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Meno Francia, più Russia: l’Africa per le monarchie del Golfo

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In Mali e nel Sahel, gli equilibri di potere locali e internazionali stanno rapidamente mutando: in estrema sintesi, meno francesi (ed europei), più russi (e cinesi). Tale evoluzione non tocca – però e almeno per ora – le monarchie del Golfo e i loro, cospicui, interessi geoeconomici e geostrategici in Africa: esse sono abituate a “giocare di sponda” con la Francia, ma anche con la Russia. Tuttavia, l’aggravarsi della crisi internazionale, dopo l’invasione della Russia di Vladimir Putin in Ucraina, non solo entra nei mutati assetti africani, ma esporta dinamiche di allineamento e contro-allineamento in cui anche le monarchie del Golfo potrebbero trovarsi coinvolte.

Nel febbraio 2022, la Francia ha annunciato, dopo nove anni, l‘addio militare dal Mali entro l’estate, insieme ai partner occidentali e africani. Anche la Task Force Takuba a guida europea verrà ritirata dal paese. Dal 2021, Parigi aveva già ridimensionato la propria presenza militare nell’Operazione anti-jihadista Barkhane, nonché la chiusura di alcune basi militari. Tra il 2020 e il 2022, una serie di colpi di stato (Mali, Ciad, Burkina Faso) ha infatti contribuito a minare la stabilizzazione sub-regionale, nonché le fondamenta delle missioni ONU ed UE nell’area, in via di rilocazione in Niger.

Ma c’è di più. Il ruolo della Russia, incluso quello della compagnia militare mercenaria Wagner, si è invece rafforzato approfittando, anche, del golpe maliano. Tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, la giunta militare e golpista di Bamako ha negoziato un accordo con i contractor russi del gruppo Wagner per attività di addestramento e counterterrorism nel paese.

 

La soluzione dell’equazione africana

Per le monarchie del Golfo, la nuova “equazione africana” non lascia presagire, al momento, cambiamenti diretti. Per Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (EAU) e Qatar, l’Africa è diventata, da tempo, strategica. Le cause della loro “corsa all’Africa” vanno ricercate nei processi di diversificazione economica post-oil, in politiche estere sempre più assertive e globali, nonché nella competizione regionale con Iran, Turchia e all’interno dello stesso Consiglio di Cooperazione del Golfo (es. qatarini vs emiratini e vice versa). Risorse minerarie, terre coltivabili, infrastrutture, rotte commerciali marittime sono i principali vettori dell’influenza delle monarchie del Golfo nel continente africano. Da questi interessi nasce l’impegno contro il terrorismo di matrice jihadista. Poi c’è il fattore ideologico: qatarini ed emiratini sostengono e contrastano, rispettivamente, i movimenti legati alla Fratellanza Musulmana.

Negli anni, la penetrazione geoeconomica (investimenti, commercio) e geostrategica (accordi di difesa, addestramento delle forze locali) di Arabia Saudita, EAU e Qatar in Africa si è mossa principalmente lungo due direttrici. Quella occidentale del Sahel e del ′fianco atlantico` (es. Algeria, Niger, Mali, Mauritania, Senegal), la Libia come connettore delle due direttrici, nonché la direttrice centrale-orientale (es. Egitto, Sudan, Somalia, Tanzania, Mozambico) che collega Mediterraneo, Mar Rosso e Oceano Indiano Occidentale. In entrambi i casi, la proiezione africana delle monarchie del Golfo si è spesso incrociata – e talvolta ha fatto asse – con due potenze extra-regionali: Francia e Russia.

 

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Perciò, il mutato equilibrio di potere a Bamako e dintorni, di per sé, non impatterà sulle strategie africane di re ed emiri. In Africa e non solo, sauditi, emiratini e qatarini sono abituati a cooperare con i francesi. Ma lo sono altrettanto con i russi, con i quali intrattengono ottime relazioni, tra diplomazia e affari. In Africa, le monarchie del Golfo, in primis gli EAU, mostrano quanto i due volti della stabilizzazione “made in CCG” possano convivere nella medesima politica estera, rivelando grande adattabilità a contesti e partner. In questo senso, il caso degli Emirati Arabi Uniti è emblematico.

 

Le convergenze strategiche fra Russia ed Emirati Arabi (con l’incognita Ucraina)

Quando cooperano con la Francia, gli emiratini puntano sul pragmatismo istituzionale. Per esempio, gli EAU hanno finanziato l’apertura di un’accademia militare per il G5 Sahel in Mauritania, a Nouakchott, intitolata al principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed Al Nahyan, occupandosi attivamente dell’addestramento dei militari africani coinvolti. Nel 2021, gli emiratini hanno poi condotto voli di supporto logistico (con C-130 da Abu Dhabi), nel quadro delle operazioni di counterterrorism del G5 Sahel a guida francese.

Invece, quando giocano di sponda con la Russia e gli attori di sicurezza russi, gli emiratini enfatizzano la convergenza autoritaria con Mosca. In Africa, emiratini e russi hanno spesso mostrato quadranti d’azione e interessi economico-militari convergenti: per esempio, nei teatri ′a trazione militare’ di Libia, Mali, Sudan ed Egitto.

Il presidente emiratino Khalifa bin Zayed Al Nahyan con il russo Vladimir Putin

 

In Libia, Mali e Sudan è poi presente il gruppo Wagner. Nel 2020, il Pentagono affermava in un rapporto che “gli EAU potrebbero finanziare delle operazioni del Wagner Group” in Libia, fermandosi giusto a un passo dall’additare Abu Dhabi come co-finanziatore delle operazioni russe a sostegno delle forze del Generale Khalifa Haftar, operazioni che hanno anche violato l’embargo ONU sulle armi. Le stesse indiscrezioni circa la costruzione di una base militare emiratina in Niger (acuitesi nel 2019, mentre Haftar tentava la presa armata di Tripoli) vanno ricondotte nell’intesa fra emiratini e russi in Africa. È singolare che in Libia gli EAU abbiano congiunto proprio Russia e Francia (nonché Egitto) nell’allineamento pro-Haftar.

Da una prospettiva puramente strategica, ci sono tre ragioni di convergenza fra monarchie del Golfo, soprattutto gli Emirati Arabi, e la Russia, riscontrabili anche in Africa. La prima: arabi del Golfo e russi sono fornitori di sicurezza nuovi rispetto ai tradizionali provider occidentali operanti fin qui nel continente, come i francesi. La seconda ragione è la comune predilezione per programmi di addestramento ed equipaggiamento (“train and equip”) delle forze locali, al di fuori dei modelli  istituzionali di SSR/G (Security Sector Reform/Governance) che si concentrano invece sulla ricostruzione dei settori della sicurezza mediante buone pratiche di governance, accountability e diritti umani. Terzo, entrambe hanno spesso scelto di lavorare sul campo con e attraverso forze di sicurezza ibride, oppure compagnie private.

Il riassetto degli equilibri di potere in Sahel, con epicentro il Mali, non è dunque in contrasto con gli interessi geoeconomici e geostrategici delle monarchie del Golfo. Al momento, l’unica vera incognita per gli obiettivi di Riyadh, Abu Dhabi e Doha in suolo africano riguarda, però, l’evoluzione dei rapporti internazionali fra Stati Uniti, Unione Europea e Russia dopo l’aggravarsi della crisi ucraina. Per esempio, il voto d’astensione degli Emirati Arabi Uniti al Consiglio di Sicurezza Onu sulla risoluzione americana del 26 febbraio che condannava l’aggressione di Mosca all’Ucraina segna un passaggio critico per la politica estera di Abu Dhabi (seppur seguito il 2 marzo dal voto favorevole in Assemblea Generale Onu alla risoluzione, più sfumata e non vincolante però, che “deplora” l’aggressione russa contro Kiev).

 

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Più forte dovesse essere la rottura fra statunitensi, europei e russi, più verrebbero guardate con sospetto -se non stigmatizzate-  le forme di cooperazione, formale o informale, tra monarchie del Golfo e attori russi in Africa, poiché lette in chiave anti-occidentale. Per esempio, l’UE aveva già approvato sanzioni contro il gruppo Wagner prima della crisi (dicembre 2021).

Pertanto, le monarchie del Golfo dovranno esercitare parecchia prudenza nel quadrante del Sahel, nonché in tutta l’Africa, ora che francesi ed europei ripiegano, mentre i russi si allargano. Ed è la stessa dinamica che re ed emiri stanno già sperimentando nel Golfo, alla ricerca di un equilibrio, sempre più complicato, fra gli interessi – e i veti – di Stati Uniti e Cina.