Takuba – la nuova missione militare multilaterale a guida francese in Mali – è iniziata a marzo. L’obiettivo è la stabilizzazione del paese africano e di almeno parte della grande regione del Sahel, al fine di regolare i flussi migratori, controllare i traffici illeciti e contrastare il jihadismo.
L’operazione coinvolge molti paesi europei. Oltre all’Italia: Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Germania, Olanda, Norvegia, Portogallo, Svezia, Regno Unito e Grecia. Partecipano, inoltre, i paesi membri del G5 Sahel (Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad). Si punta a mettere in campo un contingente complessivo composto da circa un migliaio di militari europei – l’Italia schiererà al massimo duecento soldati e mette a disposizione venti mezzi terrestri e otto mezzi aerei.
Riguardo al ruolo dei militari italiani lo Stato Maggiore della Difesa ha dichiarato che «al momento sono in afflusso i primi nuclei di personale incaricati dello svolgimento delle iniziali attività logistiche che prevedono, tra l’altro, l’impianto di una struttura infermieristica con capacità “Role 1” [il servizio sanitario di emergenza per i militari feriti], di stanza a Menaka. L’obiettivo della missione è quello di “assist, advise e accompany” a favore delle forze regolari maliane. In tale contesto, la partecipazione delle Forze Armate italiane si articolerà su assetti elicotteristici per il trasporto e l’evacuazione medica e su unità di addestratori in accompagnamento alle forze locali che opereranno di concerto con i contingenti degli altri partner internazionali e della Forza congiunta dei G5 Sahel». Compiti che combaciano con le finalità di tutti i militari coinvolti nella missione: addestramento e accompagnamento delle forze armate saheliane nelle operazioni di contrasto al terrorismo.
L’attenzione dei paesi europei coinvolti non è rivolta principalmente agli interessi economici della regione, ma ai suoi aspetti securitari (contrasto al jihadismo, ai traffici illeciti e controllo delle migrazioni), fondamentali per l’Europa. Consolidare gli equilibri del Sahel è un obiettivo funzionale alla più ampia stabilizzazione dell’Africa. Il continente viene visto infatti, come sottolineato anche dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini in un’intervista al quotidiano La Repubblica, come un’unica area di crisi.
Una visione confermata anche dal ministro degli Esteri Luigi di Maio che, durante la presentazione delle linee programmatiche della politica estera italiana a marzo, ha indicato il Mediterraneo e l’Africa come area prioritaria. Dichiarazioni che si pongono in continuità con l’indirizzo di politica estera che dalla pubblicazione del Libro bianco del 2015 ha visto la crescente centralità del Mediterraneo allargato – un’area strategica compresa tra la linea Gibilterra – golfo di Aden, il Medio oriente e la sponda Nord del Mediterraneo.
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Si spiega così la presenza militare in Libia, Niger, Somalia, Golfo di Guinea e Burkina Faso, così come l’apertura delle ambasciate in Niger (2017), Guinea (2018) e Burkina Faso (2018), aree fondamentali per il controllo dei flussi migratori e per il contrasto al jihadismo. La partecipazione italiana all’operazione Takuba va quindi contestualizzata in questo rinnovato impegno. Impegno che ha trovato conferma a maggio con la partecipazione di Mario Draghi al vertice di Parigi sull’Africa e con la visita di Guerini e del capo di Stato maggiore della Difesa Vecciarelli in Mali e Niger.
Secondo stime affidabili, rispetto al 2019, nel corso del 2020 le violenze ad opera dei gruppi fondamentalisti nel continente sono aumentate del 43% . La crescita dei gruppi armati che fanno riferimento alla galassia del fondamentalismo islamico è arrivata così a coinvolgere anche zone che fino a poco tempo prima non erano interessate dalle infiltrazioni jihadiste. Lo Stato Islamico (ISIS) ha trovato nuova vita grazie alle alleanze con i gruppi militanti locali che hanno garantito reclute, finanziamenti e visibilità. L’attacco alla città di Palma, in Mozambico, al confine con la Tanzania, vicino ad un importante sito di estrazione di gas, è uno degli esempi più recenti. Per contrastare queste insorgenze sono state attivate numerose missioni nel corso degli anni, sia sotto l’egida delle Nazioni Unite che dell’Unione Europea. Altre, come “Opération Barkhane” (attivata nell’agosto 2014, Macron ne ha annunciato a giugno l’imminente chiusura), sono invece a guida francese.
L’onere economico e la morte di diversi soldati francesi hanno reso difficile sostenere l’impegno militare di Parigi in Sahel di fronte all’opinione pubblica. Per il presidente Emmanuel Macron ridurre il numero di soldati francesi mantenendo lo status di media–potenza è divenuto un obiettivo da centrare anche in vista delle elezioni presidenziali che si terranno tra meno di un anno. L’operazione Takuba risponde quindi alla necessità di Parigi di condividere le incombenze legate alla presenza politico-militare in Africa con gli alleati europei. Un obiettivo caro al presidente francese che già durante il discorso alla Sorbona del 2017 aveva fatto riferimento alla necessità di una strategia europea comune che fosse in grado di europeizzare non solo la politica estera, ma anche la difesa e quindi le missioni internazionali.
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I primi soldati francesi in Sahel sono arrivati nel 2013, quando l’esecutivo maliano aveva richiesto un intervento della Francia per contrastare l’avanzata di gruppi armati jihadisti nel nord del paese (Opération Serval). Per far fronte alla natura transfrontaliera del jihadismo locale, l’anno seguente Parigi decise di estendere l’area delle operazioni al Sahel con Barkhane. Parallelamente un’iniziativa securitaria multilaterale lanciata con il sostegno francese dava vita al G5 Sahel. “L’Europa ha due spade di Damocle sulla sua testa: il terrorismo e i rapimenti, ma anche le migrazioni illegali”, aveva affermato la ministra della Forze Armate Florence Parly nel giugno 2019, coerentemente a quanto sostenuto da Macron alla Sorbona.
Sulla base di queste premesse nell’ottobre del 2019 la Francia iniziò i colloqui con i partner europei per creare una task force composta da forze speciali da mandare in Mali per affiancare le forze del G5. Già il 5 novembre 2019 Parly rese noto, a margine di una visita in Mali, la creazione di Takuba. Nel gennaio 2020, durante la conferenza stampa seguita al vertice di Pau sul Sahel, Macron sottolineò l’importanza della nuova missione. Il 27 marzo 2020 una dichiarazione congiunta dei vertici di Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Mali, Niger, Olanda, Norvegia, Portogallo, Svezia e Regno Unito informò della creazione della task force Takuba per far fronte all’aggravarsi della situazione in Mali e nel Sahel. L’Italia aderì il 16 luglio 2020 con l’approvazione del decreto missioni da parte del Parlamento. Nel frattempo, il 30 giugno, il summit di Nouakchott confermava l’impegno assunto nella regione dai paesi precedentemente citati. Infine, il vertice di N’Djamena dello scorso febbraio ha conferito rinnovato impulso politico e diplomatico alla coalizione franco–saheliana.
Missioni come Takuba potrebbero creare quell’unità di intenti e di visioni cui Macron faceva riferimento nel discorso alla Sorbona del 2017. L’operazione, interessando diversi paesi membri dell’Unione su problematiche comuni, si potrebbe infatti considerare una missione europea a tutti gli effetti, se non fosse che è nata coinvolgendo i singoli Stati e non gli organi comunitari. In tal senso Takuba è un esempio di come Parigi concepisca il quadro europeo: funzionale alla sua ridotta capacità di esercitare lo status di media–potenza in modo autonomo. Condividere gli oneri senza cedere ad un’altra autorità (l’Unione Europea) le prerogative in materia di difesa è per Parigi un obiettivo storico.
Dopo la chiusura di Barkhane, Takuba assume inoltre un’importanza maggiore nell’ottica francese (ed europea). Per Parigi assolve in maniera più completa alle proprie esigenze; per Macron è un risultato da poter vendere in campagna elettorale: Barkhane era mal vista da larga parte dell’opinione pubblica francese e criticata perché non avrebbe assolto ai propri obiettivi. Il Sahel rimane infatti una regione instabile, come dimostrano i tentativi di colpo di Stato in Niger a marzo e in Ciad ad aprile e il secondo colpo di Stato in meno di un anno in Mali – il primo ad agosto 2020, il secondo a maggio 2021. Pertanto Takuba assolve alla necessità di stabilizzare una regione fondamentale per gli aspetti securitari europei, contenendo inoltre la penetrazione di Cina e Russia che potrebbe avvantaggiarsi della volubilità del quadro saheliano e delle critiche mosse dalle popolazioni locali alla presenza francese.
Pechino ha infatti diversi interessi economici in Africa, anche legati alla Belt and Road Initiative. Per Mosca si tratta di ristabilire il controllo sulle sfere di influenza di epoca sovietica – di cui il Mali era parte – attraverso la collaborazione economica e militare. La Russia potrebbe quindi profittare del colpo di Stato del maggio scorso in Mali che, secondo alcuni, avrebbe influenzato. Mosca, infatti, ha in questi anni rafforzato la presenza nel paese con una serie di accordi di cooperazione militare e ha beneficiato della presenza di simpatizzanti filo-russi. Ma soprattutto il leader golpista Assimi Goita è considerato uomo vicino a Mosca. È in tal senso che Takuba potrebbe rilevarsi uno strumento volto anche al contenimento della Russia nel Sahel.