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La Birmania in transizione vista dall’Europa

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Per un anno la Birmania sarà esentata dalle sanzioni europee (con l’esclusione dell’embargo sulla vendita di armi), a seguito dell’ingresso di Aung San Suu Kyi in parlamento. La scelta dei ministri europei, di cautela rispetto alla totale cancellazione delle misure sanzionatorie, guarda con attenzione alle riforme che si attendono dal paese. Nonostante  la schiacciante vittoria della leader dell’opposizione con l’82% dei voti lo scorso aprile, si sono infatti già verificate le prime tensioni: Aung San Suu Kyi non si è presentata alla prima seduta del parlamento, non condividendo le parole del giuramento che ogni deputato è tenuto a pronunciare. Secondo la leader dell’opposizione, alla promessa di “salvaguardare” la Costituzione, dovrebbe infatti essere sostituita la promessa di “rispettarla”. Ovviamente lo scontro non è solo terminologico, ma sottintende la volontà di San Suu Kyi di modificare una Costituzione che per gli ultimi cinquant’anni è stata lo strumento usato dai militari al potere per tutelare i propri interessi. 

Se Aung San Suu Kyi è stata costretta agli arresti domiciliari per vent’anni, quasi cinquanta milioni di birmani sono stati prigionieri di un regime dittatoriale che ha affamato il popolo, favorito la corruzione degli apparati statali e il prevalere di un’economia illegale, legata in particolare al traffico di droga e di esseri umani. Per far uscire il paese dallo stato di indigenza, la sospensione delle sanzioni è il primo passo da parte di una comunità internazionale ancora titubante a credere davvero che il regime permetterà un’effettiva democratizzazione. Con la rimozione delle misure restrittive, 800 imprese potranno tornare ad investire in Birmania in diversi settori quali i trasporti, il legname e le miniere.

La Birmania possiede ricchezze naturali a cui gli europei guardano con interesse e che include pietre preziose, legname, petrolio e gas. Risorse che, fino ad oggi, sono state sfruttate dal regime militare a proprio esclusivo beneficio. Le sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione Europea miravano proprio ad isolare il regime, ma già a partire dal 1970 il primo ministro birmano Ne Win stabilì relazioni diplomatiche, economiche (e in seguito militari) con Pechino: in tal modo, la Cina è diventata il primo partner commerciale del paese senza altre fonti di appoggio esterno. Anche nell’ottica di sottrarre a Pechino il monopolio dei rapporti diplomatici con Rangoon, dunque, la sospensione delle sanzioni è una prospettiva promettente per gli investitori occidentali; non è infatti da sottovalutare la posizione strategica della Birmania nel sud-est asiatico, area nella quale la UE è scarsamente presente sia a livello diplomatico che commerciale.

L’Unione europea spera di aprire un nuovo capitolo nelle relazioni con la Birmania, sottolineando al contempo la necessità di monitorare l’evoluzione politica, che dovrebbe contemplare anzitutto un rapido rilascio dei prigionieri politici. Sono ancora numerosi, infatti, i dissidenti rinchiusi nelle prigioni soprattutto in seguito alla rivoluzione “color zafferano” del 2007, in cui una manifestazione pacifica dei monaci contro la dittatura della giunta militare fu repressa nel sangue. L’UE è poi disposta ad offrire aiuti umanitari per le popolazioni protagoniste degli scontri nel Kachin, terra di confine dove i cinesi hanno commesso uno dei disastri ambientali più gravi, distruggendo la foresta più rigogliosa della Birmania.

Passi simili sono stati compiuti anche dagli Stati Uniti e dal Giappone. Washington ha cancellato il divieto di lavorare in Birmania per le organizzazioni umanitarie, permettendo alla popolazione di usufruire di cibo e di medicinali, e sta favorendo la ripresa di progetti di organizzazioni non-profit per lo sviluppo del paese, anche se rimangono in vigore le misure restrittive sulle transazioni commerciali e l’importazione delle risorse naturali. Gli USA devono ancora compiere numerosi passi prima di eliminare tutte le misure restrittive in vigore, ma nonostante la gradualità del processo queste aperture stanno preoccupando la Cina, la quale vede nel rinnovato interesse di Obama per la Birmania un tentativo di indebolire l’influenza cinese. Il vice ministro degli Esteri, Cui Tiankai, ha dichiarato che “la Cina non ha mai considerato la sua relazione amichevole con il Myanmar, e ogni altro paese, come esclusiva e ci auguriamo che gli Stati Uniti abbiano lo stesso approccio in materia”.  

Sembra che lo spazio di azione della Cina si stia in effetti restringendo, in particolare da quando anche il Giappone ha deciso di incoraggiare gli sforzi riformisti del governo birmano. Il primo Ministro Yoshihiko Nada ha annunciato la decisione di cancellare il 60% del debito della Birmania, per una somma pari a 3,7 miliardi di dollari. Il Giappone si è anche impegnato a dare 5 miliardi di dollari per aiutare le minoranze etniche e assicurare assistenza medica, oltre a finanziare alcuni programmi per l’agricoltura e lo sviluppo. I governi dei due paesi hanno sottoscritto un accordo per la realizzazione del porto di Thilawa, una zona economica speciale di 2.400 ettari a 25 km a sud di Yangon. Tokyo sembra puntare, in tale contesto, ad un ruolo di ago della bilancia nei rapporti tra Cina e Stati Uniti.

In ogni caso, è utile e opportuno che l’Unione Europea coltivi i rapporti con la Birmania in questa delicata fase di possibile transizione. Gli equilibri asiatici sono molto dinamici e l’influenza europea è obiettivamente limitata, ma è possibile contribuire in modo costruttivo all’evoluzione politica di un paese che per la sua storia recente ha acquisito una particolare valenza simbolica a livello globale.