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Perché un’Ucraina protetta dalla NATO è nell’interesse della UE

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 La richiesta ucraina di adesione alla NATO è un dato politico che l’Alleanza non può certo ignorare, a prescindere da ogni legittima considerazione di prudenza. Se ne occuperà ufficialmente il vertice di Vilnius dell’11-12 luglio; ma va intanto ricordato che sono i Paesi membri a decidere, liberamente e in piena autonomia nazionale, sulle richieste di adesione (come di varie forme di partnership e collaborazione che si sono sviluppate negli anni). Il dibattito è spesso piuttosto vivace e del tutto trasparente in proposito, come si sta vedendo proprio in questi mesi riguardo alle posizioni della Turchia sulla richiesta della Svezia (essendo stata invece approvata quella della Finlandia).

Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg in visita a Kiyv con il presidente ucraino Volodymir Zelensky, nell’aprile 2023

 

Ma va anche ricordato – a scanso di equivoci o distorsioni purtroppo ricorrenti – che qualsiasi Paese sovrano ha il diritto di fare richiesta in tal senso; in altre parole, né la Federazione Russa né alcun altro governo che non sia già parte della NATO hanno la prerogativa di porre veti sulla sua membership, presente o futura. Ed è bene che sia così, data la natura fortemente democratico-liberale, aperta e consensuale della più potente alleanza politico-militare al mondo.

Messo in chiaro questo punto fondamentale, si può discutere con più lucidità della questione ucraina, in particolare in un‘ottica europea e più precisamente nell’ottica della UE. Questa prospettiva è molto rilevante anche se finora sottovalutata perché, se lo si fosse dimenticato, Bruxelles ha assunto un impegno esplicito e piuttosto gravoso verso Kyiv: non solo con il sostegno economico-militare diretto e le sanzioni contro la Russia, ma anche con la disponibilità a gestire un forte flusso di profughi che si tramuterà nel tempo in un flusso bidirezionale di migranti, e soprattutto con la promessa di avviare le procedure per l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea. Tale processo formale – come sappiamo, assai complesso, e regolato da una sequenza di passaggi tecnici oltre che di valutazioni politiche – è totalmente distinto da qualsiasi decisione verrà presa a livello NATO; ma sul piano della sicurezza dovrebbe essere evidente che il ruolo dell’Alleanza Atlantica farà la differenza per la collocazione strategica dell’Ucraina, e dunque anche per il quadro politico ed economico pan-europeo.

 

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Una UE che voglia davvero adottare un approccio “geopolitico” – che sarebbe forse più semplice definire “razionale e complessivo” – deve necessariamente porsi il quesito di quale assetto e collocazione di sicurezza avrà l’Ucraina nella (lunga e faticosa) fase di avvicinamento all’integrazione europea.

In estrema sintesi, la risposta a questa domanda è che l’Ucraina deve essere in grado di autodifendersi militarmente da attacchi a sorpresa, deve poter ricorrere al sostegno di alleati affidabili nel caso in cui subisse una massiccia e prolungata offensiva militare, e deve parallelamente garantire la tenuta interna del suo sistema politico da eventuali tentativi di destabilizzazione indiretta (campo in cui l’intelligence è chiaramente decisiva, sia in termini tradizionali che cyber). Una capacità di autodifesa include, peraltro, l’opzione di realizzare operazioni di rappresaglia mirata e di intervento selettivo al di fuori del territorio nazionale, come per qualsiasi Paese (membro della NATO e non). Le capacità militari, tanto strettamente difensive come i sistemi antimissile, quanto potenzialmente offensive, sono ovviamente anche uno strumento di deterrenza: mostrare di possederle e saperle usare significa rendere più costoso un attacco avversario.

 

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Questa combinazione di fattori è determinante per evitare che l’Ucraina si trovi in futuro a rivivere l’esperienza del 2014 o del 2022 – eventualità che naturalmente avrebbe costi enormi non soltanto per Kyiv ma anche per tutti i Paesi che ne sostengono oggi gli sforzi bellici e ne sosterranno la ricostruzione e poi l’integrazione economica con i mercati e le istituzioni internazionali.

Deriva da questa semplice analisi che la UE ha tutto l’interesse a vedere garantita la sicurezza dell’Ucraina, mentre Bruxelles traccerà (in piena autonomia da qualunque attore esterno) una strada graduale di aggancio economico e politico. Ed è qui che l’altra faccia di Bruxelles – cioè la NATO, il cui quartier generale integrato, SHAPE, è in realtà a 70 km dalla capitale belga – diventa insostituibile. L’Alleanza è infatti stata finora, e continuerà ad essere, il vero “game changer” per l’Ucraina nel suo scontro esistenziale contro la Russia di Putin, come ha scritto recentemente Julian Lindley-French.

Da parte sua, l’Unione Europea ha certamente un ruolo fondamentale da svolgere, ma non potrà farlo senza l’apporto degli Stati Uniti. E dovrà anzi meglio coordinare in futuro le sue iniziative con Washington: è il caso di ricordare la lezione del 2013-14, quando la firma dell’Accordo di Associazione UE-Ucraina fu la causa scatenante della prima invasione russa, sebbene alcune iniziative americane avessero acuito la tensione.

In conclusione, l‘ancoraggio europeo dell’Ucraina sarà visto comunque da Mosca (perfino in presenza di una leadership post-Putin) come un problema politico-strategico, e dunque questa autonoma, legittima, e opportuna decisione degli europei andrà difesa anche attraverso la dissuasione militare. E’, in sostanza, un’operazione politica ed economica che certamente corrisponde agli interessi della UE – si pensi alle capacità industriali e agricole dell’Ucraina, di cui ci si è resi conto quasi soltanto nel 2022 – ma che richiede un assetto di sicurezza impossibile da garantire in un’ottica esclusivamente europea.

Ben venga allora una garanzia offerta dalla NATO; che poi sia sotto forma di processo di adesione o con un percorso e accordi ad hoc per Kyiv, questo è un aspetto secondario, soprattutto a seguito dell’integrazione accelerata delle forze armate ucraine con quelle occidentali che è in atto da mesi. Intanto, è necessario che la UE e i suoi Paesi membri ragionino in modalità strategica – magari lasciando per ora da parte le ambizioni assai vaghe di “autonomia”, che di strategico hanno solo il nome.

Ciò che conta è articolare (se si vuole, in autonomia, purché con pragmatismo) degli interessi e degli obiettivi operativi che si possano poi perseguire in sinergia con altri, a cominciare dagli USA e dunque dalla NATO. E’ molto positivo, ad esempio, che le diplomazie europee abbiano iniziato a pensare anche al di fuori degli schemi tradizionali, come nel caso del formato “European Political Community”, che include ben 47 Paesi partecipanti (formato paneuropeo dunque, ad esclusione di Russia e Bielorussia). L’incontro del 1° giugno si è tenuto a Chisinau, Moldavia: una scelta di “location” per nulla casuale, che indica quantomeno una visione realmente strategica e un ulteriore messaggio di fermezza all’attuale leadership russa.

E’ questa la strada su cui muoversi nel tracciare il futuro sia della UE che della NATO, anche oltre la stessa questione ucraina.