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Il cambiamento politico interno in stile cinese

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«La Cina deve aprirsi, le riforme dovrebbero essere implementate risolutamente o rischiamo di infilarci in una strada senza uscita». Il premier Wen Jiabao è il primo e unico membro della Commissione permanente del Politburo del Partito comunista cinese ad essersi espresso in modo così netto a favore di una svolta democratica nel suo paese. Ha fatto questa dichiarazione durante una visita nel Guandong in memoria del “nanxun”, il famoso viaggio che l’ex leader Deng Xiaoping aveva fatto nel sud del paese 20 anni prima annunciando proprio la necessità della Cina di aprirsi al mondo esterno. Wen ha aggiunto: «Il compagno Xiaoping ci ha donato una serie di discorsi sinceri profondamente ispirati e storicamente influenti quando decise di sfidare la sua età avanzata per visitare a 80 anni il Guandong». «Le parole [di Deng] hanno un grande impatto e un’enorme capacità di guidarci ancora oggi» ha aggiunto. «Dobbiamo essere seri e non risparmiarci per affrontare i problemi istituzionali che piagano lo sviluppo della nostra economia interna. Le riforme e l’apertura sono ancora la chiave per vincere le tante sfide e difficoltà che ci attendono lungo la strada».

Segnali recenti fanno però ritenere che il Partito comunista, alla vigilia del rinnovamento della Commissione permanente del Politburo che si terrà in autunno, sia diviso al suo interno. Proprio nei giorni precedenti e seguenti alle dichiarazioni sopra ricordate, si è registrata la condanna di tre dissidenti (Chen Wei, Chen Xi e Li Tie) noti per alcuni articoli apparsi su internet sulla liberalizzazione politica: nove o dieci anni di prigione per “aver incitato alla sovversione contro il potere statale”. E’ poi arrivata la violenta repressione della protesta dei tibetani, soprattutto ad Aba in Sichuan. Secondo un analista politico di Pechino, Chen Ziming, «i colleghi di Wen, incluso Hu Jintao, non mostrano alcun interesse per quello che ha detto, e gli intellettuali liberali credono generalmente che le riforme siano già morte». Nonostante l’uso delle armi per reprimere le proteste e le sistematiche restrizioni della libertà dei cittadini, qualche segnale positivo di cambiamento c’è, fuori e dentro il Partito, ed è bene non ignorarlo.

Sempre Wen, durante i suoi viaggi in Medio oriente in gennaio, ha discusso a lungo della cosiddetta “Primavera araba” e ha dichiarato che «ogni governo ha la responsabilità di operare per il bene della propria popolazione e non per il suo». Una volta tornato in Cina, ha rilanciato: «Non ci servono soltanto riforme nel campo delle strutture economiche; abbiamo bisogno di una riforma adeguata della struttura politica». Parole che sembrano prendere forma nel modo in cui il segretario del Partito comunista del Guandong (e candidato per entrare nel gotha comunista in autunno) Wang Yang, ha gestito la ribellione degli abitanti di Wukan.

Il piccolo villaggio di pescatori è diventato famoso per essere riuscito a ribellarsi contro il Partito e il governo locale, che aveva venduto le loro terre a un imprenditore senza ripagarli in modo adeguato. Una protesta durata da settembre a dicembre – periodo in cui gli abitanti si sono scontrati anche violentemente con la polizia, la quale ha impedito ogni accesso al villaggio – che ha convinto Wang a cacciare il responsabile locale del Partito e a indire le elezioni per nominare nuovi rappresentanti. L’episodio potrebbe aver costituito una vera svolta, visto che a Wukan qualunque cittadino ha avuto il diritto di candidarsi, anche senza ottenere il consenso del Partito. Ogni cinque anni in Cina più di 2 mila contee e 30 mila città possono eleggere i rappresentanti al Congresso locale del popolo. Secondo la legge elettorale vigente, possono candidarsi persone dai 18 anni in su, anche non legate al partito, purché si iscrivano alle commissioni elettorali con il sostegno di dieci votanti. Ma di fatto la candidatura di cittadini indipendenti, anche se permessa dalla Costituzione, non viene accettata senza l’approvazione del Partito, che spesso manipola i risultati del voto.

A Wukan le elezioni per eleggere i nuovi rappresentanti si svolgeranno il 1° marzo e l’andamento del voto sarà controllato e supervisionato da una commissione formata da 11 persone. La commissione elettorale viene nominata in tre tornate elettorali dai cittadini, mentre solitamente è il Partito a decidere la sua composizione. Il 1° febbraio, nella prima delle tre tornate, su 8.222 persone aventi diritto, 6.200 si sono recate alle urne, facendo registrare un’affluenza storica. «Sono davvero emozionata» ha detto Yang Jinlu, 43 anni, «questa è la vittoria più grande che il nostro villaggio ottiene da oltre 40 anni. Per me è un’esperienza storica assaggiare per la prima volta il gusto della democrazia».

Il Segretario del Guandong ha ricevuto le lodi dei media nazionali per la sua gestione conciliatoria delle dimostrazioni di Wukan e ha guadagnato punti su un altro  candidato alla Commissione permanente del Politburo: Bo Xilai. Il responsabile di Partito di Chongqing, centro finanziario della Cina occidentale, è in cattive acque per il “caso Wang Lijun”, il sua braccio destro che per sfuggire a un’indagine ha chiesto asilo politico all’ambasciata americana (asilo peraltro negato, forse anche per evitare un incidente diplomatico alla vigilia della visita di Xi Jinping a Washington). Wang si è inoltre impegnato a estendere le iniziative riformiste, iniziate proprio nella sua provincia dal vecchio leader, Deng: «Le riforme sono la radice e l’anima del Guandong» ha dichiarato più volte. Vero è che Wang ha parlato più di riforme economiche che politiche, ma bisogna riconoscere che, ad esempio, i giornali e i siti della sua provincia sono divenuti i più provocatori e coraggiosi di tutto il Paese.

Anche la società cinese, nel suo complesso, non sta a guardare e spinge costantemente per l’attuazione di alcune riforme. Non si tratta soltanto degli attivisti per i diritti umani. Ad esempio, figure importanti come Hu Deping (figlio maggiore di Hu Yaobang), e Jiang Ping (noto giurista ed ex rettore dell’Università cinese di politica e legge) hanno patrocinato incontri e conferenze a cui hanno partecipato intellettuali e liberali. Sempre in occasione della celebrazione dei vent’anni del “nanxun”, si è tenuto un incontro a Pechino a cui hanno partecipato oltre duecento intellettuali, tra cui molti membri del Partito. Nel discorso d’apertura, Hu Deping ha chiesto agli intellettuali della nazione di «sviluppare ancora di più lo spirito del nanxun», elogiando i fatti di Wukan perché «soltanto quando i diritti dei contadini vengono garantiti si potrà sostenere anche la stabilità politica delle campagne».

L’economista Han Zhiguo (come riporta Ming Pao, giornale pubblicato a Hong Kong) ha proposto apertamente un sistema multi-partitico a suffragio universale e la libertà dei media: «Senza il sistema elettorale “una testa, un voto”, la popolazione cinese non può avere il senso della dignità. Il governo degli Stati Uniti non ha paura di nessuno, se non del suo stesso popolo. Le autorità cinesi hanno paura di tutti, tranne che dei loro cittadini». Se il modello Wukan si diffondesse in Cina e il richiamo alle riforme di Wen e Wang si traducesse in realtà – a partire dalla scelta dei nuovi membri della Commissione permanente del Politburo del Partito – potremmo davvero aver raggiunto un punto di svolta su scala nazionale. Anche le recenti dichiarazioni del presidente cinese in pectore Xi Jinping, in visita negli Stati Uniti, potrebbero allora non sembrare soltanto frasi di circostanza: «Pechino è pronta a impegnarsi in un dialogo franco e costruttivo [per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani] ma sulla base del rispetto reciproco».