Internet, la religione e il battito della farfalla

“Un battito d’ali di farfalla può provocare un uragano a mille chilometri di distanza”: è un vecchio adagio che, a volte, si applica anche alla politica e alle relazioni internazionali. Secondo alcuni, questo tipo di dinamica è osservabile nelle fluttuazioni dei mercati globali, che spesso dipendono da eventi interni a un paese, i cui effetti vengono magnificati e si riverberano a livello mondiale. Più raramente si fanno accostamenti di questo tipo nello studio della politica, in cui gli ambiti interno e internazionale sono spesso non comunicanti. Nel tentativo di interpretare le rivoluzioni arabe, è utile ricordare il libro di James Rosenau, Turbulence in World Politics, scritto proprio contemporaneamente al crollo del comunismo, cioè del grande evento che molti paragonano a quanto sta accadendo oggi nel mondo arabo.

Rosenau affermava due decenni fa (quindi agli albori di internet) che la rivoluzione nel mondo della comunicazione – associata ad una maggiore possibilità di azione da parte dei cittadini e al sorgere di issue transnazionali – stesse mettendo in crisi l’ordine internazionale. Il risultato sarebbe stato un mondo nel quale sarebbe stata sempre più labile la divisione tra politica interna e politica estera, nel quale gli stati sarebbero stati bypassati, a molti livelli, da una pluralità di attori.

Questo modello ricorda molto quanto sta accadendo sulla sponda sud del Mediterraneo, dove da alcuni mesi il livello locale e quello transnazionale si confrontano e si interfacciano in un continuo mutare di situazioni. E ciò anche se il corso degli eventi è stato innescato da rivolte locali, legate a un determinato contesto socio-politico e a rivendicazioni specifiche. L’aspetto nuovo è determinato dal fatto che questi disordini sono stati pubblicizzati in tutto il Medio Oriente dalle televisioni satellitari e dai filmati dei manifestanti caricati su YouTube. In altri contesti, nei quali esistevano rivendicazioni simili riguardo a problemi economici e di deficit democratico, queste immagini sono diventate una fonte di ispirazione e di esempio per nuovi movimenti sociali, creati in gran parte mediante i social network. Che queste dinamiche non siano spiegabili semplicemente in base a schemi del passato, ma rappresentino qualcosa di sostanzialmente nuovo, è dimostrato dal fatto che si siano estese anche al di fuori del mondo arabo, dall’Iran (dove l’assetto di potere è sicuramente diverso rispetto alle autocrazie per lo più laiche che governavano il Nord Africa), fino alla Cina (dove la ‘rivoluzione dei gelsomini’ ha fatto proseliti, tanto da indurre le autorità a bloccare la ricerca di questa frase su internet, e a intervenire preventivamente e duramente nei luoghi fissati per i raduni).

Siamo davvero di fronte a nuove dinamiche, come dimostra anche un’altra vicenda accaduta nelle scorse settimane, che ricorda in modo ancora più preciso la metafora della farfalla. Il 20 marzo Terry Jones, un pastore evangelical di una piccola chiesa di Gainesville, Florida ha bruciato il Corano, dopo avere messo in scena un processo farsa e avere giudicato il testo colpevole, fra l’altro, di istigazione al terrorismo. Jones aveva già minacciato di compiere questo gesto l’anno scorso, in occasione dell’anniversario dell’11 settembre (per protestare contro la progettata costruzione di una moschea nei pressi di Ground Zero), ma era stato dissuaso dopo che la questione aveva attirato molta attenzione a livello nazionale e internazionale. A seguito del compimento di questo gesto si è avverato quanto era temuto da molti, ovvero la promozione di una serie di proteste e manifestazioni in diversi paesi islamici, che sono culminate nell’attacco alla sede delle Nazioni Unite di Mazar-i-Sharif, in Afghanistan – e quegli scontri hanno causato la morte di almeno dodici persone.

Sebbene le tecnologie utilizzate in questo caso siano molto diverse, colpisce la stessa interrelazione tra locale e globale, che pone in interazione persone e gruppi di diverse parti del mondo pur non godendo, di per sé, di alcuna rilevanza internazionale. Da un lato, è evidente la consapevolezza del religioso americano, che affida a YouTube i suoi messaggi a proposito di un presunto piano dell’Islam per sottomettere l’occidente: Jones comprende bene la potenza di un gesto simbolico come il rogo del Corano, sia per chiamare a raccolta i suoi correligionari, sia per provocare il campo avverso. Dall’altro, abbiamo dei religiosi musulmani “di provincia” che, nel contesto del devastato Afghanistan post-bellico, apprendono dalla radio le notizie e incitano i fedeli alla vendetta contro tutti i simboli occidentali, ritenendo che quanto avvenuto dall’altra parte del mondo riguardi direttamente le loro vite.

Questa dinamica ricorda – per la concatenazione degli eventi e il comportamento di diversi attori – l’ondata di proteste che seguì la pubblicazione delle vignette danesi su Maometto, avvenuta nell’autunno del 2005. Anche in quel caso si combinavano il desiderio di provocazione, da parte di chi aveva promosso la creazione e la pubblicazione delle vignette, e quello della strumentalizzazione da parte di alcune organizzazioni islamiche. Anzi, è lecito supporre che se la maggior parte dei paesi arabi non fossero in questo momento così concentrati sulle rivolte interne, anche le proteste contro il rogo del Corano si sarebbero potute estendere oltre l’Afghanistan e il Pakistan, proprio come avvenne nel 2005.

Sia gli eventi mediorientali sia quelli afgani (che sono solo gli esempi più attuali e rappresentativi di fenomeni globali) ci insegnano che la porosità dei confini statali non è oggi più controllabile. Laddove si possono riuscire a fermare i terroristi e le loro bombe, non è più possibile, infatti, bloccare il flusso delle informazioni e i gruppi capaci di sfruttare il palcoscenico globale. Da questo punto di vista ha perfettamente ragione chi sostiene che l’11 settembre (esempio massimo e al tempo stesso atto inaugurale di questo tipo di “comunicazione”) ha cambiato il mondo per sempre.

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