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Il Rapporto del Generale McChrystal sulla missione afgana: il momento delle decisioni

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Il capo delle forze americane in Afghanistan e di ISAF (International Security Assistance Force), Generale Stanley McChrystal, ha inviato al Segretario alla Difesa, Robert Gates, un documento di “Initial Assessment”, datato 30 agosto 2009 e reso pubblico dai mezzi di stampa tre settimane più tardi. Il Rapporto, di circa sessanta pagine, rimanda ad un successivo documento per le richieste dettagliate in termini di risorse aggiuntive.

Quasi nulla di quanto contenuto nel documento è nuovo – come del resto è precisato espressamente nel testo stesso. Ciò però è anche un modo di sottolineare che esiste un serio problema di impegni dichiarati ma non realizzati concretamente. Proprio in tale ottica, il giudizio complessivo su ISAF è molto duro: la coalizione è una “forza convenzionale” mal configurata per attività di contro-insurrezione; ha tuttora scarsa esperienza con la lingua e le tradizioni locali, che fatica a comprendere a fondo; soffre delle tipiche carenze organizzative delle missioni multinazionali.

Venendo più specificamente all’analisi dello stato dell’arte:
– La missione consiste ormai soprattutto in una grande operazione di contro-insurrezione, resa particolarmente complessa dall’intreccio di varie insurrezioni regionali o locali. La guerriglia è diventata più sofisticata, soprattutto nella capacità di sfruttare episodi di violenza a scopi politici, oltre che nel gestire una vera rete di governo “parallela” in alcune zone del paese.

– L’obiettivo sul campo non può essere la conquista e messa in sicurezza diretta di tutto il territorio afgano con la sconfitta completa degli insorti; deve invece essere l’acquisizione del sostegno della popolazione. La popolazione afgana, con le sue divisioni ma anche il suo tratto comune nella volontà di indipendenza nazionale, è il centro di gravità sia per la comunità internazionale che per gli insorti.

– Gli obiettivi di lungo termine (che richiedono non solo risorse materiali ma anche pazienza) dipendono comunque da un obiettivo di breve termine: nei prossimi dodici mesi è indispensabile riprendere l’iniziativa militare. Questo è definito come “il primo imperativo” ed è un messaggio reiterato nell’intero Rapporto.

– La logica implicazione anche per ISAF è che l’intera coalizione deve ragionare nell’ambito di una vasta attività di contro-insurrezione, che include dunque sia un più stretto rapporto con la popolazione civile sia un più sistematico impegno di combattimento. In altre parole, i due aspetti non sono affatto contrapposti o alternativi, ma neppure opzionali: sono tutt’uno.

Il Rapporto tocca poi vari aspetti già ampiamente dibattuti dagli esperti e in sede politica: la frammentazione tribale e geografica della guerriglia; il coinvolgimento del Pakistan e in misura minore di altri attori esterni con interessi non sempre chiari (compresa la Russia, nonostante l’utilizzo di sue cruciali linee di trasporto da parte della coalizione); l’esigenza di ulteriori sforzi per far “maturare” le forze militari e di polizia del governo afgano. Viene anche riconosciuta la difficoltà di realizzare progressi significativi nei vari settori della governance civile e nelle condizioni economiche.

L’insieme dell’analisi di sfondo e dei punti operativi principali offre un quadro non privo di ambiguità al Presidente Obama. Anzitutto per una certa oscillazione nell’enfasi del Rapporto, tra l’importanza cruciale del sostegno popolare e l’esigenza di infliggere continui colpi militari alla guerriglia. A onor del vero, c’è l’esplicita menzione dei “collateral damages” civili come danno gravissimo per la missione, ma non è sempre chiaro, nel documento di McChrystal, come esattamente si possa conciliare l’uso frequente (seppure disperso) della forza con un’opera di persuasione e costruzione della fiducia che si vorrebbe affidare soprattutto ad agenzie civili. In sostanza, McChrystal non risponde del tutto all’obiezione secondo cui il contrasto agli “insorti” viene interpretato come intromissione da vasti strati della popolazione, visto che i guerriglieri sono anche giovani disoccupati, o contadini alla ricerca di un pò di denaro contante. E’ un dilemma non risolvibile in un documento di ispirazione comunque militare, ma che certo complica le scelte politiche e poi operative.

E’ inoltre degno di nota il fatto che, pur senza menzionare il terribile precedente del Vietnam, McChrystal fa comunque riferimento a quella che possiamo definire la sindrome (americana) del Vietnam: afferma che gli insorti non possono sconfiggere l’America
e suoi alleati sul terreno, ma la coalizione può sconfiggere se stessa, per mancanza di “tenuta” e di coerenza. Pur senza spingere l’analogia troppo oltre, si deve ricordare che la dinamica che portò al ritiro da Saigon passò proprio per una escalation graduale, giustificata di volta in volta dall’esigenza di “non perdere” la guerra.

Il Rapporto va collocato nel contesto delle decisioni ormai imminenti da parte dal Presidente Obama – e dunque si può anche leggere come una sorta di braccio di ferro, sebbene corretto in termini istituzionali. Il Comandante sul campo identifica le esigenze operative e di impiego delle forze, chiedendo che le scelte politiche sostengano la strategia che egli ritiene più efficace o quantomeno promettente. Il Presidente, dal canto suo, ha naturalmente l’ultima parola in quando “Comandante in Capo”, ma deve tener conto dei parametri fissati, appunto, dal Comandante sul campo. Questa tensione è piuttosto evidente nel tono di urgenza adottato nel documento: mentre Obama ha già indicato che qualunque ulteriore aumento delle truppe andrà subordinato all’approvazione di una (parzialmente) nuova strategia, il Rapporto spinge per ulteriori risorse subito, perfino a prescindere da cambiamenti tattici o strategici.

La netta impressione è che chi opera nel teatro afgano voglia lanciare un segnale immediato alla galassia dell’insurrezione, mediante l’aumento di uomini e mezzi che saranno impiegati in modo flessibile: gli Stati Uniti non accetteranno un esito che possa essere presentato come una sconfitta. Questo è probabilmente il primo ingrediente della strategia che il Presidente americano sta definendo.