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La fiducia tedesca in Angela Merkel

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E’ stato un voto di fiducia nella leadership di Angela Merkel, piuttosto che nel suo partito: anche la CDU/CSU ha perso consensi (è oggi al 33,8%, contro il quasi 37% della legislatura precedente), sebbene la grande sconfitta delle elezioni sia la SPD, al suo minimo storico dal 1945 in poi (23% contro il precedente 36%). 

Il sistema politico tedesco appare trasformato. La Grande Coalizione ha in effetti segnato il passaggio dal sistema bipolare del passato – la prevalenza di due grandi partiti di massa – a uno scenario più frammentato, con l’aumento del peso dei partiti minori. Che sono i veri vincitori delle elezioni, assieme a Angela Merkel.

Sia i Liberali (14,7%) che i Verdi (10.7%) che la sinistra di Die Linke (11,9%) sono cresciuti in modo notevole. A sinistra, ciò spiega l’erosione di consensi della SPD e pone alla socialdemocrazia tedesca la questione di fondo: se continuare ad escludere un’alleanza nazionale con i Verdi e Die Linke. Il dibattito post-elettorale, nella SPD, verterà anche su questo.

Nel centro-destra, l’affermazione della FPD di Guido Westerwelle permette la coalizione di governo che era stata mancata nel 2005. Secondo le indicazioni di Angela Merkel, il nuovo governo tedesco dovrà essere formato entro il 9 novembre, anniversario della caduta del Muro di Berlino. Westerwelle sarà vice-cancelliere e, quasi certamente, Ministro degli Esteri.

Cosa cambierà nelle politiche della Germania?

In politica economica, l’ingresso di un partito liberalista e pro-business metterà alla prova la ricetta – stimolo, per quanto tardivo, e aiuti di Stato – con cui Angela Merkel ha fronteggiato la crisi economica. Resta da vedere, vista l’entità del deficit, in che misura il nuovo governo potrà ridurre le tasse, come annunciato nella campagna elettorale. E in che misura cambierà linea, come sarebbe auspicabile, sul nucleare civile. Resta poi il problema di fondo: con un modello di crescita orientato sull’export e con una riluttanza di fondo a nuovi stimoli fiscali, la Germania non riesce effettivamente a funzionare da traino della ripresa europea. Mentre contribuisce ai grandi squilibri globali.

In politica estera, Westerwelle sarà un Ministro senza esperienza – anche se tenterà di imparare in fretta, ispirandosi al modello del suo più illustre predecessore, Hans-Dietrich Genscher. L’apprendistato del nuovo Ministro degli esteri tedesco avverrà in una fase particolarmente delicata per le relazioni con la Russia, la gestione della crisi nucleare con l’Iran, il futuro della missione in Afghanistan. Westerwelle, che è stato critico sull’accordo Opel-Magna, appare favorevole a ridimensionare il rapporto fra Berlino e Mosca in campo energetico e industriale; e ha già dichiarato che appoggerà le sanzioni all’Iran (la Germania è fra i negoziatori del P-5 più uno). Sono scelte gradite a Washington. Lo è di meno la richiesta di Westervelle, in campagna elettorale, di fissare un limite temporale alla missione in Afghanistan.

Ma più che dirci qualcosa sull’orientamento dei liberali, la fine della Große Koalition ci dirà molto sulle scelte di Angela Merkel stessa, sia in campo economico che internazionale. Fino ad oggi, Angela ha potuto giustificare alcune sue posizioni controverse attribuendole ai vincoli della coalizione con la socialdemocrazia; da domani non potrà più farlo.

Diventerà quindi più chiaro quanto le relazioni con la Russia, la condanna del modello anglo-sassone, la difesa dell’economia sociale di mercato, la politica degli aiuti di Stato e così via, fossero scelte dettate anche dalla coabitazione con Steinmeier; e quanto invece riflettano propensioni reali della cancelliera venuta dall’Est. Perché, in questo secondo caso, la coalizione con i liberali non sarà semplice da gestire. Neanche con il metodo pragmatico e misurato che spiega il successo personale di Angela Merkel.

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