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La Germania che guarda oltre l’UE

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La Germania ha deciso di non partecipare all’operazione Odissea dell’Alba in Libia, la cui legittimità giuridica trova fondamento nella risoluzione 1973, approvata dal Consiglio di Sicurezza il 17 marzo scorso. Alla conta finale, la Repubblica federale tedesca, quale membro non permanente del Consiglio, ha optato per l’astensione, assieme a Russia, Cina, India e Brasile. In Germania la discussione sulle ragioni che hanno indotto l’esecutivo tedesco a questa scelta è cominciata molto tardi, ossia solo qualche giorno dopo il voto. I media si sono spaccati, l’opposizione è andata in frantumi, e anche nella maggioranza c’è stata qualche voce di dissenso. Perché la Germania ha fatto mancare il proprio appoggio al blocco occidentale? E soprattutto: perché i tedeschi hanno nuovamente impedito che l’Unione Europea parlasse con una voce sola?

Il ministro degli Esteri Guido Westerwelle (FDP) aveva dichiarato in un primo tempo di condividere in linea di principio l’idea di una no-fly zone sui cieli della Libia, purché ricevesse l’ok di Lega Araba e Nazioni Unite. In un’intervista all’emittente televisiva ARD, Westerwelle ha chiarito di rispettare la decisione di Francia, Regno Unito e Stati Uniti, ma che d’altra parte: “Abbiamo imparato dalle esperienze della storia recente che gli attacchi aerei non vanno necessariamente a buon fine e il passo successivo diventa spesso quello di mandare dei soldati. In altre parole, si rischia di entrare in un conflitto dal quale si riesce ad uscire solo dopo molti anni. È stato così in Afghanistan, è stato così in Iraq”. Senza contare che “a livello internazionale ci impegniamo già molto: abbiamo più di 7.000 soldati in tutto il mondo”.

Anche la critica di isolazionismo viene respinta al mittente: “Comprendo le ragioni di chi ci chiede di intervenire. Ma io devo pensare anche al nostro paese: il governo federale non può inviare soldati in tutti quei paesi – e non si tratta solo della Libia – nei quali vi sono simili violenze”. E sulla posizione comune dell’Europa chiarisce: ”Non siamo i soli a dire di no. Anche la Polonia, un altro grande ed importante paese, non parteciperà”.

Sulla base di queste poche parole è già possibile trarre qualche conclusione di fondo.

In primo luogo, la Germania non ha piena fiducia sul fine reale della missione. Lo dimostra il fatto che, nell’intervista, Westerwelle parli della cacciata di Gheddafi come dell’obiettivo principale. Le discussioni febbrili degli ultimi giorni (e il testo stesso della risoluzione ONU) sembrano indicare qualcos’altro, tutt’al più un “cessate il fuoco”, ma sappiamo che spesso le Risoluzioni sono state in qualche misura forzate. Restando quindi dei dubbi sullo scopo concreto dell’operazione libica, e sulle modalità tecniche per il suo raggiungimento, la Repubblica federale ha preferito un approccio prudenziale, memore appunto delle esperienze degli ultimi anni. Berlino dubita peraltro dell’efficacia delle operazioni a comando NATO: quasi contestualmente all’astensione, la Repubblica federale ha infatti scelto di sottrarre le proprie fregate di stanza nel Mediterraneo alla guida dell’Alleanza atlantica. Una mossa che sembra voler dire: non ci fidiamo. A parziale compensazione, su un teatro diverso, si è poi scelto di destinare 300 soldati alle missioni di ricognizione con aerei AWACS sui cieli afgani.

Prudenza, quindi, come virtù appresa dalla storia degli ultimi sessant’anni. Afghanistan e Kosovo a parte, Berlino ha sempre agito da Stato mediatore. Prima di mandare i propri soldati in zone di guerra ha sempre ponderato a lungo la scelta, non ha mai fatto parte di ”coalizioni di volenterosi” e ha preferito proporre misure palliative come l’embargo (opzione rivisitata anche in questa circostanza). Se è vero che la CDU è sempre stato il partito relativamente più interventista, ciò non si può dire dell’FDP. Si ricordi ad esempio il suo voto contrario al pur piccolo contributo tedesco nella missione ONU in Libano nel 2006. Nel centrodestra tedesco non ci sono insomma falchi conservatori.

In terzo luogo, ci sono le ragioni elettorali. Con un’opinione pubblica che ha tendenzialmente introiettato questa gestione cauta della politica estera e che quindi rifiuta gli interventi armati, il governo federale non se l’è sentita di aprire un nuovo fronte militare. Già l’Afghanistan è un cruccio non da poco per l’esecutivo. Con le elezioni alle porte in Sassonia-Anhalt, Renania-Palatinato e Baden-Württemberg, il duo Merkel-Westerwelle ha preferito non esporsi troppo. Resta il fatto che ridurre tutto alla questione elettorale sarebbe parziale e riduttivo, proprio perché le prime due considerazioni più generali influenzano il dibattito politico e i sondaggi.

Infine, va detto che la Germania, a differenza della Francia, ha interessi economici ed energetici nella regione relativamente limitati. Se è vero che Parigi tenta di sostituirsi a Roma nella gestione degli idrocarburi libici, Berlino guarda altrove. Non al Mediterraneo, ma ai BRIC. Ed è proprio con i BRIC che la Germania ha trovato l’accordo astensionista al Consiglio di Sicurezza. La vicenda libica conferma, in sostanza, che Berlino sta da tempo mollando gli ormeggi dal Vecchio Continente per coltivare sempre più una proiezione economica internazionale. I suoi interessi, energetici e non solo, li vuole proteggere in Russia, in Cina, in India e in Brasile. Non ha bisogno della Libia.