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La Spagna e il suo nuovo governo di fronte alla crisi

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Il governo spagnolo presieduto da Mariano Rajoy ha circa un mese di vita. Generalmente, si è soliti attendere i canonici «cento giorni» per le prime valutazioni delle scelte di un esecutivo, ma i tempi sempre più accelerati della politica contemporanea permettono di formulare già ora alcune considerazioni in merito all’attività del nuovo gabinetto conservatore.

Il quadro nel quale si trova ad operare è noto. Sul terreno economico, la crisi ha condotto il Paese alla crescita zero, ad un altissimo tasso di disoccupazione (22,85% – dati dell’ultimo trimestre 2011), ad un forte deficit (le stime per il 2011 dicono 8% sul Pil) e al conseguente aumento del debito pubblico (trenta punti percentuali in tre anni: dal 39.9% del 2008 a quasi il 70% sul Pil del 2011). Sul piano politico, il Partido Popular gode di un amplissimo spazio di manovra, grazie a una comoda maggioranza assoluta in Parlamento e al controllo della quasi totalità dei governi delle Comunità autonome – molto influenti nel sistema spagnolo.

Il quadro politico va completato tenendo conto di due altri fattori. In primo luogo, il momento difficile che sta attraversando il principale partito d’opposizione, quello socialista, appena all’inizio di una lunga traversata del deserto in cerca della credibilità perduta. Inoltre, gli artigli spuntati della terza forza politica (per influenza), i nazionalisti catalani di Convergència i Unió, che hanno bisogno dei voti dei popolari nella Generalitat, dove governano in minoranza: con questo handicap, difficilmente alzeranno la voce contro il PP nello scenario statale.

I conservatori di Rajoy hanno dunque la forza, in questa fase, per assumere misure impopolari, con un impatto anche maggiore di quelle che criticavano nei mesi scorsi, stando all’opposizione. Del resto, l’esperienza suggerire di concentrare i cambiamenti «più dolorosi» proprio all’inizio della legislatura, in modo che siano un ricordo il più lontano possibile al momento del ritorno alle urne. E tuttavia, un Paese non vive di sole elezioni nazionali: a fine marzo si terranno le regionali in Andalusia, la più grande Comunità autonoma dello stato spagnolo, da trent’anni governata dal Partito socialista. Questa circostanza ha indotto sinora i populares a mantenere un profilo prudente prima di annunciare i «sacrifici necessari». C’è perciò da attendersi che solo dopo la probabile conquista (stando ai sondaggi) dell’ultimo storico bastione socialista, il Governo sveli per intero le proprie intenzioni, mettendo da parte ogni residua prudenza.

Malgrado ciò, i provvedimenti assunti dopo il primo Consiglio dei ministri dopo Natale sono tutt’altro che leggeri. A fare da stella polare c’è l’obiettivo di contenimento del deficit, fissato al 4,4% sul Pil per il 2012; la linea direttrice è il contenimento della spesa, ma non manca un aumento della pressione fiscale. L’austerità si applica dunque a tutti i ministeri, senza eccezione; risulta particolarmente colpito il capitolo di spesa della ricerca scientifica e dell’innovazione, materie che hanno subito un declassamento anche in termini simbolici: è scomparso il ministero a loro dedicato, sostituito da un semplice segretariato di stato nell’ambito del dicastero dell’economia. Gli impiegati pubblici vedono aumentare l’orario settimanale e congelarsi gli stipendi, mentre viene bloccato anche l’aumento del salario minimo interprofessionale.

Completano il catalogo dei tagli gli interventi su tre norme-simbolo del precedente esecutivo di José Luís Rodríguez Zapatero: il permesso di paternità resta di due settimane invece che di quattro, il sostegno alle persone dipendenti nel 2012 non verrà esteso a nuovi beneficiari, e il «reddito di emancipazione» dei giovani (210 euro mensili di contributo per l’affitto) non verrà rinnovato. Sul versante delle entrate, va segnalato tra l’altro un gravame complementare applicato a tutte le aliquote Irpef, che porterà, ad esempio, una famiglia con due figli e con un reddito di 30mila euro a pagare (secondo le stime governative) circa 150 euro in più all’anno.

In questo inizio d’anno, dimostrare di «fare sul serio» per perseguire l’obiettivo sul deficit fissato in sede comunitaria è ciò che più importa al governo di Mariano Rajoy. È comunque convinzione diffusa che tale obiettivo sia impossibile da raggiungere: lo stesso ministro delle finanze, Cristóbal Montoro, se l’è lasciato volontariamente sfuggire in più di un’occasione, venendo regolarmente corretto dalla severa vicepresidente Soraya de Santamaría. Al di là delle dichiarazioni da protocollo, infatti, la strategia dell’Esecutivo conservatore è chiara: mostrare di non avere timore nell’adottare misure di austerità per guadagnare potere contrattuale in sede europea, riuscendo a convincere Bruxelles (ma si dovrebbe dire Berlino) che nemmeno con le migliori intenzioni la Spagna potrà raggiungere il risultato del deficit al 4,4% nel 2012.

Anche le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, peraltro, confermano la difficoltà dell’impresa, situando il disavanzo di quest’anno su un più realistico 6,8%. Per conquistare la fiducia dei soci comunitari e dei «mercati», inoltre, i conservatori spagnoli hanno in serbo degli ulteriori cambiamenti nella legislazione sul lavoro, già modificata dal governo socialista; l’argomento è cruciale, se si considera che in ogni occasione utile Angela Merkel riconduce le difficoltà di crescita e competitività alle «rigidità» del mercato del lavoro di cui patirebbero i paesi periferici. Da ultimo lo ha fatto proprio nel suo primo incontro ufficiale con Rajoy, appena tenutosi a Berlino, in cui la Cancelliera ha addirittura lodato preventivamente le «riforme» in materia che ha intenzione di fare il collega spagnolo. Benchè di concreto non si conosca ancora nulla.

Qualche segnale, per la verità, arriva dalle parti sociali, che – contro le aspettative dei più – hanno firmato un accordo, giudicato positivo dal governo. Moderazione salariale, flessibilità interna alle imprese e possibilità di far prevalere il contratto aziendale su quello di settore sono alcuni degli elementi fondamentali del patto fra sindacati e imprenditori, salutato, forse con eccesso di enfasi, come «uno dei più importanti della storia democratica del Paese» da parte della Ministra del Lavoro Fátima Báñez.

Difficilmente, però, il nuovo esecutivo si accontenterà dei risultati raggiunti dal «dialogo sociale»; in più occasioni suoi esponenti hanno parlato della necessità di un nuovo modello contrattuale che si ponga l’obiettivo di eliminare il dualismo tra impiego stabile e precario. Ma agire su quel fronte comporterebbe quasi sicuramente una reazione da parte dei sindacati, finora apparentemente intenzionati a non alterare eccessivamente la pace sociale. Un rischio che il Partido Popular potrebbe voler correre solo dopo le elezioni di marzo in Andalusia, per evitare che dalla conseguente mobilitazione possano trarre beneficio gli avversari socialisti.