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La battaglia sulla Costituzione egiziana

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Distensione. E’ questo il messaggio inviato da Hussein Tantawi, il generale a capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate egiziane, a quanti si preparavano a celebrare il primo anniversario dello scoppio della rivolta che ha portato alla caduta del vecchio dittatore.

Dopo le aspre proteste dei mesi scorsi, nel tentativo di dare segnali di apertura, alla vigilia del 25 gennaio Tantawi ha deciso di graziare 1959 detenuti giudicati colpevoli da tribunali militari. Il generale ha inoltre annunciato il ritiro della legislazione d’emergenza vigente nel paese dal 1981, aggiungendo però che si potrà fare ricorso allo stato di emergenza nel caso di atti criminali non meglio definiti. E’ chiaro che questa riserva è vista da molti egiziani come una grave contraddizione. Anche organizzazioni umanitarie internazionali come Human Rights Watch hanno messo in guardia da un eccessivo ottimismo. E gli Stati Uniti, per bocca di Michael Posner, Assistant Secretary of State per i diritti umani e la democrazia, hanno chiesto ai militari di sospendere completamente e definitivamente lo stato di emergenza. Nel corso di una conferenza stampa tenuta al Cairo il 26 gennaio, Posner ha anche criticato espressamente il ruolo dei tribunali militari.        

A diffidare delle buone intenzioni dell’esercito è anche  Khaled Fahmy, accademico dell’Università Americana del Cairo, che in un editoriale pubblicato sul quotidiano liberale Al-Masry al-Youm ha ammesso di non aver mai creduto nel mito dell’esercito protettore della rivoluzione. “Sin dall’inizio ho sospettato che i militari fossero i primi nemici della rivolta di piazza e il tempo non ha che confermato i miei timori” ha scritto Fahmy.

A pensarla come lui è poi Mohammed El Baradei, l’ex segretario generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica che il 14 gennaio ha ritirato la sua candidatura alle presidenziali previste il prossimo giugno. “L’ancien regime non è caduto. Ho passato in rassegna tutte le possibilità per servire questo paese in forma ufficiale ma non ne ho trovata una. La mia coscienza mi impedisce di presentarmi alle presidenziali o ad altre posizioni ufficiali senza un vero regime democratico” ha detto El Baradei. E ha indicato (su Twitter) quale dovrebbe essere il sentiero ideale della transizione egiziana: “Dopo un anno di confusione, è giunta l’ora di trovare un accordo per raddrizzare il percorso … L’assemblea del popolo (insediatasi il 23 gennaio ndr) dovrebbe  eleggere un presidente ad interim e formare una costituente che rediga un nuovo testo. Questo dovrebbe indicare il nuovo sistema politico egiziano, garantendo la transizione verso uno stato civile, che rispetti i diritti e le libertà dei cittadini.”

Il problema della Costituzione è quindi diventato la variabile dirimente del processo di transizione egiziano. Il 1° gennaio, i militari hanno confermato che il nuovo testo sarà pronto prima delle elezioni presidenziali; la tempistica prevede poi che quanti vorranno concorrere alla presidenza dovranno presentare la loro candidatura a inizio di aprile, a seguito di un referendum sulla costituzione. Per rispettare il calendario, il nuovo testo dovrebbe essere redatto in meno di otto settimane. Secondo Tarek al Beshry, giudice responsabile del comitato per la riforma della Costituzione, queste tempistiche sono non solo impossibili da rispettare, ma anche illegali. Lo scorso 19 marzo infatti, gli egiziani sono stati chiamati alle urne per approvare nove emendamenti costituzionali che delineavano un calendario differente secondo il quale la stesura del nuovo testo sarebbe arrivata solo dopo le elezioni presidenziali. Inoltre, il compito di eleggere i cento membri che formeranno la costituente sarebbe spettato ai neo eletti deputati e al presidente della repubblica. A cambiare le carte in tavola è stata la dichiarazione con la quale il 30 marzo i militari hanno annunciato il testo della costituzione provvisoria che ha anche recepito gli emendamenti approvati il 19 marzo. Nell’articolo 60 del nuovo documento si legge infatti che il compito di eleggere la Costituente spetterà al parlamento e al Consiglio Supremo delle Forze Armate. Questo contrasta in parte quanto previsto dall’articolo 189 votato dagli elettori nel referendum del 19 Marzo: qui il Consiglio Supremo delle Forze Armate non veniva menzionato.

Tali dinamiche dimostrano senza alcun dubbio che i militari hanno intenzione di influenzare la stesura del nuovo testo costituzionale; concordano però sui termini e le tempistiche della procedura costituzionale i Fratelli Musulmani, la forza (rappresentata formalmente dal partito Libertà e Giustizia) che si è aggiudicata la maggioranza relativa dei seggi del Maglis Al-Shaab, la neo-eletta camera bassa del parlamento egiziano. Visto il recente successo, questi hanno tutti gli interessi ad accelerare il processo costituzionale per esercitare al massimo la loro influenza nella stesura del nuovo testo. E’ questa coincidenza di obiettivi a rafforzare l’intesa tra Fratellanza ed esercito.

A pensarla diversamente sono invece le istanze più laiche, i liberali e gli attivisti cheuesti non  vogliono che il processo costituzionale inizi solo dopo il ritorno dei militari nelle caserme. Questi preferiscono infatti accelerare il processo che porta all’elezione del presidente della repubblica per trasferire la gestione della transizione a una giunta civile. Il timore è che la Costituzione, se redatta in tempi rapidi, diventi un premio consegnato ai vincitori delle elezioni: in particolare, sembrano fondate le preoccupazioni che un testo prodotto essenzialmente dai Fratelli Musulmani non garantirebbe i diritti di quelle minoranze, come i copti e le donne, già sottorappresentate in questo parlamento.