Il rapporto tra gli italiani e l’Europa appare attraversato da profonde contraddizioni: l’Unione e le sue istituzioni sono percepite come una realtà consolidata, ma l’euroscetticismo tende a emergere all’interno dell’opinione pubblica, alimentato dalla difficoltà delle istituzioni europee a fornire risposte concrete alla crisi economica. È la sfida che il governo italiano ha nel corso del semestre di presidenza del Consiglio dell’UE.
Questo importante appuntamento politico coincide con il rinnovo delle istituzioni comunitarie, tra cui il Parlamento Europeo, nella sua nuova composizione emersa dalle elezioni del 25 maggio. Spetterà, dunque, al governo guidato da Matteo Renzi portare avanti l’agenda europea, in un contesto di profondi mutamenti degli equilibri politici e istituzionali.
Tra i temi principali sul tavolo della presidenza ci saranno il rilancio del progetto politico dell’Unione Europea, la gestione della ripresa economica, e il rafforzamento della politica estera comune (di cui la crisi ucraina costituisce uno dei principali banchi di prova). Il compito del governo italiano sarà reso più complicato dalla crescente ondata di euroscetticismo che – con particolare forza in Francia – sembra cogliere la sfiducia dei cittadini europei verso la gestione della crisi economica da parte di Bruxelles.
Identità e integrazione
Il progetto politico di un’Europa più integrata richiede come presupposto la costruzione di un’identità sovranazionale, fondata sulla valorizzazione delle diversità storiche e culturali su cui poggia la civiltà europea.
Dai dati di una recente rilevazione condotta dal Laboratorio Analisi Politiche Sociali dell’Università degli Studi di Siena per l’Istituto Affari Internazionali (laps-iai 2013), risulta che il 59% degli italiani sembra effettivamente riconoscersi in un’identità “multipla” o “mista”[1], in cui l’identità europea si consolida accanto e non al posto di quella nazionale. Circa il 35% del campione dichiara, invece, di sentirsi “solo” italiano. Da un confronto con i dati Eurobarometro degli ultimi 20 anni emerge, inoltre, che la consapevolezza di un’identità “mista” italiana ed europea è stata prevalente in Italia dal 1993 a oggi. L’unica eccezione è rappresentata dal periodo 2007-2010, quando le dinamiche innescate dalla crisi economica potrebbero aver incrinato il senso di appartenenza alla comunità sovranazionale. Il 2011 vede nuovamente prevalere la percentuale di coloro che si sentono italiani ed europei; tuttavia, la tendenza degli ultimi due anni sembra suggerire una progressiva riduzione del divario tra l’identità “mista” e quella “esclusiva” nazionale, che è sceso dai 37 punti percentuali del 2011, ai 24 del 2013.
Figura 1. Identità italiana vs. identità europea, 1992-2013 (%)
La rappresentazione dell’identità europea come sovrapposizione di molteplici appartenenze, non mutualmente esclusive, è strettamente connessa alla questione della valorizzazione della diversità culturale come base dell’integrazione europea. Come emerge ancora dall’inchiesta laps-iai 2013, il 40% degli italiani si dichiara d’accordo con l’affermazione secondo cui “l’unificazione è impossibile perché siamo diversi”; oltre metà del campione (53%), tuttavia, non vede nell’eterogeneità culturale di un’Unione a 28 Stati un reale ostacolo al processo di integrazione europea. Disaggregando i dati risulta che il motto europeo “uniti nella diversità” sembra convincere maggiormente le nuove generazioni e le persone con più elevati livelli d’istruzione: il 66% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni e il 68% di coloro che hanno conseguito una laurea o un titolo post laurea, infatti, ritengono che sia possibile unire realtà diverse all’interno dell’Unione Europea.
La crisi economica, l’euro e l’Europa (passando per Berlino)
A dieci anni dall’adozione dell’euro, il rapporto tra gli italiani e la moneta unica appare caratterizzato da incertezze e contraddizioni. Nell’ambito dell’indagine del Transatlantic Trends Survey (tts)[2], è stato chiesto agli italiani se usare l’euro in Italia sia stata una cosa positiva o negativa: il 58% del campione ritiene che usare la moneta unica sia stata una cosa negativa, a fronte di un 37% di valutazioni positive; rispetto alla media del periodo 2010-2012, si registra una crescita di circa dieci punti percentuali del fronte anti-euro.
Figura 3. Giudizio sull’euro (%)
Da queste indagini, inoltre, emerge che solo il 29% degli italiani sarebbe disposto a rinunciare, in via eccezionale, a parte del proprio reddito per evitare una fuoriuscita dell’Italia dall’euro, mentre il 68% esclude tale possibilità.
Figura 5. Disponibilità a fare sacrifici per l’euro, per coalizione votata alle ultime elezioni politiche (%)
Un altro aspetto dell’Unione economica e monetaria è rappresentato dagli impegni contratti dagli Stati membri con l’UE per ridurre progressivamente il debito pubblico e contenere il disavanzo di bilancio. Anche in questo caso, l’atteggiamento degli italiani sembra essere attraversato da contraddizioni: oltre sei italiani su dieci (laps-iai 2013), infatti, ritengono che il governo italiano debba rispettare vincoli di bilancio; tuttavia, questo gruppo è quasi equamente diviso tra coloro che sarebbero disposti a sostenere dei sacrifici per raggiungere questo obiettivo (pari al 35% del campione totale) e chi, invece, respinge tale ipotesi; inoltre, una parte rilevante, seppur minoritaria, degli intervistati (14%) afferma che il nostro paese non dovrebbe tener conto degli impegni comunitari, anche a costo di rimanere isolato dall’Europa e di uscire dall’euro.
Figura 6. Rispetto dei vincoli di bilancio (%)
Accanto ai vincoli di bilancio, la crisi economica ha reso più stringenti i controlli dell’Unione Europea sui bilanci nazionali. Il sistema di sorveglianza sui conti pubblici di Bruxelles è valutato positivamente da una netta maggioranza relativa (42%) (il 22% è indifferente e solo il 30% lo ritiene un aspetto negativo).
Tabella 1. Controllo dell’UE sui bilanci nazionali (%)
Tuttavia, l’atteggiamento degli italiani cambia quando è in gioco la sovranità nazionale sulle politiche economiche, rispetto a un mero ruolo di sorveglianza da parte delle istituzioni europee sui bilanci. Dai dati del tts 2013, infatti, emerge che per il 64% degli intervistati gli Stati membri dovrebbero mantenere l’autorità sulle politiche economiche e di bilancio, mentre solo per il 28% l’UE dovrebbe rafforzare i suoi poteri in materia. Occorre rilevare che il divario tra i sostenitori dell’autorità nazionale e coloro che auspicano, invece, un maggior potere di Bruxelles, è passato dai sei punti percentuali del 2012, ai 36 del 2013, indice di una crescente insofferenza degli italiani verso forme di cessione della sovranità nazionale.
Figura 8. Autorità dell’UE sulle politiche economiche e di bilancio, 2011-2013 (%)
Dai dati del tts 2013 risulta, inoltre, che il 49% degli intervistati disapprova il modo in cui l’UE sta gestendo la crisi economica; tuttavia, la percentuale di risposte negative raggiunge il 58% quando il giudizio riguarda specificamente la politica economica della Germania.
Figure 10. Gestione della crisi in Europa: UE vs. Germania (%)
Dalla politica estera a una visione comune
Come emerge dai dati dell’Eurobarometro, dal Trattato di Maastricht (1993) a oggi, gli italiani hanno manifestato un supporto costante alla politica estera, registrando il 72% di opinioni favorevoli nel 2013.
Figure 11. Politica estera comune dell’UE: favorevoli e contrari, 1993-2013 (%)
Tuttavia, quando sono coinvolti gli interessi nazionali, gli italiani sembrano esprimere una maggiore prudenza riguardo alla prospettiva di rafforzare le competenze esterne dell’Unione. Dai dati del 2013 (laps-iai) risulta, infatti, che il 55% del campione ritiene che il governo italiano debba perseguire sempre i propri interessi, anche se in contrasto con quelli dell’Europa, a fronte del 34% di coloro che si dichiarano disposti a sacrificare i propri interessi a favore di una politica estera comune dell’UE.
Figura 12. Politica estera comune e interessi nazionali
Come emerge dai dati analizzati, il rapporto tra gli italiani e l’Europa appare attraversato da profonde contraddizioni: se, da un lato, l’Unione Europea e le sue istituzioni sono percepite come una realtà consolidata, dall’altra parte gli egoismi nazionali e l’euroscetticismo tendono costantemente a emergere all’interno dell’opinione pubblica. Essi sono alimentati dalla difficoltà, percepita o reale, delle istituzioni europee a fornire risposte concrete alla crisi economica e alle tensioni internazionali.
Il governo italiano dovrà dunque cogliere l’opportunità del semestre di presidenza per spingere il dibattito europeo in una direzione costruttiva, facendo leva proprio sulle esperienze negative della crisi di questi ultimi anni per superare le molte resistenze: vari segnali indicano che esiste un potenziale consenso – non solo in Italia – per un’Europa più efficiente, in grado di superare le tradizionali divisioni sulle forme e i tempi dell’integrazione.
[1] Gary Marks, “Territorial Identities in the European Union” in Regional integration and democracy: expanding on the European experience, ed. Jeffrey J. Anderson, Rowman and Littlefield, 1999.
[2] Il Transatlantic Trends Survey è un’indagine annuale sull’opinione pubblica europea e americana, condotta dal German Marshall Fund of the United States e la Compagnia di San Paolo, con il supporto della Barrow Cadbury Trust, della Fundação Luso-Americana, della bbva Foundation, la Fondazione Communitas, il ministero degli Affari esteri svedese, in collaborazione con l’Università degli Studi di Siena.