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Stati Uniti e Ucraina: la politica estera delle risorse strategiche

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 Vedremo cosa davvero produrrà l’accordo sui minerali strategici fra Stati Uniti e Ucraina firmato il 1° maggio, accordo che include anche terre rare e risorse energetiche. Affinché il Fondo congiunto sulla ricostruzione economica funzioni, è necessaria una cessazione della guerra: nessuna impresa americana investirebbe in nuove miniere di litio sotto le bombe di Mosca. E non è chiaro, secondo analisi geologiche, di quanti minerali critici e terre rare disponga effettivamente Kiev e dove: una parte delle risorse, di cui l’Ucraina mantiene la proprietà, si trovano in territori occupati da Mosca.

Mezzi al lavoro in una miniera ucraina.

 

Se l’attuazione del Fondo congiunto richiederà comunque tempi medio-lunghi, e dipenderà da accordi operativi non ancora resi pubblici, è invece immediato il valore simbolico e politico di un Accordo che dovrà essere approvato dal Parlamento ucraino. Rispetto al draft iniziale proposto da Washington, che aveva un carattere quasi “predatorio”, il testo finale è più equilibrato: sia Trump che Zelensky possono considerarlo un successo. Trump perché può dimostrare – almeno sulla carta – che l’America è capace di trarre vantaggi economici dall’impegno in Ucraina. Zelensky perché “àncora” in qualche modo gli Stati Uniti al futuro del paese. Per la prima volta, un documento firmato da Scott Bessent (segretario al Tesoro) per l’Amministrazione Trump condanna senza ambiguità l’invasione russa e parla di “allineamento strategico a lungo termine fra i due paesi” (Stati Uniti ed Ucraina).

 

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Ne derivano alcune indicazioni importanti. La prima è di metodo: con Donald Trump non conviene mai accettare la mossa di apertura – che è sempre “massimalista” – ma aspettare. Non conviene neanche rompere, e Zelensky ha rischiato grosso allo Studio Ovale, ma invece negoziare con pazienza. Il risultato sarà comunque migliore.

Washington era partita dall’idea che i proventi dello sfruttamento delle risorse ucraine fossero un pagamento dovuto degli aiuti americani passati. Questa pretesa è caduta: il Fondo servirà a nuovi investimenti congiunti – in condizioni di partenza in teoria paritarie (diritti di voto al 50% e condivisione dei profitti, da reinvestire per dieci anni in Ucraina). Il simbolismo dell’incontro di Roma è servito a creare il clima personale necessario per sigillare l’intesa, dopo due mesi di negoziati accaniti.

Seconda indicazione: un successo parziale è comunque un successo. Zelensky non ha ottenuto da Washington quello che cercava dall’inizio, ossia garanzie di sicurezza esplicite. Ma la firma dell’Accordo segna anche la ripresa di aiuti militari americani (sistemi di difesa anti-aerei per 50 milioni di dollari), che verranno pagati aumentando la quota americana nel Fondo. E’ la tipica impostazione “transazionale” di Trump, che in parte si rifletterà nella governance futura del Fondo; ma dimostra anche che l’America, mentre considera inevitabile una perdita territoriale dell’Ucraina (il 20% circa del territorio del 1991), scommette sul futuro del paese controllato da Kiev. Per Mosca equivale a un avvertimento: Trump ha una posta economica in gioco. Che diventa anche una posta politica. Vedremo se questa posizione americana durerà – con Donald Trump le svolte sono continue, lo sappiamo – e come influirà nei rapporti con Mosca o sulle ipotesi di negoziato, dopo i vari moniti di disimpegno della Casa Bianca in assenza di progressi concreti verso un cessate-il-fuoco.

 

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Terza indicazione: il testo dell’Accordo sottolinea che il Fondo con gli Stati Uniti non dovrà svilupparsi a detrimento dei rapporti fra Ucraina ed Unione europea. Se un approdo di Kiev nella NATO è escluso da tempo, il futuro delle relazioni fra Kiev e Bruxelles resta invece decisivo. E influenzerà largamente l’impianto regolatorio dell’Ucraina in ricostruzione. L’amministrazione Trump ama assai poco l’UE; e la governance del Fondo prevede eccezioni rispetto all’evoluzione futura della legislazione ucraina. Ma è interesse degli Stati Uniti che i paesi europei siano in grado di offrire garanzie di sicurezza all’Ucraina – e qui il tema, assieme al rafforzamento militare di Kiev, è come garantirci una copertura americana, pur sempre necessaria perché si tratti di garanzie credibili agli occhi di Vladimir Putin.

Il progressivo scivolamento dalla NATO all’UE – evidente peraltro a partire dal 2014 – spiega perché Mosca abbia cominciato a sostenere che il nemico vero della Russia non è l’Occidente nel suo insieme ma l’Europa in modo specifico, che continua ad appoggiare Kiev nel suo diritto a difendersi da un’invasione esterna. Il tentativo di Putin sarà di usare le celebrazioni del 9 maggio per sostenere che l’Europa produce periodicamente dei mostri: Stati Uniti e Russia, come nel 1945, devono combatterli insieme.

Il punto è che l’accordo fra Trump e Zelensky mette in crisi questo schema. Uno schema – con cui sembra(va) flirtare una parte del mondo MAGA – molto rischioso per Kiev e per noi europei. Mentre diventa più chiaro il problema che abbiamo di fronte. Concepire, sia sul tema ricostruzione economica (l’Italia ospiterà la Conferenza del 10-11 luglio a Roma), sia sul tema garanzie di sicurezza per Kiev, un accordo con Washington che funzioni. Negoziando e negoziando ancora, e non solo sui dazi.