All’indomani della vittoria in Francia del socialista François Hollande, l’establishment politico ed economico tedesco si interroga sull’evoluzione dei rapporti tra Eliseo e Cancelleria. In un sondaggio reso noto dall’emittente televisiva ARD pochi giorni prima del ballottaggio francese, la metà dei tedeschi si diceva convinta che Nicolas Sarkozy fosse il candidato migliore e più vicino agli interessi della Germania. L’uscita di scena del presidente neogollista ha ora rilanciato sui media di tutta Europa la teoria in voga già dopo la conclusione del primo turno, secondo la quale la signora Merkel affronterà d’ora in poi notevoli difficoltà nel promuovere la sua agenda fatta di rigore e austerità.
L’immagine di una cancelliera isolata e pensierosa ha campeggiato nei giorni scorsi sulle prime pagine dei quotidiani e settimanali tedeschi. Un editoriale pubblicato lunedì sulla versione online della Frankfurter Allgemeine Zeitung titolava: “Ora Angela lotta da sola”. Il quotidiano Die Welt, invece, ha enfatizzato lo spirito e il programma antitedesco del nuovo presidente. Più prudente il Financial Times Deutschland, secondo cui i toni aggressivi della campagna elettorale di Hollande, il candidato socialista più moderato che la Francia abbia mai conosciuto, lasceranno presto spazio al pragmatismo.
Fin dai primi dibattiti televisivi con il suo avversario, François Hollande ha in effetti manifestato forte insofferenza per le decisioni prese negli ultimi due anni dalla cabina di regia franco-tedesca. Non solo perché, a suo parere, i cittadini europei hanno avuto la spiacevole sensazione di trovarsi di fronte ad una temporanea sospensione della democrazia, ma anche e soprattutto perché in seno al direttorio è sempre stata Berlino e non Parigi ad avere l’ultima parola. Benché Sarkozy abbia tentato di ammorbidire le posizioni della signora Merkel, la cancelliera è arretrata soltanto quando e nella misura in cui lo ha ritenuto per sé politicamente vantaggioso. Ciò ha alimentato, in Francia come in Grecia, una nuova ondata di euroscetticismo, sfociato in alti tassi di consenso per forze estreme di destra e di sinistra.
Ora tocca a Hollande, fresco di voto popolare e forte dell’appartenenza allo schieramento opposto a quello della cancelliera, riprendere in mano i dossier messi nel cassetto dal suo predecessore: dalla licenza bancaria per l’ESM alla tassa sulle transazioni finanziarie, passando per gli eurobond e per un intervento di massiccia monetizzazione del debito sovrano da parte della BCE. Sono questi i temi su cui si concentrerà il confronto dei prossimi mesi tra Eliseo e Cancelleria. Il primo passo avanti è atteso già alla fine di giugno dopo le elezioni legislative in Francia, quando il Consiglio Europeo sarà chiamato a deliberare sulle nuove proposte per rilanciare la crescita economica nell’euroarea. Accanto al consolidamento fiscale, Hollande chiede infatti di completare il Fiscal Compact con un patto per la crescita, fatto di incentivi, sussidi e opere pubbliche. Non è escluso che a questo patto si aggiunga anche una dichiarazione di un rinvio o forse di un alleggerimento degli obiettivi di pareggio di bilancio negli stati periferici, Grecia in primis.
Tutte congetture che, secondo la stampa tedesca, risulterebbero indigeste all’entourage economico della cancelliera e al suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble. La tensione nei rapporti franco-tedeschi non lascia comunque presagire un vero e proprio strappo, se è vero che i due paesi hanno sempre rappresentato il motore dell’integrazione europea, anche quando cancellieri e presidenti della Repubblica erano di colore politico diverso o non erano particolarmente affiatati. A tal proposito va ricordato (come ha scritto recentemente, tra gli altri, Ulrike Guérot) che neppure tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy c’è mai stata davvero intesa: solo con l’eurocrisi la necessità di collaborare ha prevalso sulle divergenze nello stile e nella linea politica. Senza contare che la signora Merkel è in grado di adattare con una certa flessibilità parole, gesti e agenda in funzione dell’interlocutore. Lo ha fatto egregiamente durante i quattro anni di Große Koalition e saprà probabilmente ripetersi anche ora trattando con François Hollande.
Proprio pochi giorni prima del secondo turno delle presidenziali francesi, la cancelliera, in un’intervista alla Leipziger Volkszeitung, ha colto in contropiede il candidato socialista, dando l’impressione che il programma di nuovi impulsi per la crescita (Wachstumsimpulse) fosse farina del suo sacco: “Diversi Consigli europei se ne sono già occupati in passato e per il Consiglio europeo di giugno stiamo preparando una nuova agenda per la crescita, che non sarà composta di nuovi piani di intervento statale, ma di riforme strutturali”, ha puntualizzato la cancelliera.
In realtà, come gli eventi degli ultimi anni insegnano, non esiste nulla di categorico e definitivo nelle promesse della signora Merkel. Ai tempi della crisi finanziaria del 2008-2009, i programmi congiunturali (Konjunkturprogramme) sembravano non essere una priorità per la cancelliera, che tuttavia alla fine si decise a vararne ben due, uno di seguito all’altro. È quindi assai probabile che essa presterà fede all’impegno di non rinegoziare il Fiscal Compact, ormai ratificato in tre Stati membri e oggetto di referendum in Irlanda a fine maggio, ma che sia pronta a concedere qualcosa di più sul lato della crescita. A Berlino si fa quindi sin d’ora un gran parlare dell’aumento di capitale della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), cavallo di battaglia dell’attuale opposizione rosso-verde al Bundestag. La signora Merkel si è già detta disposta a discuterne.
Molto dipenderà anche dall’esito delle elezioni legislative francesi del 10 e del 17 giugno. Se Hollande non riuscisse a coagulare intorno a sé una maggioranza, anche il suo potere di contrattazione in Europa ne sarebbe indebolito. Per non parlare dell’occhio vigile di mercati e di agenzie di rating che limiterà il margine d’azione del neopresidente: Moody’s dovrà ad esempio decidere a breve se tagliare il rating della Francia o se mantenere la tripla A con outlook negativo (cioè con prospettive di peggioramento della situazione).
La signora Merkel, dal canto suo, prende tempo e si limita a dettare frasi di prammatica al suo portavoce. Il 16 maggio la cancelliera accoglierà infatti “a braccia aperte” François Hollande, con il quale si augura di poter “continuare proficuamente la collaborazione”. È una collaborazione i cui frutti dipenderanno anche dalla tenuta interna della coalizione giallo-nera: i liberali, ringalluzziti dal sorprendente risultato dello Schleswig-Holstein di pochi giorni fa (8,2%), puntano a confermare il trend positivo nelle future tornate elettorali. Se così sarà, c’è da aspettarsi che l’FDP, finora rimasta prona alle direttive della cancelliera, diventi un alleato bizzoso e scomodo per i democristiani e i cristiano-sociali. A livello locale i liberali alternano infatti slogan tipici della piattaforma conservatrice a proposte di stampo socialdemocratico. A livello federale sembrano però volersi mettere di traverso a nuovi aumenti della dotazione del fondo di stabilizzazione e all’approvazione di una tassa sulle transazioni finanziarie. Anche da loro dipenderà l’evolversi del rapporto della Germania con la Francia nei prossimi mesi.