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La Germania e gli aiuti alla Grecia: la linea incerta

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Mentre la Grecia precipita sempre più rapidamente verso il baratro del default, in Germania l’establishment politico ed economico continua a dividersi sul ruolo che dovrebbe assumere Berlino nella gestione della crisi. Da un anno e mezzo l’esecutivo tedesco, sopraffatto dalle priorità di politica interna, manca di una a bussola in grado di orientare i mercati. Gli operatori sembrano semplicemente impazziti per le dichiarazioni contrastanti di ministri e capi di Stato europei, che si accavallano di settimana in settimana.

Sia chiaro: non è certo prerogativa soltanto tedesca quella di aver diffuso incertezza sulla sorte di Atene e degli altri paesi periferici. Ad esempio, a inizio luglio uno dei massimi assertori di bailout più o meno incondizionati, il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker, informava la Süddeutsche Zeitung che la speculazione avrebbe potuto attaccare prima l’Italia della Spagna, date le condizioni economiche e finanziarie del Belpaese. Detto, fatto: i differenziali tra i titoli di Stato italiani sui Bund tedeschi si sono impennati e sono, ancora oggi, ai loro massimi storici.

Non trovando il bandolo della matassa dell’eurocrisi, la signora Merkel ha preferito intanto assicurare un’altra tranche di 12 miliardi di aiuti alla Grecia (la quinta tranche fino ad oggi). Allo stesso tempo, la cancelliera e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, hanno fatto sapere di spingere per una soluzione che coinvolgesse le principali banche tedesche a rinnovare i titoli in scadenza seppure con termini di rimborso peggiorativi. L’accordo è stato raggiunto per una somma pari a 3,2 miliardi di euro, circa il 70% delle loro proprietà, sebbene da più parti si sia affermato che il grosso problema in caso di default sarebbe l’alta esposizione degli istituti di credito francesi e tedeschi in Grecia e che tale esposizione, dunque, andava ridotta.

La netta sensazione è che la priorità fosse prendere tempo, e che la situazione sia ormai talmente incancrenita da non lasciare grossi margini di intervento. Tutti sembrano coscienti del fatto che Atene è un colabrodo fiscale, ha altissimi livelli di spesa pubblica inefficiente, elevati tassi di corruzione e una bassa produttività del lavoro.

Il momento della verità – per gli ellenici, ma a dire il vero anche per la credibilità di Angela Merkel – pare rinviato a dopo l’estate, quando il parlamento tedesco sarà chiamato a votare sull’ESM (European Stability Mechanism), il nuovo fondo salva-Stati che entrerà in vigore nel 2013. La disciplina del fondo è stata preparata dal Consiglio Europeo in questi mesi e dovrà ora essere approvata come una normale modifica ai trattati. Alcuni deputati tedeschi promettono battaglia. È il caso di Frank Schäffler, il parlamentare dell’FDP, (da noi intervistato per Aspenia online nel 2010) che, secondo i media tedeschi, avrebbe già riunito un piccolo drappello di ribelli interni alla maggioranza giallo-nera per affossare la legge. Ne bastano venti, spiegava Der Spiegel l’altro ieri.

Se non dovesse farcela Schäffler, potrebbe forse arrivare lo stop dalla Corte costituzionale di Karlsruhe, che ha da poco aperto ufficialmente il caso con la prima udienza pubblica. Il ricorso alla Corte è un’iniziativa di alcuni noti accademici euroscettici, tra cui il giurista Karl Albrecht Schachtschneider e l’economista Joachim Starbatty, i quali sono del parere che il governo, di concerto con i vertici della Commissione, starebbe violando sia la legge fondamentale sia il diritto comunitario. Quest’ultimo risulterebbe violato all’articolo 125 del Trattato di Lisbona, che esplicitamente esclude una garanzia finanziaria per i singoli Stati membri. La legge fondamentale sarebbe invece violata all’articolo 38, posto a protezione del principio democratico: le decisioni prese a Bruxelles inciderebbero infatti sul futuro del bilancio tedesco, senza che il voto del Bundestag possa incidervi. Questi, in estrema sintesi, sono dunque i termini del problema.

Che il ricorso possa avere successo è comunque estremamente improbabile. Al di là di considerazioni tecnico-giuridiche, da ormai un anno presidente della Corte c’è un convinto europeista di tendenze socialdemocratiche, Andreas Voßkuhle. Anche Der Spiegel, in un reportage uscito in questi giorni, ipotizza che Karlsruhe dia il via libero definitivo, fissando al massimo dei paletti per bailout eccessivamente generosi e privi di condizioni. Troppo grande sarebbe infatti il peso della responsabilità nel caso in cui una pronuncia negativa facesse crollare Atene. Anche per la Corte costituzionale, la scelta sarà probabilmente di passare la patata bollente.