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L’Europa che c’è, e quella che potrebbe essere

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In occasione del primo incontro del 18 febbraio tra i ministri degli Esteri di Russia e Stati Uniti, a Riyad, dopo anni di gelo, Sergej Lavrov, parlando con i giornalisti, si è chiesto retoricamente a proposito dell’Europa e dei suoi leader: “non so cosa dovrebbero fare al tavolo delle trattative”. Gli ha fatto eco il Segretario Generale della NATO, Mark Rutte secondo il quale “quando gli europei saranno diventati rilevanti allora si siederanno al tavolo invece di lamentarsi di non esser stati invitati” (e Rutte sino all’anno scorso era il Primo ministro di uno dei Paesi fondatori dell’Unione).

La riunione di Parigi del 17 febbraio, che avrebbe dovuto costruire una posizione comune europea, all’altezza delle richieste di impegno politico, economico e militare che la nuova amministrazione americana ha voluto declinare nei termini di una vera e propria sfida, si è conclusa senza una dichiarazione finale; solo con un impegno (e bisogna capire fino a che punto condiviso) a spendere di più sulla difesa. Queste le parole di Emmanuel Macron: “Nous sommes convaincus que les Européens devront investir mieux, davantage et ensemble pour leur sécurité et leur défense, pour aujourd’hui et pour demain. Pour cela, les Européens souhaitent accélérer la mise en œuvre de leur propre agenda de souveraineté, de sécurité et de compétitivité. Les travaux se poursuivront sur la base des propositions de la Commission européenne, tant sur le soutien à l’Ukraine que sur le développement et l’investissement dans notre défense”. Quali sono queste proposte?

Capi di Stato e governo europei, presidente della Commissione, del Consiglio e Segretario della NATO riuniti a Parigi il 17 febbraio nel summit sull’Ucraina

 

La Presidente Von der Leyen, intervenendo alla Conferenza di Monaco pochi giorni prima, aveva annunciato che: “I will propose to activate the escape clause for defence investments. This will allow Member States to substantially increase their defence expenditure. Of course, we will do this in a controlled and conditional way. And we will also propose a wider package of tailor-made tools to address the specific situation of each of our Member States. From their current level of defence spending to their fiscal situation. Second, for a massive defence package we also need a European approach in setting our investment priorities. This will allow the investments in much needed defence projects of common European interest”. Progetti “di comune interesse europeo”, non progetti europei, quando a sfida posta oggi da ciò che sta accadendo richiederebbe che la difesa del continente fosse identificata come un vero e proprio bene pubblico europeo.

La Presidente della Commissione ha poi promesso invece una “escape clause” per gli investimenti che ciascuno Stato farà singolarmente declinata con strumenti aggiustati per ciascuno Stato. I Paesi dell’Unione Europea, collettivamente intesi, rappresentano il terzo maggiore investitore in difesa nel mondo. Ma come ha ricordato da ultimo Mario Draghi, “la frammentazione della capacità industriali lungo linee nazionali impedisce di raggiungere la scala necessaria. I sistemi di difesa nazionali non sono né interoperabili né standardizzati”. Questa frammentazione (che è anche frutto di una disciplina dei Trattati che consente a ogni Stato membro di adottare in questo settore misure che ritenga necessarie alla tutela degli interessi nazionali) e gli alti costi che ne conseguono sono fra le ragioni che spingono i governi ad acquistare spesso sistemi di armamento non europei.

La dura realtà della guerra in Ucraina ha convinto anche i più riluttanti a spendere di più. Così, anche Paesi tradizionalmente “frugali” come la Danimarca si sono dichiarati disponibili a considerare una più alta spesa nella difesa, nel contesto di una revisione del bilancio europeo. A marzo si aspetta una proposta della Commissione ma, come ha ricordato il Commissario al Bilancio Serafin, “We have no luxury to wait until 2028 when it comes to funding defence”.

 

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La sfida ai confini orientali dell’Europa richiede agli alleati europei del Patto atlantico di agire come una potenza regionale, di agire – secondo la felice metafora di Mario Draghi – “sempre più come se fossimo un unico Stato“, per essere capaci di far fronte a minacce tradizionali e a quelle di tipo nuovo come sabotaggi o cyber-attacchi a infrastrutture strategiche,  investendo in progetti comuni sulla ricerca spaziale e l’intelligenza artificiale. In fondo, spazio e AI rappresentano oggi quel che furono nel secolo scorso il carbone e l’acciaio.

In questi giorni, commentatori e molti leader europei, storditi all’atteggiamento della nuova amministrazione statunitense, sembrano addirittura porsi la domanda se continuare a considerare gli Stati Uniti un alleato o addirittura un avversario. Ma è da anni che amministrazioni americane di diverso colore stanno chiedendo agli europei di assumersi una piena responsabilità per la sicurezza del continente.

La riunione straordinaria di Parigi, che nelle intenzioni del Presidente Macron avrebbe dovuto fornire una risposta all’altezza di questa sfida, ha mostrato invece divisioni di fondo. I governi tedesco, italiano e spagnolo ed anche quello polacco, con varietà di accenti, non hanno condiviso la proposta francese di inviare truppe in Ucraina. Solo il Regno Unito ha manifestato disponibilità, nel segno della storia di quella particolare proiezione internazionale di questi due Paesi, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Ma proprio la storia del “secolo breve” avrebbe dovuto avvertire di quanto potrebbe essere dirompente vedere schierate, nel territorio di quella che un tempo era una repubblica dell’Unione Sovietica, truppe sotto bandiere nazionali (e tra queste quelle tedesca ed italiana).

Da Parigi, settant’anni fa, una classe dirigente troppo spesso definita debole, ingiustamente dimenticata, uscita di scena per l’incapacità di gestire la decolonizzazione, seppe lanciare idee nuove di alto profilo: la dichiarazione di Robert Schuman del 9 maggio 1950 e, a ottobre dello stesso anno, il progetto che doveva portare alla nascita di un esercito europeo presentato all’Assemblea nazionale dal Primo Ministro René Pleven.

Se la Francia vuole prendere un’iniziativa veramente europea, oggi come allora questa dovrebbe radicarsi in un dibattito pubblico aperto e franco. È disponibile la Francia (il solo Paese dell’Unione ad avere un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e a disporre di una forza di dissuasione nucleare) ad un vero trasferimento di poteri sovrani a livello europeo? Forze armate comuni, non coalizzate, ma integrate e un bilancio alimentato da risorse europee?

Macron, in un discorso tenuto a Dresda lo scorso anno in occasione della sua prima visita di Stato in Germania, ha ricordato che il sogno di una vera difesa e sicurezza comune “era già presente agli albori della nostra Europa” ma ha dovuto riconoscere “con molta umiltà, che a metà degli anni ’50 è stata la Francia a fermarlo“.

Serve oggi uno sforzo creativo, una proposta generosa anche in settori che toccano nel profondo la sovranità nazionale come la dissuasione nucleare.

 

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Pare invece replicare schemi del passato l’annunciata iniziativa di Francia e Regno unito di muoversi in autonomia per costruire soluzioni (come quella di una “reassurance force” aerea) che comunque non potranno fare a meno di un sostegno logistico statunitense (come fu in Libia nel 2011, e come non fu invece a Suez nel lontano 1956…).

In un contesto non irrigidito dall’armatura della Costituzione della 5a Repubblica, la proposta ambiziosa di un esercito europeo fu sottoposta dal primo ministro di allora Renè Pleven al Parlamento, prima che ai rappresentanti degli altri Paesi. Non fu un dibattito formale, ma segnato da divisioni e dalla difficile costruzione di convergenze. Convergenze che si realizzarono facilmente allora sulla scelta, figlia delle tragedie di un recente passato, di evitare la ricostituzione di un autonomo esercito tedesco, e con più difficoltà invece sulla scelta di proporre agli altri Paesi europei la costruzione di un esercito integrato sotto la responsabilità di un unico ministro della difesa.

All’incontro di Parigi del 17 febbraio scorso erano sì presenti i Presidenti della Commissione e quello del Consiglio europeo, ma mancavano invece proprio il Commissario per la difesa e l’Alto Rappresentante: segno visibile dell’incapacità dell’Unione Europea di parlare con un’unica voce in materia di sicurezza e difesa.

Vale allora forse la pena rileggere il discorso di Pleven del 24 ottobre 1950 provando a immaginare, con qualche ardimento, che queste stesse parole vengano pronunciate adesso all’Assemblea Nazionale dal Primo ministro francese (che, in fondo, della tradizione politica di Pleven e Schuman è l’erede).

Di fronte agli svolgimenti dell’attualità internazionale il Governo francese “aussi confiant dans les destinées pacifiques de l’Europe et pénétré de la nécessité de donner à tous les peuples européens le sentiment d’une sécurité collective, (…) propose la création, pour la défense commune, d’une armée européenne rattachée à des institutions politiques de l’Europe unie.” Il resoconto della seduta reca qui: “Applaudissements sur de nombreux bancs à gauche, au centre et à droite.“. Pleven prosegue: “La mise sur pied d’une armée européenne ne saurait résulter du simple accolement d’unités militaires nationales, lequel, en réalité, ne masquerait qu’une coalition du type ancien.” (ciò che, mutatis mutandis, sembra proporre oggi il Presidente Macron). Secondo il Primo ministro invece “A des tâches inéluctablement communes, ne peuvent correspondre que des organismes communs. Une armée de l’Europe unie, formée d’hommes issus de diverses nations européennes, doit réaliser, dans toute la mesure du possible, une fusion complète des éléments humains et matériels qu’elle rassemble sous une autorité européenne unique, politique et militaire. (…) Un ministre de la défense serait nommé par les gouvernements adhérents et serait responsable, devant ses mandants, et devant une assemblée européenne. (…) Le financement de l’armée européenne serait assuré par un budget commun. (…) La création d’une armée européenne, soit dans la phase initiale, soit dans sa réalisation ultime, ne saurait en aucune manière constituer une cause de retard dans l’exécution des programmes prévus et en cours, au sein de l’organisation atlantique, en vue de la mise sur pied de forces nationales, sous commandement unifié. Bien au contraire, la création projetée de l’armée européenne doit faciliter la mise en oeuvre des programmes atlantiques (…)”. Il Primo ministro precisò:  “Le gouvernement ne se dissimule pas les difficultés techniques et psychologiques qu’il faudra vaincre pour atteindre l’objectif qu’il propose aux nations européennes. Mais tous les obstacles peuvent être surmontés avec de la volonté, de l’imagination et de la foi, en particulier si le peuple américain, comme les peuples d’Europe, soutient ce projet d’une sympathie active. Le gouvernement pense aussi que le projet, dont la présente déclaration esquisse simplement les principes généraux, est une manifestation nouvelle de l’esprit de paix qui anime le peuple français. Celui-ci a profondément souffert du désaccord qui n’a cessé de grandir entre les peuples hier unis pour abattre l’hitlérisme. Le gouvernement reste convaincu que la guerre n’est pas inévitable. Il resoconto qui registra “Vifs applaudissements à gauche, au centre et à droite.”.

Il Primo ministro francese chiuse così, di nuovo tra gli applausi dei deputati, il suo discorso: “il faut que personne ne puisse avoir aucun doute sur l’inébranlable détermination des démocraties occidentales de défendre leur territoire contre toute agression et le régime des peuples libres contre toute subversion. (…) La France prend aujourd’hui l’initiative d’une proposition constructive pour l’édification de l’Europe unie. Celle-ci ne doit pas oublier les leçons de deux guerres mondiales et, au moment où se reconstituent ses forces, elle doit s’organiser pour qu’elles ne servent jamais qu’à la défense de la sécurité internationale et de la paix“.

Un esercito europeo a difesa della pace, sotto l’evocativa insegna delle dodici stelle su campo azzurro.

 

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Il Presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi, intervenendo qualche giorno dopo nell’Aula del Senato, a sostegno di quella iniziativa francese, volle così concludere: “Qualcuno ha detto che la Federazione europea è un mito. È vero, è un mito nel senso soreliano. E se volete che un mito ci sia, ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti di Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’Unione? Volete il mito della dittatura, il mito della forza, il mito della propria bandiera, sia pure accompagnato dall’eroismo? Ma noi allora creeremo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico che questo mito è mito di pace; questa è la pace, e questa è la strada che dobbiamo seguire…”