international analysis and commentary

Le missioni nell’epoca dell’austerità

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Una riflessione sulle missioni internazionali a cui l’Italia partecipa era da tempo dovuta. Per tre ragioni. La prima è che alcune di queste missioni stanno esaurendo la loro funzione (Kosovo) o non stanno raggiungendo gli obiettivi iniziali (Afghanistan): in linea di principio, è giusto che le missioni internazionali siano regolarmente riviste. Seconda ragione: nessuna politica estera seria può continuare a fondarsi sull’uso – improprio – delle missioni internazionali come unico strumento per difendere il “rango” dell’Italia nel mondo. È giusto che sia così? Risponderei di no. Le missioni internazionali, infatti, hanno finito per diventare un surrogato di quello che non c’è ma dovrebbe esserci: una visione chiara e selettiva delle nostre priorità nel mondo e dei vari strumenti per difenderle. Terza ragione: nell’epoca dell’austerità, il costo delle missioni internazionali non è trascurabile, anche perché penalizza altri aspetti importanti della politica estera. Si impongono delle scelte su come distribuire risorse scarse.

Partirei quindi di qui: che l’Italia riesamini le missioni internazionali è giusto. Almeno in teoria. Nei fatti, come ha sottolineato il capo dello Stato, è giusto se l’Italia prenderà le decisioni operative che ne conseguono all’interno delle coalizioni internazionali di cui fa parte. Perché se invece decidesse in modo unilaterale, vanificherebbe gli sforzi degli ultimi due decenni, incluso il sacrificio di giovani vite umane.   

Questo ragionamento vale anche per gli altri paesi europei. Parlando all’Aspen Institute la settimana scorsa, il ministro degli Esteri della Polonia, Radek Sikorski, ha spiegato in che modo una capitale super-atlantica come Varsavia intende rivedere nei prossimi mesi, in accordo con Washington e la NATO, i suoi impegni in Afghanistan. Una traiettoria di progressivo disimpegno occidentale è ormai cominciata in Asia centrale. In Kosovo, la missione internazionale sta arrivando – dopo oltre un decennio – alla sua faticosa conclusione. In Libano, il ruolo dell’Italia, che è stato di primo piano nella fase iniziale, può essere ridimensionato. L’Occidente nel suo insieme, a dieci anni dall’11 settembre, vive una fase di parziale ripiegamento. Sia perché esistono, anche per gli Stati Uniti, vincoli economici più rilevanti di prima; sia perché i risultati dell’interventismo democratico sono fino ad oggi deludenti.

Il problema è che tutto ciò non venga scambiato, in Italia, con l’illusione di potersi finalmente disintessare della sicurezza internazionale. Più di altri paesi, l’Italia resta vulnerabile ed esposta, sul piano geopolitico: una linea “alla Svizzera” non esiste, per noi. Non solo: la riduzione della presenza americana in Europa, ci obbligherà a fare di più per la stabilità ai nostri confini. Comunque vada a finire la strana guerra di Libia. Conclusione: taglieremo, nei prossimi due anni, i costi dell’Afghanistan ma dovremo aumentarli nel Mediterraneo. Mentre si ripensano le vecchie missioni internazionali, è importante esserne consapevoli.

Questa scelta – la concentrazione degli sforzi nelle aree di instabilità ai confini dell’Europa – è una risposta parziale ai vincoli economici. Ma quali ne sarebbero i costi politici? Riducendo i suoi impegni militari globali, l’Italia perderà anche rango? Non è detto. Nel sistema internazionale di oggi, in realtà, il rango di un paese non dipende tanto o soltanto dagli impegni militari globali. Usando un linguaggio da economisti, si potrebbe sostenere che la partecipazione alle missioni internazionali offre benefici marginali più bassi che in passato. Mentre aumenta il peso della credibilità economica, sia interna che globale. La tentazione che ne deriva, naturalmente, è di considerare la solidità fiscale come priorità esclusiva: è ovvio che non esiste fattore altrettanto importante per il rango del nostro paese. Come si è appena visto, tuttavia, l’Italia non può permettersi un ripiegamento domestico. Deve quindi trovare un nuovo equilibrio fra vincoli interni e sicurezza esterna: un equilibrio che l’Italia, come del resto nessuno dei paesi europei, potrà mai basare su scelte solo nazionali.   

Anche per questa ragione, perché la sicurezza attorno a noi sarà europea o non sarà, l’Italia deve restare un partner credibile. Che può ridurre i vecchi oneri internazionali; ma che non potrà sottrarsi ai nuovi impegni che si profilano, economici e militari. Che l’Italia possa chiudersi in casa è quanto di più lontano ci sia dalla realtà del XXI secolo.