Il settore immobiliare in Europa: uno specchio della crisi

Pochi mercati come quello immobiliare sono intrinsecamente legati ai livelli di benessere e al dinamismo di un paese. Le vicende degli ultimi anni dei vari settori immobiliari europei riassumono in molti casi le success o le failure stories, i successi o gli insuccessi, delle economie del vecchio continente.

Non stupisce che la situazione greca sia la più critica. Colpiti dopo il 2009 da licenziamenti, tagli di stipendi o di pensioni, fallimento di fondi contributivi pubblici o privati, aumento delle tasse, molti greci semplicemente non hanno più avuto i mezzi per pagare le rate dei mutui, anche se il mercato non aveva vissuto gli eccessi di altri paesi. L’aumento dell’insolvenza è tipico di ogni situazione di crisi economica; data la durezza della recessione greca e della cura imposta per curarla, la morosità è cresciuta in maniera dilagante in tutte le fasce sociali.

Di fronte alla eventualità di un’ondata di sfratti che avrebbe riguardato più di mezzo milione di persone, il governo era intervenuto nel 2010 con una legge che in molti casi, di fatto, li impediva. Ma BCE, FMI e Commissione europea (la cosiddetta troika) ora vogliono che la Grecia abolisca questa legge. Il credito locale, infatti, è bloccato dall’enorme insolvenza, che riguarda il 29% dei prestiti. Si pensa da un lato che rientrare in possesso dei beni immobili garantirebbe una maggiore solidità alle banche, e dunque la possibilità di riattivare l’esangue finanziamento alle imprese; dall’altro, che in realtà i greci nascondano le loro vere ricchezze.

Tuttavia, il governo conservatore, in altri casi pronto a soddisfare le esigenze della troika, stavolta si oppone. Il cielo di Atene, questo autunno, ha perso la sua solita limpidezza: l’aumento delle tariffe sul gasolio domestico, chiesto da Bruxelles, ha spinto molti a bruciare i mobili di casa, per riscaldarsi, piuttosto che usare i termosifoni – e il gettito fiscale è diminuito. Se il blocco degli sfratti dovesse saltare le cose peggiorerebbero in maniera drammatica, dicono i contrari; ed è lecito dubitare che tutta l’economia ne trarrebbe beneficio. Le due parti dovrebbero presto giungere a un compromesso, ma la prospettiva di una ripresa intanto resta remota.

Difficile, per fortuna, incontrare contesti altrettanto disgraziati. L’Irlanda, benché appena uscita dal programma di rientro di 28 miliardi concordato con FMI e Bruxelles, vive però una situazione simile a quella greca sul fronte degli sfratti – dovuta soprattutto allo scoppio della sua bolla immobiliare. Nella ex tigre celtica si è costruito troppo e si è venduto irresponsabilmente ad acquirenti a forte rischio morosità: tanti di loro oggi non possono più pagare le rate.

La legge irlandese è stata già adeguata alle richieste della troika: teoricamente, sfratti immediati sono possibili. Ma le banche locali, nazionalizzate, non si sono ancora risolte alla mano pesante: il governo che le controlla ha paura di innescare una gravissima crisi sociale, e inoltre il riscatto degli immobili, svalutati del 50% rispetto ai prezzi pre-crisi, non basta a ricostruire il perduto valore economico. Tuttavia, la recessione è passata e si prevede per il 2014 una crescita del PIL dell’1,5%: abbastanza per credere a una lenta normalizzazione. Lo conferma il recente aumento dei prezzi delle case nel centro di Dublino, dove i nuovi assunti – l’Irlanda continua ad attirare aziende da tutto il mondo grazie ai suoi sconti fiscali – dopo la fuga degli anni scorsi, stanno tornando a vivere.

Tra gli stati impegnati in duri piani di risanamento finanziario, il Portogallo ha deciso di intraprendere un’altra strada per rivitalizzare il suo mercato immobiliare. Al di là dello stop alla costruzione di grandi infrastrutture e ai progetti di recupero dei centri storici, il mattone portoghese si era bloccato soprattutto per il calo dell’acquisto di seconde case dall’estero, e i prezzi erano scesi del 30%; sembrava che i vacanzieri e i pensionati nordeuropei avessero abbandonato definitivamente la soleggiata costa atlantica.

Il governo ha dunque deciso di cercare nuovi possibili sbocchi, consapevole della maggiore appetibilità del Portogallo in confronto ad esempio alla Spagna – che al calo degli acquisti internazionali aggiunge il rovinoso scoppio della propria bolla speculativa. Si è potenziata l’attività delle agenzie nelle ex colonie, oggi in pieno boom: Brasile e Angola – e anche in luoghi legati comunque all’antica presenza commerciale portoghese, come la Cina o Singapore. La legge offre poi a tutti i compratori esteri disposti a trasferirsi l’esenzione dalle tasse sulla pensione. Infine, si concederà un visto di cinque anni e la cittadinanza a tutti gli extracomunitari che investiranno nel mattone almeno un milione o creeranno trenta posti di lavoro. Negli ultimi dodici mesi sono stati già quattrocento.

Il paese che sembra essere riuscito più di tutti a invertire la spirale negativa innescata dalla crisi è senz’altro il Regno Unito. Il mercato inglese si era bruscamente contratto negli anni scorsi, anche se non quanto quello irlandese. Nell’ultimo anno, il settore edilizio è invece tornato a crescere (+4,8%), trainando il PIL: merito non solo dei bassi tassi d’interesse garantiti dalla Banca d’Inghilterra – anche la BCE li tiene al minimo, ma senza riuscire a incidere davvero sui mercati molto diversificati dell’eurozona – ma anche di grandi programmi infrastrutturali, dell’incentivo Help to Buy che copre parte del credito ipotecario dei nuovi acquirenti di fascia bassa, e della deregulation che facilita l’edilizia privata prima bloccata dalla pianificazione locale.

Ci sono però dei dubbi sull’efficacia di lungo periodo di tali provvedimenti: secondo le stime, le famiglie inglesi sono titolari oggi del 20% di tutto il debito privato europeo nel settore immobiliare – fatto che induce vari analisti a prevedere una nuova bolla.

Dove l’intervento pubblico fatica a risultare efficace è la Francia: il piano presentato in settembre dalla ministra Cécile Duflot prevede tra l’altro un tetto alla crescita degli affitti, che nelle città non potranno andare oltre il 20% di una cifra mediana fissata dai prefetti quartiere per quartiere. Il problema è che gli affitti, in Francia, sono già altissimi: sono raddoppiati dal 2000 ad oggi, così come i prezzi; parallelamente le domande per le case popolari hanno superato quota 500.000, ed ogni anno se ne può soddisfare solo una su dieci. La crisi non ha invertito la tendenza, o meglio il mercato si è spezzato in due parti distinte, anche geograficamente vicine: una depressa e una rampante – questione che il piano Duflot non affronta. Lo testimoniano i prezzi alle stelle del centro di Parigi, area che non conosce crisi, mentre la banlieue e i centri industriali dell’Ile de France scontano cantieri fermi e crolli dei valori. Accedere a un appartamento nuovo, data anche la scarsa offerta, è così complesso che nelle liste d’attesa per gli alloggi popolari abbondano anche gli impiegati pubblici di alta fascia.

Un assaggio di “normalità” lo si può avere solo in Germania. Il mercato tedesco, crisi o non crisi, viene da un periodo di stabilità di prezzi ventennali – con alcune eccezioni, come la Baviera e Berlino. Solo nell’ultimo anno e mezzo si assiste ad un aumento dei prezzi più generalizzato: a renderlo possibile è la crescita dei salari, che facilita la concessione di mutui, e degli immigrati qualificati, che interessa specialmente le città.

Nel complesso, il settore immobiliare europeo, caratterizzato da fortissime specificità non solo nazionali ma anche locali, è percorso però da un fenomeno comune che obbedisce alla legge della domanda e dell’offerta in un mercato integrato: la forte svalutazione delle aree più colpite dalla recessione, e l’apprezzamento eccessivo di quelle protagoniste della ripresa. Si tratta di una tendenza che molti stati, da soli, non sono attualmente in grado di gestire.

 

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