Il governo italiano ha annunciato la presentazione di un “Piano Mattei per l’Africa” in occasione del summit intergovernativo Italia-Africa di ottobre 2022. Il piano, ancora in fase di definizione, dovrebbe ruotare attorno a due pilastri: fare dell’Italia l’hub europeo per l’importazione di energia attraverso il Mediterraneo, e lanciare una strategia di sostegno alla crescita e allo sviluppo sostenibile di alcune regioni del continente africano, anche con l’obiettivo dichiarato di ridurre l’arrivo di migranti in Italia.
Maggiore iniziativa politica e di cooperazione allo sviluppo italiana in Africa è necessaria da molti punti di vista. Gli effetti della pandemia, la conseguente inflazione e il rialzo dei tassi di interesse stanno portando a rischio default ed emergenza sociale molti Paesi in via di sviluppo, a partire da questo continente. Le già modeste promesse di aiuti pubblici verso questi Paesi (tra cui i 100 miliardi l’anno in finanza per il clima promessi dai paesi sviluppati ai paesi in via di sviluppo alla COP di Copenaghen già nel 2009) sono andate in buona parte disattese, anche dall’Italia. Italia ed Europa hanno in Africa una triplice sfida: sostenere sviluppo e stabilità politica in un continente in rapida crescita demografica, procedere rapidamente sulla via della transizione energetica per contenere gli effetti del cambiamento climatico, e garantire la sicurezza energetica europea dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
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La risposta a queste sfide sta nel mettere insieme sviluppo sostenibile e transizione energetica. Lo sviluppo richiede energia, in particolare energia elettrica. La domanda cruciale è quindi se l’Africa investirà in combustibili fossili, riconvertendosi successivamente a fonti rinnovabili, o se punterà subito sulle rinnovabili.
In molti Paesi occidentali costruire un nuovo impianto di rinnovabili costa oggi meno di uno a combustibili fossili. Non è così in Africa dove il ritorno atteso dagli investitori privati (il costo del capitale) per investimenti in energie rinnovabili è spesso troppo alto e rende l’energia generata troppo costosa. Per questo è necessario un maggiore sforzo delle banche pubbliche di investimento per fornire capitale ma anche e soprattutto conoscenze tecniche per realizzare i progetti in cantiere.
L’energia è il primo motore di sviluppo. L’accesso all’energia elettrica è essenziale per l’inclusione sociale e necessario per lo sviluppo industriale senza il quale non c’è lavoro e lotta alla povertà. Senza elettrificazione lo sviluppo sostenibile è impossibile. Governi, lobbisti e ONG si arroccano spesso su posizioni di principio a favore o contro l’uso di combustibili fossili in Africa. Una quota residuale di combustibili fossili per la produzione di energia elettrica è per ora certamente necessaria (come del resto per le economie più avanzate), ma come e quanto dipende dalle condizioni di ciascun Paese. Uno studio della Energy Transition Commission stima che in Europa ci sia ancora bisogno di una quota residuale di produzione da combustibili fossili attorno al 20%. Anche in Europa la transizione energetica è appena agli inizi. Ad oggi l’80% delle fonti di energia utilizzate nell’Unione Europea sono ancora non rinnovabili.[1] In Africa, i combustibili fossili continueranno a essere indispensabili nel medio periodo in alcuni settori industriali (come cemento e autotrasporti), e resterà necessaria una quota residuale di combustibili fossili per la produzione di energia elettrica (quanto grande debba essere questa quota è la grande domanda irrisolta), ma non c’è ragione di arrendersi a una industrializzazione alimentata soltanto a gas e carbone.
Resta infine la questione della sicurezza energetica europea e la volontà di vari Paesi africani di investire in gas per esportarlo in Europa e Asia. E’ difficile chiedere ai Paesi in via di sviluppo di non investire in combustibili fossili quando ancora si investe in carbone in parti degli Stati Uniti e in gas in Europa. Ma occorre una prospettiva di lungo periodo. Il consumo di gas in Europa è destinato a diminuire e il gas mediorientale costa, spesso, meno di quello nordafricano e molto meno di quello dell’Africa subsahariana. Resta quindi da capire dove ha senso ancora investire marginalmente in combustibili fossili, rimediando ai danni ambientali, e dove invece non ci sarà mercato.
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Con poche eccezioni nella storia diplomatica italiana infatti, i grandi Paesi occidentali non aspettano Roma per portare avanti le proprie priorità, seguono però l’Italia quando questa porta proposte concrete, dà l’esempio e costruisce consenso. Negli ultimi anni Bruxelles, Parigi e Roma hanno visto varie riedizioni di piani per l’Africa, ma con modesti risultati. Il Piano Mattei può portare valore aggiunto se l’Italia va oltre le iniziative bilaterali per guidare un processo multilaterale offrendo competenze tecniche, risorse finanziarie e politiche che l’Italia non ha finora messo in campo avendo esperienza ancora limitata nella finanza per lo sviluppo – un’esperienza che può sicuramente costruire.
Per il governo italiano il carattere distintivo del Piano Mattei dovrà essere la ricerca di soluzioni che mettano al centro le concrete necessità di sviluppo e richieste dei paesi partner africani. Dopo vari fallimenti nel recente passato per costruire rapporti di vera fiducia con le società e leadership africane, mettere da parte logiche predatorie è essenziale e dovrebbe interessare anche i maggiori partner Europei dell’Italia.
Infine, il Piano Mattei viene presentato come strumento sia di cooperazione allo sviluppo che di politica estera e di sicurezza italiana in Africa. Le politiche di sicurezza e di sviluppo si devono muovere nella stessa direzione ha hanno obiettivi diversi che necessitano di strumenti diversi e separati. Le politiche di cooperazione e sviluppo, per avere successo, hanno bisogno di chiarezza sugli obiettivi strategici di natura politico-diplomatica, ma anche di una buona autonomia dalla politica nella messa a terra. I tempi e le competenze necessarie per affrontare sfide come lo sviluppo economico ed energetico in Africa sono diversi da quelli della politica e della diplomazia. Non è un caso che nella maggior parte dei paesi occidentali le agenzie per lo sviluppo e le istituzioni per la finanza allo sviluppo operino entro obiettivi fissati dalla politica, e rispondano alla politica per i risultati ottenuti, ma prendano poi decisioni operative e di investimento in relativa autonomia. Anche questo è un tema su cui il governo italiano potrebbe riflettere.
[1] Si veda: https://ec.europa.eu/eurostat/web/interactive-publications/energy-2023#renewable-energy