Mosè nero: l’ebraismo indigeno nell’Africa subsahariana

La seconda più grande comunità ebraica dell’Africa, dopo quella sudafricana, potrebbe trovarsi oggi in Nigeria. Il condizionale è d’obbligo, perché gli Igbo che praticano l’ebraismo non sono ancora stati riconosciuti come appartenenti al popolo di Mosè dalla Corte Suprema israeliana o dalle corti rabbiniche.

Una frazione di questa etnia, alcune decine di migliaia di persone su circa cinquanta milioni (la popolazione totale della Nigeria è stimata a 203 milioni[1]), osservano infatti pratiche religiose riconducibili all’ebraismo, con una minoranza aderente alla dottrina ortodossa. Non si tratta di un caso del tutto isolato nel panorama africano: altre comunità, più ridotte, di correligionari autoctoni sono presenti in Uganda (il Popolo di Giuda), e in Ghana (la Casa d’Israele). Un’altra ancora si sta formando tra i Lemba di Sudafrica e Zimbabwe, la cui tradizione religiosa appare un sincretismo delle diverse denominazioni abramitiche.

Igbo ascoltano passi della Torah durante una funzione

 

Il riconoscimento di queste comunità come parte del popolo ebraico è controversa e tuttora dibattuta, poiché gli ebrei sono insieme comunità di fedeli e popolo e non basta la pratica della religione per appartenervi, come avviene invece nelle principali correnti del cristianesimo e dell’islam.

Gli ebrei europei e mediorientali si sono già trovati ad affrontare un caso simile quando a inizio Novecento s’imbatterono nei Beta Israel, noti in Italia come falascià, una comunità indigena dell’Etiopia la cui pratica dell’ebraismo è accertata almeno per gli ultimi cinquecento anni. Dopo decenni di discussioni riguardo all’inclusione nel popolo ebraico, furono ammessi con un pronunciamento dei rabbini capi d’Israele nel 1973, che li riconobbe come discendenti della tribù di Dan.

La decisione dottrinale ebbe conseguenze socio-politiche, poiché estese ai falascià il diritto a compiere l’aliyah, il ritorno nello stato ebraico. Tra il 1979 e il 1991 decine di migliaia di persone vennero evacuate in Israele, sottraendole alle carestie e alla guerra civile che imperversavano in Etiopia. Il pronunciamento rabbinico non ha comunque risolto definitivamente la controversia, e i falascià insediati in Israele sono ancora oggi soggetti alla discriminazione di una parte della comunità che non li accetta pienamente come ebrei.

La possibilità di usufruire della “Legge del Ritorno” ostacola il riconoscimento delle altre comunità ebraiche africane da parte delle autorità religiose israeliane, soprattutto nell’attuale momento storico: una fase in cui il controllo dell’immigrazione dall’Africa è diventato un tema importante nella vita politica del paese, e  il maggior tasso di crescita dei cittadini arabi alimenta un’attenzione allarmata verso il bilanciamento demografico nazionale.

Sul piano formale, la risoluzione della questione resta di competenza della sfera religiosa, a cui è demandato di accertare un’eventuale discendenza da una delle tribù perdute d’Israele. L’assenza di prove documentarie o archeologiche crea una prima complessità, di cui tentano di avvantaggiarsi entrambe le parti: gli ebrei Igbo, ad esempio, affermano che le proprie tradizioni orali ne attesterebbero la discendenza da diverse tribù, tra cui quella di Gad. Lo sviluppo della genetica poi non si è rivelato risolutivo come ci si aspetterebbe: anche in questo caso ognuna delle parti ha interpretato a proprio favore i risultati delle analisi – i contrari evidenziando la sostanziale omogeneità genetica con le altre popolazioni dell’area, i favorevoli dando grande peso a eventuali anomalie interpretabili come tracce di una discendenza quantitativamente minoritaria.

Gli studiosi contemporanei propendono in maggioranza per l’ipotesi di una conversione all’ebraismo da forme di cristianesimo affini: o per antichità, come nel caso del cristianesimo ortodosso etiope, o per dottrina, come in certe confessioni protestanti introdotte dai missionari occidentali. Ciò è certo per quanto riguarda il Popolo di Giuda in Uganda, fondato nel 1917 dal leader locale Semei Kakungulu dopo un percorso di fede che lo vide attraversare il nativo animismo, il protestantesimo dei missionari e una setta locale di cristiani giudaizzanti prima della decisione di adottare la religione ebraica. Riguardo alle altre comunità vi sono quantomeno fondati sospetti che proprio questa sia stata l’evoluzione religiosa che si è verificata, peraltro in tempi storicamente recenti per gli Igbo e per la Casa d’Israele.

La teoria di una conversione dal cristianesimo è rafforzata dai parallelismi che si possono tracciare con un fenomeno noto nel mondo occidentale: negli Stati Uniti ad esempio esistono comunità di afroamericani, oggi complessivamente alcune decine di migliaia di persone, che a partire dal diciannovesimo secolo sono passate dal protestantesimo a forme di ebraismo messianico, con alcune frange degenerate in un credo suprematista nero. Alcuni si sono insediati in Israele, pur in assenza di un riconoscimento ufficiale. Gli ebrei neri statunitensi e gli ebrei nigeriani potrebbero essere peraltro accomunati da un’identificazione col popolo ebraico per similitudine: nel caso dei primi per aver patito la schiavitù, nel caso dei secondi per essere stati vittime di un genocidio[2].

A fronte delle evidenze contrarie e delle implicazioni politiche, le possibilità di un riconoscimento degli ebrei subsahariani restano ancora molto basse, eppure non impossibili, come dimostra l’esito positivo di caso parallelo avvenuto in India. Nel 2005 infatti gli Bnei Menashe, una comunità di fedeli formatasi tra alcune tribù indigene dell’area nordoccidentale del paese, sono stati ufficialmente riconosciuti come appartenenti al popolo ebraico, nonostante i pareri negativi sia degli storici sia dei genetisti.

Oggi tremila di questi nuovi ebrei indiani sono già immigrati in Israele, mentre altri settemila vivono ancora nel gigante asiatico dove, alcune centinaia di chilometri più a sud, un’altra piccola comunità indigena osserva la religione ebraica. Si fanno chiamare Bene Ephraim e affermano, naturalmente, di discendere dall’omonima tribù perduta.

 

 


[1] Stima a luglio 2018. Fonte: Central Intelligence Agency, The World Factbook, https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/ni.html (ultimo accesso: dicembre 2019)

[2] Gli Igbo furono uno dei gruppi etnici dominanti dello stato secessionista del Biafra, che combatté una guerra, persa, per separarsi dalla Nigeria tra il 1967 e il 1970. La carestia determinata dall’embargo nigeriano provocò la morte di centinaia di migliaia di civili biafrani.

 

 

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