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La Grecia nell’occhio del ciclone

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In un anno in cui è in gioco l’intera struttura dell’eurozona, la Grecia è notoriamente il paese che corre il maggiore rischio di default. Il governo di Atene, che ha già ricevuto 110 miliardi dall’Europa nel 2011, ha bisogno di ulteriori aiuti per rimborsare, entro il prossimo 20 marzo, bond per un valore pari a 14,4 miliardi di euro. Gli aiuti europei sono però condizionati dal raggiungimento di un accordo tra il governo di Atene e gli investitori privati che porti a una ristrutturazione del debito greco. Privati e banche detengono circa 200 dei 350 miliardi di debito greco; la parte restante è detenuta da istituzioni pubbliche, tra cui la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale. Entrambe stanno premendo perché si giunga in tempi stretti a un accordo tra l’Institute of international finance (Iif) – l’ente che rappresenta gli investitori privati – e il governo ellenico.

Charles Dallara, il capo negoziatore dell’Iif, ha tuttavia dichiarato che, se si vuole raggiungere un accordo, anche i creditori pubblici dovranno accettare il medesimo haircut che verrà chiesto agli investitori privati. I negoziati si sono arenati attorno alla quota dei tassi di interesse da versare, che la Grecia vorrebbe sotto il 3%. Un’intesa appare tuttavia necessaria: altrimenti, vi sarebbero pesantissime perdite per gli investitori, sia pubblici che privati, e l’intera zona euro correrebbe il rischio di collassare per la crisi di sfiducia che ne deriverebbe.

Per giungere a un accordo, gli investitori privati chiedono però rassicurazioni rispetto alla compattezza della maggioranza che sostiene l’esecutivo guidato da Lucas Papdimos e sullo stato del dialogo tra le parti sociali. L’attuale primo ministro, chiamato a guidare un governo di transizione lo scorso novembre, è sostenuto da una maggioranza assolutamente inedita formata da Pasok (centro-sinistra), Nea Demokratia (centro-destra) e Laos (destra confessionale). Nonostante i leader dei tre partiti abbiano più volte ribadito il loro sostegno al governo, l’avvicinarsi delle elezioni politiche, che si dovrebbero tenere in primavera, ha fatto emergere le prime crepe nella maggioranza.

La lunga campagna elettorale vede favorita Nea Demokratia, guidata da Antonis Samaras. Secondo un recente sondaggio tuttavia, questo partito non riuscirebbe ad avere una maggioranza assoluta, attestandosi al 30,5% dei voti, mentre il Pasok subirebbe un vero tracollo arrivando al 12%, superato di misura da Alleanza di Sinistra, dai comunisti del KKE e da Syriza (un’altra coalizione della sinistra radicale). Da questi dati appare evidente una forte perdita di credibilità delle forze politiche che si sono alternate alla guida del paese negli ultimi decenni, ritenute le principali responsabili della crisi: se Nea Demokratia sembra tuttavia contenere le perdite, la situazione è più pesante per il Pasok (il cui leader Papandreou ha già annunciato che lascerà la guida del partito) che rischia una vera e propria emorragia di voti verso le forze posizionate alla sua sinistra.

Non a caso Alexis Tsipras, presidente del gruppo parlamentare di Syrizia, ha recentemente ribadito la necessità di dare vita a un fronte comune tra quelle forze della sinistra che contestano l’attuale piano concordato da Atene con la Troika (Ue, Bce e Fmi). Le prossime elezioni rappresentano dunque un’incognita per il futuro del paese e rischiano di creare condizioni di forte instabilità politica.

Ciò non deve sorprendere se si pensa al modo in cui i partiti hanno gestito l’economia del paese negli ultimi anni e agli effetti della crisi sulla società greca. Lo stesso governatore della Banca centrale greca, Giorgos Provopoulos, ha affermato che la crisi si sarebbe potuta evitare se i governi che hanno retto il paese nell’ultimo decennio avessero varato per tempo le misure necessarie e avessero preso sul serio gli avvertimenti che venivano dalla Banca centrale.

Il clientelismo ha invece determinato un aumento spropositato dei dipendenti pubblici, con costi enormi per l’intera collettività. Non è un caso che proprio nel settore pubblico si siano verificati i tagli maggiori, con una forte riduzione del numero degli impiegati e degli stipendi, diminuiti in media del 30%. Inoltre, la Grecia sconta un altissimo tasso di evasione fiscale, che negli anni ha sottratto alle casse dello stato centinaia di miliardi di euro. A tale proposito va sottolineata la scelta dell’attuale esecutivo di pubblicare online i nomi di ben 4.152 grandi evasori che non hanno versato all’erario quasi 15 miliardi di euro: una cifra superiore al 5% del Prodotto interno lordo greco e pari a quella che la Grecia dovrà pagare per i bond che scadranno il prossimo marzo.

A pagare il prezzo più alto della crisi sono comunque i cittadini, colpiti pesantemente dalla crescita della tassazione indiretta, dalla riduzione degli stipendi e dalla perdita dei posti di lavoro. A tale proposito basti ricordare che, secondo uno studio condotto dall’Istituto statistico ellenico (Elstat), già nel 2009 (secondo anno di recessione per la Grecia) oltre tre milioni di cittadini vivevano sotto la soglia della povertà, ovvero un quarto della popolazione, e che il 50% di essi aveva un reddito annuale di poco superiore ai cinquemila euro.

Accanto alle difficoltà dei singoli ci sono quelle delle imprese, molte delle quali hanno cessato le attività nel corso dell’ultimo anno. Ė interessante notare che a essere colpiti sono stati anche il settore turistico, tradizionale forza trainante dell’economia greca, e quello dei media, che ha visto la chiusura, tra gli altri, di Eleftherotypia, il secondo quotidiano più venduto del paese. I media scontano soprattutto la forte riduzione delle entrate pubblicitarie.

Un effetto collaterale della crisi è stato anche l’aumento della criminalità. La disoccupazione e l’impoverimento, che ha colpito in modo particolare i molti immigrati presenti nel paese, hanno favorito una crescita dei reati. La polizia, dal canto suo, vede ridurre notevolmente la propria capacità di intervento e di contrasto alla criminalità disponendo di mezzi ridotti rispetto al passato.

Il 2012 è dunque un anno di cruciale importanza per la Grecia. Il primo obiettivo da raggiungere è senza dubbio l’accordo con gli investitori privati per la ristrutturazione del debito; il paese dovrà poi intraprendere quelle riforme strutturali capaci di ridurre la spesa pubblica, l’evasione fiscale e il lavoro nero, ma anche di creare le condizioni per una ripresa della crescita e un aumento dei posti di lavoro.

La Grecia dovrà anche valutare una riduzione delle sue forti spese militari, pari al 3% del Pil nel corso degli ultimi cinque anni. Nel 2012 è previsto invece un ulteriore aumento del 18%, a fronte di tagli del 9% allo stato sociale. La tensione con la Turchia è servita in passato a giustificare la crescita di queste spese, ma la mutata situazione politica e il miglioramento dei rapporti tra i due paesi, sono elementi che oggi potrebbero spingere il governo a rivedere le proprie politiche di difesa. Appare paradossale, poi, che la Germania sia uno dei principali fornitori di armi alla Grecia: una spesa che costa al paese ellenico diversi miliardi di euro ogni anno.

Ciò dimostra, una vota di più, una delle carenze di fondo dell’Unione Europea: l’incapacità di agire come soggetto politico unitario, dato il condizionamento ancora troppo forte degli interessi nazionali. Un maggiore coordinamento tra gli Stati della UE è davvero cruciale al fine di ottimizzare le risorse indispensabili per rilanciare il loro sviluppo.