo ha riconosciuto che l’assetto monetario, così com’è, non è sostenibile. Gli aiuti ai paesi europei in difficoltà sono basati sulla logica del male minore: costa di meno dare i soldi alla Grecia, o far fallire alcune grandi banche? È un interrogativo pregnante, in cui la questione morale sul passato recente – aver goduto dei vantaggi dell’euro – si intreccia con un rischio assai pratico e reale – subire le conseguenze dell’esplosione degli squilibri. Una critica molto accesa è arrivata anche dallo Spiegel a inizio luglio, in un articolo a firma di Wolfgang Ischinger, ex-diplomatico, nel quale si criticava la tendenza tedesca al mantenimento dello “status quo”, piuttosto che a una politica attiva di leadership politica, soprattutto a livello europeo.

Appare chiaro, insomma, che quella sorta di “benign neglect” (nell’espressione usata da Ischinger) che ha caratterizzato l’azione internazionale della Germania sta incontrando i suoi limiti, e adesso il paese deve dimostrarsi in grado di esprimere capacità attiva di guida e coordinamento. La timidezza tedesca nell’attuale contesto ha radici e motivazioni antiche. Si dice spesso della storia tedesca che la politica estera di Berlino, per circa un paio di secoli, sia stata orientata unicamente alla conquista e al conflitto con gli altri nazionalismi europei. Schiacciata dalla manovra congiunta franco-inglese, che impiegava la Russia come altro polo dell’ordine europeo, e sfruttata dagli abili giochi politici dell’Austria-Ungheria, la Germania ha trovato per un lungo periodo nelle armi l’unica forma possibile di espressione internazionale, fino agli orrori dell’ascesa nazista.

La considerazione che la maggior parte dei tedeschi oggi ha per le componenti più deboli della società, l’impegno finanziario e umano nei progetti di sviluppo, e la questione morale che ancora fa parte dei dibattiti intellettuali, spiegano che il complesso nazista è in via di superamento – senza una rimozione storica che sarebbe pericolosa, ma con una sorta di assorbimento. Se non sarà Berlino a impegnarsi per una vera politica estera, sarà il resto del mondo a chiederla a Berlino, e il cambiamento arriverà comunque.

È chiaro che molte scelte recenti in politica estera sono giustificate solo da fini di politica interna, ma il peggior errore che la Germania potrebbe compiere in questo momento sarebbe quello di adottare una visione miope sugli sviluppi finanziari europei. L’euro è stato un’iniziativa tedesca, e la Germania ha voluto fortemente l’ingresso nell’unione di paesi come Italia e Spagna, per evitare che assorbissero troppo del risparmio tedesco e dovendo invece sottostare a precisi limiti in termini di deficit. L’Europa si è fidata della Germania, che finalmente nel nuovo millennio ha visto riconosciuto un vero ruolo di leadership. Voltare le spalle alle vittime dell’euro sarebbe un atto scellerato, che la Germania sconterebbe per decenni. E lo sconterebbe tutta l’Europa.