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Il difficile cammino dell’economia irlandese: è vera ripresa?

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L’annuncio dell’uscita dal pacchetto di salvataggio europeo dell’Irlanda (primo paese in Europa a uscire dal programma lo scorso dicembre) è stato accolto da alcuni commentatori e istituzioni come un successo delle politiche di austerità adottate per contrastare la crisi dell’eurozona. Questa lettura del positivo trend economico irlandese è stata rafforzata sia dai buoni risultati della prima asta di buoni del tesoro irlandese (del valore di 500 milioni realizzata a tassi d’interesse di poco superiori a quelli tedeschi), sia da una serie di dati macro-economici che sembravano annunciare una stabile e solida ripresa economica.

I numeri, se non osservati in un contesto più ampio, potrebbero dare la sensazione che dopo cinque anni di austerità e sacrifici l’Irlanda abbia finalmente imboccato un percorso di crescita economica. In realtà, sia l’uscita dal programma di salvataggio europeo sia il basso tasso d’interesse pagato sulle emissioni di debito pubblico non sono dovuti ad una rinnovata fiducia del mercato finanziario globale nella capacità dell’Irlanda di sostenersi autonomamente, ma dalla ricerca di alti rendimenti da parte dalle banche europee. Il loro obiettivo è rimpinguare i propri bilanci con facili guadagni, praticamente garantiti da due fattori: la liquidità fornita dal LTRO (rifinanziamento delle banche) operato dalla BCE e dalla stabilità assicurata e il “whatever it takes” enunciato dal Presidente della stessa BCE, Mario Draghi, nel momento più acuto della crisi dell’eurozona.

L’uscita dal programma di salvataggio, così come il calo dei rendimenti sui titoli di Stato irlandese, sono quindi causati da fattori esterni piuttosto che dalla solidità della ripresa economica locale: sancisce unicamente il superamento della fase più acuta della crisi finanziaria scoppiata nel 2009.

Cinque anni di austerità e vincoli di bilancio, per un totale di oltre 32 miliardi di euro di tagli alla spesa pubblica, sono stati necessari per rispettare da una parte il memorandum d’intesa firmato con le istituzioni europee e dall’altra per ridurre il pesante deficit pubblico. Una cifra enorme se paragonata alle dimensioni dell’economia irlandese, ma assolutamente non sufficiente a coprire gli oltre 64 miliardi di euro che il governo irlandese ha sborsato per salvare il proprio sistema bancario – probabilmente l’unica scelta possibile per evitare i costi di default che sarebbero stati molto più elevati.

I programmi di austerità hanno portato tagli massicci alla spesa pubblica, con il conseguente incremento di oltre il 20% dell’indice che misura la popolazione a rischio povertà, e la ripresa di un’emigrazione di massa che non si vedeva dalla metà degli anni Novanta, soprattutto riguardante lavoratori qualificati. Nonostante l’austerità draconiana, iI debito pubblico irlandese è comunque quintuplicato dal 2007 al 2013 passando dal 24.9% a quasi il 125% del PIL – sebbene le più recenti previsioni indichino che nel 2014 dovrebbe stabilizzarsi per poi diminuire a partire dal 2015. Non solo un debito enorme, ma anche un deficit che solo nel 2015 finalmente si attesterà entro il parametro del 3% del PIL, quindi in linea con le regole europee.

Note positive provengono dalla disoccupazione, che è diminuita dal 15.1% del quarto trimestre del 2011 (apice della crisi) al 12% (dato destagionalizzato) del primo trimestre del 2014, stabile rispetto al trimestre precedente. Inoltre, il mercato immobiliare irlandese sembra riprendersi in alcune zone (Dublino in particolare), sebbene dall’inizio della crisi sia stato il settore più colpito. Si tratta di numeri e dati importanti, ma possiamo effettivamente parlare di ripresa?

Il quadro generale sembra indicare una stabilizzazione: disoccupazione in lentissima diminuzione, debito e deficit molto cresciuti ma ora sotto controllo, ripresa della formazione di capitale fisso per la prima volta dopo cinque anni, consumi in leggero aumento e fiducia dei consumatori in ascesa. Inoltre, il settore dei servizi, il più grande per numero di impiegati e fatturato in Irlanda, in aprile ha fatto registrare l’aumento più consistente negli ultimi cinque anni. Tali notizie farebbero esultare molti governi europei ma non devono far dimenticare come debito (pubblico e privato) e banche rappresentino tuttora il grande problema economico irlandese. L’indebitamento rende infatti flebile la ripresa economica, con il rischio reale che eventuali restrizioni del credito creino nuove crisi finanziarie.

Il debito pubblico ha toccato livelli tali da non permettere nel breve e nel medio periodo nessun tipo di politica espansiva da parte del governo: per forza di cose, nei prossimi anni si dovrà continuare con politiche di austerità o comunque non espansive le cui conseguenze sulla competitività del sistema economico non sono ancora ben chiare. sempre Va tenuto pii in considerazione che per sua natura l’economia irlandese è altamente soggetta alle fluttuazioni dell’economia globale, forse più di molti altri paesi europei visto che è sede di numerose multinazionali straniere e ha una ridotta dimensione del mercato interno. In ogni caso, finché il debito non sarà tornato sotto una soglia di sicurezza, manovre di tipo keynesiano ed espansivo non potranno essere effettuate: quindi, la ripresa economica dovrà basarsi unicamente sulla capacità privata.

Ma anche questa è messa in pericolo dall’elevato indebitamento di cittadini e imprese: solo grazie al ruolo svolto dalla BCE  e alla liquidità immessa nel sistema bancario europeo si è evitato il tracollo dell’economia nazionale. L’entità del debito privato irlandese è stata pari al 331.8 % del PIL nel 2012: sommato al 125 % del debito pubblico, questo dato fa comprendere la grandezza della sfida da affrontare per l’Irlanda. Nonostante ciò, il mercato immobiliare non è crollato come in altri paesi europei o come nel caso del Giappone degli anni Novanta. Ha anzi registrato una piccola inversione di tendenza dando fiato alle indebitate famiglie irlandesi.

Proprio le banche che hanno portato l’Irlanda sull’orlo del default rimangono il problema principale dell’economia locale. L’imminente pulizia dei bilanci delle banche sotto il controllo pubblico, con la conseguente riscossione dei crediti elargiti e l’iscrizione a bilancio delle perdite, sospinta anche dall’azione della BCE a livello europeo, potrebbe mettere in pericolo la ripresa economica, diminuendo la liquidità presente nel sistema economico e costringendo famiglie e imprese a ripagare i prestiti concessi negli anni del boom.

Il deleveraging del debito privato sarà la più grande sfida da affrontare per l’Irlanda e l’Europa nel prossimo futuro. Il caso del Giappone ci insegna come la riduzione dell’indebitamento abbia portato, se non adeguatamente pianificata, a lunghi periodi di stagnazione economica, caratterizzati da banche-zombie sostenute solo dalle ingenti somme di liquidità garantite dalla banca centrale. La capacità di assorbire il debito pubblico e privato, ripulendo in modo credibile i bilanci delle banche, sarà il compito da affrontare da parte dell’Irlanda nei prossimi anni. La solidità della ripresa si misurerà proprio dalla capacità di attuare un deleveraging senza distruggere la spinta alla crescita, in un complesso esercizio di equilibrio tra necessità di consolidamento fiscale e recupero di competitività economica per alimentare il flusso di investimenti dall’estero. È questa l’unica possibilità per l’Irlanda di ritornare ad essere the Celtic Tiger.