Dopo Vilnius: la NATO oltre il rapporto transatlantico

 Il Summit della NATO a Vilnius (11-12 luglio) ha sancito un passaggio strategico che è stato preparato da tempo, ma che è stato accelerato dalla vicenda russo-ucraina e dalle ambizioni cinesi (fatte di coercizione economica accoppiata a un massiccio programma di riarmo militare). L’amministrazione Biden ha trainato uno sforzo collettivo di aggiornamento dei compiti e degli orizzonti geografici dell’Alleanza, che inseriscono pienamente i rapporti transatlantici nel contesto globale degli anni Venti di questo secolo.

La sede del summit NATO a Vilnius

 

Si può notare intanto che la questione che sembrava dominare l’avvicinamento al vertice – cioè la richiesta ucraina di adesione – non è risultata realmente centrale. Riguardo al Paese aggredito dalla Russia, prima nel 2014 e poi nel 2022, il punto fondamentale non è comunque l’ingresso nella NATO (per quanto certamente Kyiv voglia insistere su quella strada), ma la capacità ucraina di difendersi, anche per evitare il ripetersi delle due scellerate scelte di Mosca. L’Alleanza sta già condizionando, quotidianamente, la situazione sul terreno, avendo invertito nell’arco delle prime settimane di guerra i rapporti di forza; oggi l’esercito e la popolazione ucraini sono in grado non solo di fermare l’avanzata russa ma anche di recuperare territori – sebbene finora lentamente e con costi elevatissimi. Detto in altri termini: sostenendo in modo massiccio Kyiv, si è messo il Paese invaso in grado di difendersi, di fatto realizzando la sua integrazione accelerata con la NATO – una profezia auto-avverata dalle scelte di Putin.

 

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La questione della doppia richiesta di adesione meno problematica, quella di Finlandia e Svezia, è stata risolta senza troppe controversie, confermando soprattutto una capacità di attrazione dell’Alleanza che ha sorpreso addirittura i suoi più grandi ammiratori. Sulla specifica vicenda svedese, la Turchia di Erdogan (fresco di rielezione) ha tolto un veto che era chiaramente strumentale, e appare intenzionata a recuperare un ruolo più costruttivo e affidabile invece di giocare da battitore libero come negli ultimi anni. Evidentemente, di fronte alla sconfitta militare russa e al quasi-stallo della crescita economica cinese, ad Ankara stanno facendo valutazioni più prudenti anche sull’intera vicenda dei BRICS come grande alternativa agli assetti attuali.

L’agenda di Vilnius è stata comunque ben più vasta, come attestato dalla presenza al Summit dei Capi di Stato di Australia, Corea del Sud, Giappone, Nuova Zelanda (oltre ai Presidenti del Consiglio Europeo e della Commissione).

Del resto, il comunicato finale ha ribadito un concetto fondamentale che porta con sé una visione globale – non per ambizioni di potenza o controllo, ma per evidenti ragioni di concretezza strategica nel mondo fortemente interconnesso dei nostri giorni: “We will continue to ensure our collective defence from all threats, no matter where they stem from”.

Per rendere più concreto l’obiettivo strategico, si precisa che “The People’s Republic of China’s (PRC) stated ambitions and coercive policies challenge our interests, security and values. We remain open to constructive engagement with the PRC, including to build reciprocal transparency, with a view to safeguarding the Alliance’s security interests. We continue to be confronted by cyber, space, hybrid and other asymmetric threats, and by the malicious use of emerging and disruptive technologies”.

Quindi, sulla grande questione “sistemica” di questi anni – la Cina – la NATO adotta un approccio di sorveglianza attiva, per così dire. Intanto, sullo sfondo agisce già un effetto indiretto della guerra in corso in Ucraina: la leadership cinese ha ben compreso quanto sia difficile e costoso tentare di conquistare un vasto territorio la cui popolazione è decisa a difendersi e ha come alleati i Paesi guidati dagli USA. Superfluo aggiungere che lo hanno compreso anche a Taipei, il che produce almeno una sorta di spinoff positivo della tragedia ucraina.

Quanto al quadro pan-europeo, il Comunicato finale non può far altro che constatare l’autoesclusione della Federazione Russa da ogni possibile sistema di sicurezza comune. La NATO resta la sola organizzazione realmente funzionante in questo settore, ma non per sua scelta pianificata.

A fronte di queste sfide, l’Alleanza si consolida, visto che tutti i membri attuali ne riconoscono la valenza insostituibile più ancora che un anno e mezzo fa; si allarga (nell’immediato a Finlandia e Svezia, e con tempi diversi almeno all’Ucraina); si connette in modo strutturato con la rete di alleanze a guida americana già esistenti da decenni in Asia-Pacifico. Un’organizzazione che rappresenta attualmente circa un miliardo di abitanti sta così stringendo accordi pragmatici con Paesi-chiave del Pacifico che sono governati democraticamente, hanno forti economie di mercato, e sono dotati di strumenti militari di prima qualità (che usano responsabilmente). E’ un segnale importante al resto del mondo.

E’ opportuno notare che i tre processi, di consolidamento, allargamento, e connessione dell’Alleanza, sono a guida americana pur realizzandosi con un metodo multilaterale. Per avere un quadro più completo dell’azione internazionale dell’amministrazione Biden, basta poi aggiungere l’agguerrita competizione tecnologica con la Cina e la tenuta del dollaro come valuta di riserva (oltre che di scambio), a dispetto delle ricorrenti tentazioni di elaborare una qualche alternativa. Questi sviluppi confermano anche, tra l’altro, la valutazione che il quadrienno di Donald Trump è stato un’eccezione e un’anomalia – non certo l’avvio di una fase nuova: sui pochi dossier che contano davvero in chiave di sicurezza ed assetti globali, non c’è alcun segnale di “retrenchment” americano, e neppure di unilateralismo spinto.

 

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Lo conferma tra l’altro il rilancio del G7 come foro di consultazione regolare, incaricato ora di assicurare all’Ucraina un ulteriore flusso di aiuti, sia in ottica militare sia civile in vista della futura ricostruzione. Incidentalmente, il persistente ruolo del G7 ricorda a tutti l’enorme occasione persa dalla Russia, alla quale fu offerto perfino un formato ad hoc – il G8, appunto – per perseguire un “aggancio” stabile. Nulla di più lontano dalle tesi bislacche su un presunto accerchiamento ostile della Federazione Russa.

Ad oggi, gli Stati Uniti restano dunque al centro di una vasta rete di alleanze, e sono soprattutto di gran lunga il principale garante della libertà di navigazione lungo le maggiori rotte marittime, cioè le rotte che collegano Asia ed Europa, passando per l’Oceano Indiano e il Medio Oriente/Mediterraneo. Ma svolgono una funzione così cruciale rafforzando forme di collaborazione multilaterale e bilaterale, non certo in splendido isolamento.

E’ proprio in questa logica che gli europei dovrebbero ragionare concretamente sul loro specifico contributo all’Alleanza: non tanto nel senso di coadiuvare direttamente gli impegni militari americani in Asia, quanto piuttosto nel senso di occuparsi in prima linea della sicurezza e del benessere delle aree a ridosso del Vecchio Continente. E’ questa la divisione dei compiti sui cui l’Europa deve fare meglio e di più, al di là della promessa ribadita ancora una volta sul famoso 2% del PIL da dedicare alle spese per la difesa.

La NATO si è già spinta oltre il classico rapporto transatlantico; è ora che la sua componente europea (e la stessa UE come tale, con le sue specificità) diventi più forte ed efficace. L’obiettivo qui non è rendersi “autonomi” dagli USA – concetto alquanto bizzarro, in un mondo che rimane terribilmente interdipendente, nel bene e nel male – anche perché Washington è il maggiore alleato dell’Europa. L’obiettivo è invece rendere più efficace l’azione congiunta e coordinata di Paesi che collaborano da decenni e che hanno affermato solennemente (nei Trattati UE) di voler integrare progressivamente tutte le prerogative nazionali. Un cenno nel Comunicato di Vilnius punta esattamente su un aspetto di tale processo, ovvero la cooperazione industriale, sia intra-europea che euro-americana. Il ruolo decisivo delle capacità industriali è stato peraltro evidenziato dalla crisi ucraina, ma ciò vale anche per le strutture di intelligence – di cui si è parlato poco in questi mesi. Su tutti questi versanti, l’integrazione è il moltiplicatore decisivo, e la chiave del successo sta in un doppio binario: intra-europeo (a livello UE, e se possibile con un coinvolgimento britannico) e transatlantico.

 

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Il tradizionale nucleo euro-americano è tuttora il cuore dell’Alleanza più potente della storia, ma una sua forza sta nella capacità di continuo adattamento, sia geografico sia tematico (si pensi al terrorismo nelle sue varie forme, e alla cybersicurezza). Gli sviluppi globali impongono di guardare oltre il passato.

 

 

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