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L’Europa vista da Washington: il tramonto dell’Occidente

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 “L’Unione Europea è quasi cattiva quanto la Cina, solo più piccola”. Questa vecchia frase di Donald Trump mi è tornata in mente a Washington, dove Aspen Institute Italia ha organizzato un incontro con i think tank vicini alla Casa Bianca. I nostri colleghi americani non hanno fatto niente per nascondere che l’Amministrazione corrente non ama affatto l’Unione Europea.

 

I rapporti con i singoli Paesi del Vecchio Continente sono considerati ancora rapporti fra alleati: in particolare con i governi più vicini, come l’Italia. La relazione con l’UE è invece vista come competitiva, stabilendo così una separazione netta fra l’Unione e i suoi Stati membri. La sensazione è che l’America ritenga probabile una disgregazione del Vecchio Continente. Esponenti della Heritage Foundation, ad esempio, continuano a vedere in Brexit un primo passo in questo senso. In realtà, i partiti della destra sovranista sembrano avere deciso di esercitare la loro influenza dentro l’UE e non fuori. Da questa parte dell’Atlantico, insomma, Brexit sembra avere bruciato la “exit” come strategia politica. Da parte americana, è vero l’opposto.

Il ragionamento sulla difesa è un esempio di questa distanza di percezioni. L’aumento della spesa militare in Europa è visto come un successo personale di Trump – e probabilmente lo è. E’ vero che l’America aveva chiesto da anni all’Europa di aumentare il contributo militare alla NATO; è vero anche che solo una presidenza così nettamente “transattiva” poteva ottenere, sulla carta, impegni finanziari simili. Ma è un punto di partenza, che non cancella differenze su due temi essenziali.

Il primo naturalmente è l’Ucraina. A pochi giorni dal vertice dell’Aja, Trump – fra telefonate deludenti con Putin ed elusive con Zelensky – non ha dato garanzie certe sugli aiuti militari del Pentagono in settori essenziali per Kiev. Cosa che, nella visione europea, non mette solo in crescente difficoltà la difesa ucraina; rende anche più difficile che la Russia – definita al vertice NATO come “minaccia a lungo termine” – decida di negoziare sul serio. Ricadrà essenzialmente sull’Europa il sostegno futuro all’Ucraina. La prossima settimana si svolgerà a Roma una nuova tappa della Conferenza sulla ricostruzione: compito importante ma arduo, vista la previsione diffusa che il conflitto durerà almeno fino al 2026.

 

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Un secondo punto riguarda il rapporto fra spese militari nazionali e capacità militari europee. Per i colleghi americani, i bilanci della difesa europei devono restare aperti al “buy American”: è chiaro che sarà inevitabile nei settori dove l’industria europea è in netto ritardo (i sistemi di difesa aerea ad esempio) e che questo è anche un capitolo del negoziato commerciale USA-UE. L’America gioca volutamente sui due tavoli – sicurezza e commercio.  Al tempo stesso, i nostri interlocutori si sono detti contrari a progressi verso una integrazione della difesa europea; non solo fuori dalla NATO, cosa che si può capire, ma anche dentro la NATO, cosa che invece non ha molto senso visto che rende più difficili economie di scala. La sola spiegazione plausibile, oltre a quella industriale, l’ho citata all’inizio: l’Europa aggregata è percepita come concorrente piuttosto che alleata.

A sei mesi dall’inizio di Trump 2, il vecchio assetto di ciò che chiamavamo Occidente è relegato al cestino della storia. In parte per ragioni giuste: è chiaro che l’Europa ha delegato troppo a lungo agli Stati Uniti la propria sicurezza, con i costi relativi. In parte per ragioni sbagliate: l’America sarebbe più forte, probabilmente, se non confondesse alleati e avversari; e se non pensasse che l’indebolimento dell’UE le conviene. Soprattutto quando il rivale strategico dichiarato è sempre la Cina. Con Trump, gli Stati Uniti non sono diventati isolazionisti. Sono nazionalisti duri, parzialmente protezionisti e occasionalmente interventisti.

 

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L’Europa, in un gioco di potenza del genere, è in netta difficoltà. Perché non ha chiari i propri interessi comuni e non ha deciso come difenderli, perché comunque dipende dalla deterrenza nucleare americana e perché continua in fondo a sperare che Trump 2 sia una parentesi della storia. Il cambiamento dell’America, invece, è almeno in parte strutturale e ci impone un bagno di realtà. Solo su questa base, potremo forse trattare con gli Stati Uniti di oggi, non con quelli di ieri che non esistono più.

 

 


*Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Repubblica del 7/07/2025.