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Dietro le apparenze, una fase delicata per Vladimir Putin

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Una gestione fallimentare della pandemia, che la macchina della propaganda sta cercando di trasformare in un successo. Una stagione che doveva segnare il suo definitivo trionfo e in cui invece il numero uno del Cremlino, Vladimir Putin, attuerà i suoi propositi, ma con un programma sotto tono. Di fretta e furia, prima che l’economia crolli definitivamente.

Il Covid-19 in Russia è ben lungi dall’essere stato sconfitto, ma nel Paese tutto sta tornando fittiziamente alla normalità. A inizio giugno nella capitale Mosca e nelle altre principali città del Paese il lockdown è stato allentato. Il presidente Putin è tornato a parlare alla nazione in occasione del 12 giugno, quando si celebra il День России, la giornata della Russia, una delle principali festività del calendario civile. Il capo di Stato ha detto che la pandemia da coronavirus è stato un evento inedito e imprevedibile per il Paese, ma ha anche aggiunto che Mosca è riuscita a gestirlo molto meglio di Washington. Ha spiegato che, nonostante il numero elevato di contagiati, che ormai ha abbondantemente superato il mezzo milione di persone, si è riusciti, ufficialmente, a tenere il numero delle vittime basso, al momento intorno alle 8.000 unità.

Vladimir Putin alla parata commemorativa della Vittoria nella Seconda guerra mondiale, il 24 giugno

 

Poteva andare peggio, potevamo essere come gli Stati Uniti, insomma, facendo leva su quel sentimento antioccidentale che è tornato a radicarsi con forza all’interno della società. Peccato che i conti non tornino e, dentro e fuori i confini nazionali, piovano critiche e dubbi da tutte le parti, opportunamente messi a tacere dal sistema dei media – un sistema che, soprattutto per quanto riguarda le televisioni, è saldamente sotto controllo del Cremlino.

In realtà, dall’inizio della pandemia, il presidente russo ha sbagliato tutto. Mosca il 30 gennaio ha chiuso gli oltre 4.000 chilometri di confine di terra con la Cina, ma questo, a differenza di quanto credevano le autorità, non è bastato a prevenire quella che si è rivelata una vera e propria catastrofe. Peggio ancora, per settimane, il Cremlino ha ignorato l’evidenza. A fronte di Putin che definitiva la situazione sotto controllo, affermando che la Russia non sarebbe stata toccata dall’emergenza, il sindaco di Mosca, Sergej Sobjanin, cercava di fare pressione sul presidente e sul governo perché la affrontassero la realtà. Lo hanno fatto, ma troppo tardi. Perché il virus nel Paese c’era già e probabilmente aveva già fatto diversi morti.

I primi casi sospetti si sono registrati fuori dalla capitale, dove però il contagio è esploso con tutta la sua violenza, rendendo subito evidenti due aspetti. Il primo è che il Paese non era assolutamente pronto a fronteggiare l’emergenza, nonostante avesse avuto diverse settimane di tempo e con davanti agli occhi l’esperienza di altri Stati che a loro volta avevano sottovalutato la situazione. La seconda, anche più grave, è che l’epidemia da Covid-19 ha reso chiaro a tutti che il sistema sanitario nazionale, celebrato dalla propaganda come uno dei fiori all’occhiello della Russia di Putin, in realtà è al collasso.

Le denunce sono state tante, in più parti del Paese, passate sottotraccia sulla maggior parte dei media: non hanno però potuto tacere sui suicidi di due medici, che secondo molti presentano più di un dubbio, tanto che la magistratura è stata costretta ad aprire un’inchiesta. Entrambi i dottori sono volati giù dalla finestra degli ospedali in cui lavoravano, dopo aver lamentato assenza di materiale sanitario protettivo, turni estenuanti e una mancanza generale di coordinamento nell’affrontare l’emergenza – proprio la gestione che è stata lodata, al contrario, dal presidente Putin nel suo discorso in occasione della Giornata della Russia.

Ci sono parti del Paese che non hanno rispettato il lockdown, perché semplicemente non si sono mai fermate. Nella penisola di Kola, che si estende nel nord ovest del Paese, a ridosso del confine con la Finlandia, per esempio. Qui i cantieri navali e l’industria estrattiva non hanno mai smesso di lavorare, con tutte le denunce e le proteste del caso sul mancato rispetto della distanza di sicurezza e della fornitura di mascherine per proteggersi dal virus.

Il presidente Putin sembra avere fretta e portare avanti il più possibile i lavori per l’entrata a pieno regime della cosiddetta ‘rotta artica’, che dovrebbe velocizzare molto lo smistamento di merci da e per la Cina e che al momento rappresenta l’unico vero asset di Mosca in politica estera. Con Pechino, Mosca ha un rapporto partnership asimmetrica, dove, pur con tutte le dichiarazioni di facciata, è la prima a dettare le regole del gioco. In Medioriente la Turchia, che doveva rappresentare un partner relativamente debole, sta dando sempre più problemi, soprattutto con la sua spregiudicata politica in Libia. La rotta artica rappresenta l’unica vera opportunità per il presidente di cambiare l’equilibrio mondiale a favore di Mosca ed è per questo che i lavori sono continuati, incessanti, nonostante il Covid, facendo registrare, solo qui, decine di migliaia di contagiati fra gli operai.

Le ultime due settimane hanno fatto registrare una leggera diminuzione delle persone che hanno contratto il virus. I nuovi casi però sono ancora oltre 7.000 al giorno, ben lungi quindi da definire la situazione tranquilla o anche solo ‘sotto controllo’ come diceva il presidente. A Putin che a marzo aveva dichiarato che avrebbe continuato a lavorare dal suo ufficio al Cremlino, non è rimasto altro che mettersi in smart working come tutti. E rispetto ad alcuni è già stato fortunato. Nel giro di poche settimane, abbiamo visto finire in ospedale il primo ministro Mikhail Mishustin e il ministro delle Costruzioni, Vladimir Yakushev e persino il suo portavoce, Dmitry Peskov, considerato anche uno degli uomini chiave del sistema di potere del presidente.

Un Paese in dove il reale numero delle vittime, molto probabilmente, non si saprà mai e dove sembra esserci una sproporzione, al momento difficilmente spiegabile, fra il numero di contagiati e di vittime. Secondo un’inchiesta pubblicata dal sito Meduza, la cui redazione si trova a Riga, in Lettonia, e che rappresenta una delle voci più ostili a Putin, il 30% dei medici russi sarebbe stato costretto a mentire sulle reali condizioni all’interno degli ospedali.

A questo vanno aggiunti altri due elementi. Il primo è la vastità del territorio nazionale, con aree così remote da sfuggire alle verifiche più rigorose, figuriamoci a quelle più superficiali. In secondo luogo, nei villaggi più sperduti, spesso le persone muoiono e vengono tumulate senza che le autorità ne sappiano nulla per mesi. Una sommatoria di fattori che ha portato i media di opposizione a pensare che il numero totale dei morti sarebbe sottostimato almeno del 40%. Le vittime totali, fino a questo momento, sarebbero oltre 12mila. Va poi tenuta in conto una diversa modalità di conteggiare le vittime. Le persone con coronavirus, ma con patologie molto gravi pregresse, non fanno parte delle statistiche ufficiali. Anche questo contribuisce a tenere il bilancio basso.

Nonostante i contagiati si contino ancora a migliaia, il presidente ha deciso che si deve tornare a vivere, anche e soprattutto per mettere in pratica l’agenda che aveva in mente in primavera e che è saltata a causa del coronavirus. Il 24 giugno si è tenuta la parata sulla Piazza Rossa per ricordare il 75° anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale. Si è trattato di una kermesse imponente, per mostrare al mondo che, anche senza la presenza, prevista prima dello scoppio della pandemia, del presidente francese Emmanuel Macron e di quello cinese, Xi Jinping, la Russia è ripartita ed è pronte a prendersi il suo spazio nell’arena internazionale. ‘Bisogna ricordare che il popolo russo ha portato il peso maggiore nella lotta al nazismo – ha detto il presidente -. Non mi voglio immaginare cosa sarebbe successo al mondo se l’Armata Rossa non lo avesse sconfitto’. Dietro di lui, i rappresentanti di Paesi un tempo parte dell’ex Unione Sovietica e dell’ex Patto di Varsavia, fra cui il presidente della Bielorussia, Aleksandr Lukashenko, il presidente della Serbia Alexander Vucic, il presidente del Kazakhstan, Kassym-Jomart Tokayev, e il presidente della Moldova, Igor Dodon, mentre quello del Kirghizistan, Sooronbay Jeenbekov, è arrivato a Mosca ma non ha partecipato all’evento dopo che due persone del suo staff sono risultate positive al Covid. Segno che il mondo, anche senza la guerra, mondiale o fredda che sia, rimane spaccato in due.

Il primo luglio ci sarà il referendum per confermare quello che la Duma di Stato e il Consiglio federale hanno già approvato a marzo, ossia la modifica della Costituzione che permetterà a Putin di ricandidarsi nel 2024 e restare al potere ancora due mandati.

Tutto sembrerebbe andare secondo i piani del presidente nonostante il Covid-19. Ma la situazione in Russia rimane critica e peggiorerà nei prossimi mesi. L’economia è a rischio e il prezzo basso del petrolio potrebbe darle il colpo di grazia. Nonostante le riserve governative siano ingenti, circa 143 miliardi di dollari, equivalenti al 9,8% del Pil, fino a questo momento il Cremlino ha deciso di impiegarne solo il 2,8% del Pil per aiutare le piccole-medie imprese. Rimangono fuori le grandi compagnie, che però hanno accesso diretto al presidente, e l’economia sommersa, che rappresenta circa il 44% del Pil nazionale. C’è un’altra cosa che preoccupa Putin e sono i dati sul suo consenso. Secondo l’Istituto di ricerca Levada, uno dei pochi indipendenti nel Paese, in questo momento sarebbe gradito solo al 59% della popolazione. Una percentuale che può apparire alta, ma in netto calo se la si paragona al 76,69% con il quale ha vinto le elezioni nel 2018.

Segnali che spiegano perché il presidente abbia tutta questa fretta di fare passare la riforma costituzionale prima dell’autunno. Quando, probabilmente, il Covid-19 non sarà ancora stato sconfitto e la crisi farà sentire ancora di più la sua pressione. Quello che doveva rappresentare l’apogeo del suo ventennio al potere si sta trasformando nel periodo di maggiore difficoltà. Dove Putin ha sbagliato molto.