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La Carta di Roma sui diritti in Internet

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Per molti è un grande motivo di orgoglio, per altri poteva sviluppare qualche potenzialità in più. Certamente la Dichiarazione dei diritti in Internet, presentata il 28 luglio alla Camera, ha rappresentato per l’Italia una sfida ambiziosa: sintetizzare sensibilità diverse in un documento lungimirante, su una materia che è per sua stessa natura soggetta a continue innovazioni. Con la Dichiarazione l’Italia si è posta al centro del dibattito internazionale in materia digitale e si è posizionata fra i paesi apripista nell’elaborazione di una Carta sulla Rete, di ispirazione costituzionale e con ambizioni sovranazionali.

Il Brasile è stato il primo paese al mondo, lo scorso aprile, a tramutare in legge l’Internet Bill of Rights e proprio lì, il prossimo novembre, all’IGF (Internet Governance Forum), il documento italiano verrà presentato. Lo farà Stefano Rodotà, Presidente della Commissione Parlamentare ad hoc che ha elaborato la Dichiarazione, alla presenza anche di Tim Berners Lee, inventore del World Wide Web. Per un anno hanno lavorato, riuniti nella Commissione, undici parlamentari e tredici esperti, che hanno sottoposto la prima bozza del documento agli utenti con una consultazione pubblica. La versione finale è il risultato di questa interazione fra la Commissione e i cittadini, che in cinque mesi hanno effettuato 14.000 accessi alla piattaforma e sono intervenuti con quasi 600 commenti. A settembre la Carta verrà sottoposta con una mozione al voto del Parlamento, dopo il quale costituirà ufficialmente una guida di indirizzo per il governo – per poi passare al vaglio internazionale.

È composta da quattordici articoli: riconoscimento e garanzia dei diritti; diritto di accesso; diritto alla conoscenza e all’educazione in rete; neutralità della rete; tutela dei dati personali; diritto all’autodeterminazione informativa; diritto all’inviolabilità dei sistemi, dispositivi e domicili informatici; trattamenti automatizzati; diritto all’identità; protezione dell’anonimato; diritto all’oblio; diritti e garanzie delle persone sulle piattaforme; sicurezza in rete; governo della rete.

“In questa Carta, rivolta soprattutto ai giovani, abbiamo affermato i diritti dell’utente digitale – ha detto la Presidente della Camera, Laura Boldrini, durante la conferenza stampa – in particolare attraverso l’articolo 2, che garantisce il diritto all’accesso, un diritto fondamentale della persona, nonché condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale, e l’articolo 3, sul diritto alla conoscenza e all’educazione in Rete: le istituzioni devono assicurare l’uso e la diffusione della conoscenza in Rete come bene accessibile e fruibile da ogni soggetto”.

Anche uno scenario mutevole come il Web ha bisogno di regole, non minute, ma di principi in prospettiva, ha sottolineato il Presidente Rodotà, durante la presentazione, puntualizzando che l’obiettivo della Carta è costruire una cittadinanza nell’era di Internet: “Senza diritti non c’è cittadinanza – ha detto – e senza cittadinanza non c’è democrazia”. Il Presidente ha poi aggiunto che, sebbene la Carta non abbia valore giuridico, ha una portata culturale rilevante, una validità politica – che si esplicherà al momento della votazione in Parlamento – ed è alla base di innovazioni normative. D’altra parte anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (alla cui stesura lui stesso partecipò) ispirò migliaia di sentenze, prima ancora di assurgere al rango di norma giuridica.

Com’era prevedibile, giuristi, personalità di spicco del mondo dell’informazione, esperti di Web e stakeholder, dopo la pubblicazione del documento hanno dato vita a un dibattito che probabilmente durerà quanto la Dichiarazione stessa. Il consenso è quasi unanime riguardo molti aspetti: la portata culturale del documento, la metodologia partecipativa (che ha previsto per la prima volta l’apertura di un atto parlamentare ai cittadini) il riconoscimento della Carta come atto indispensabile per ribadire e fissare certi diritti fondamentali (articoli 1, 2 e 3), e la volontà di porre il paese in prima fila nella conversazione globale sul digitale. Ma naturalmente non è mancato chi ha sollevato certe criticità.

Riguardo il diritto all’oblio, da un lato viene considerata positiva l’eliminazione della necessità di pubblicare in Rete la lista delle richieste, che avrebbe sortito l’effetto opposto, cioè di rendere pubblico quel che i richiedenti chiedevano di cancellare; dall’altro lato, alcuni la ritengono una disciplina troppo limitata: la dichiarazione, infatti, non tocca il tema della rimozione di contenuti dai siti sorgente, ma si limita a prendere una posizione esclusivamente sulla deindicizzazione dai motori di ricerca.

Altri hanno notato un certo paternalismo nell’articolo sulla tutela dei dati personali, il cui comma 5 dice che “il consenso non può costituire una base legale per il trattamento, quando vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento”. L’approvazione dell’utente insomma, secondo alcuni, dovrebbe giustamente bastare di per sé.

Da più parti poi è arrivata la critica rispetto a una troppo tiepida affermazione della libertà di manifestazione del pensiero: il concetto è stato espresso solo una volta e relegato all’ultimo comma del penultimo articolo, quello sulla sicurezza in Rete, piuttosto che essere espresso in una previsione apposita. La motivazione addotta dalla Commissione in sede di consultazione pubblica, che la tutela di tale libertà fosse sottesa, come principio di fondo, a tutti gli articoli, non ha convinto fino in fondo i critici, che ritenevano opportuna una maggiore incisività.

Altri intravedono nella Carta un difetto congenito, che minerebbe alla base la sua ambizione costituzionale, una parzialità politica che avrebbe impedito al documento di farsi portavoce di sensibilità diverse: la Carta non menziona le potenzialità produttive della Rete, né le libertà economiche, mentre avrebbe i suoi assi cartesiani nella tutela dell’utente da rischi derivanti da disparità economiche, e nel diritto di accesso, che viene annoverato fra i diritti fondamentali, come accade già in altri paesi (nei quali, però, ciò è già definito per legge, Estonia, Francia, Grecia, Finlandia, Ecuador, Spagna).

“Ci sono molte cose positive in questa Carta dei diritti – dice Renata Avila, campaign manager di Web We Want alla World Wide Web Foundation – poiché’ sancisce l’accesso come diritto fondamentale, riconosce l’importanza di Internet per la democrazia e pone al centro l’accesso all’informazione, la conoscenza e la cultura. La neutralità della rete non è solo protetta, ma vista come una precondizione per godere degli altri diritti”.

Per i prossimi passi bisogna guardare innanzitutto a cosa accadrà in Italia. È auspicabile che la dichiarazione venga tradotta al più presto in norme vincolanti per raggiungere il suo pieno potenziale e per far si che l’Italia si presenti all’appuntamento con il futuro come sognato e progettato in questi dodici mesi di lavoro: come un paese capofila dell’innovazione giuridica in tema digitale e ispiratore di principi democratici e inclusione sociale. In una parola, di una visione costruttiva e lungimirante.