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Renzi a Washington e l’Italia in cerca di una politica mediterranea proattiva

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Cercando di presentare una nuova immagine dell’Italia negli Stati Uniti, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha affermato a Washington il 17 aprile che “l’Italia è tornata”, a cominciare da alcuni segnali di ripresa economica e dal programma di riforme. Ha applicato lo stesso concetto anche alla politica estera, che preoccupa i cittadini – oltre al governo – soprattutto su due fronti: i possibili ostacoli internazionali sulla via di una vera e solida ripresa economica (come le sanzioni alla Russia o altri focolai di conflitto locale), e i massicci flussi migratori (visti i loro inevitabili intrecci con la minaccia del terrorismo e dell’estremismo islamista). Su quest’ultimo dossier è in corso uno sforzo politico tanto importante quanto difficile.

Il Presidente Obama ha riconosciuto volentieri all’Italia un ruolo costruttivo sulle questioni mediterranee e un grado di esposizione certo maggiore rispetto agli altri Paesi europei, ma ciò non può bastare all’Italia. Roma si sente piuttosto isolata nel contesto europeo, a fronte dello scarso livello di solidarietà sulla gestione dei flussi migratori mostrato da tutti i suoi partner continentali. Renzi ha dunque cercato di creare uno spazio di manovra, e forse di leadership settoriale, per la diplomazia italiana, insistendo sull’assoluta priorità di una politica assai più proattiva e realmente comune rispetto alla questione libica. Ha così rimarcato che gli intensi flussi migratori – con tutto il loro costo umano e le grandi difficoltà organizzative del binomio interdizione/accoglienza – vanno affrontati anzitutto a monte: ciò significa nei territori di partenza o comunque di transito sulle coste Sud del Mediterraneo. In altre parole, è urgente un’operazione di stabilizzazione “profonda” della Libia, che richiederà strumenti ad ampio spettro, compresi quelli militari (e non solo navali). Un concetto ribadito più volte, nelle ultime settimane, anche dal Ministro degli Esteri Gentiloni.

Si può leggere tale approccio in modo coordinato con la redazione del nuovo Libro Bianco della Difesa, presentato proprio in questi giorni. Un’interessante novità di questo documento di indirizzo generale sta nell’enfasi su una chiara priorità regionale della politica di sicurezza e difesa del Paese: il bacino mediterraneo. È una scelta che potrebbe sembrare obbligata e naturale per l’Italia, eppure si tratta di una relativa innovazione, se si confrontano i documenti simili pubblicati da altri governi e ancor più le loro decisioni concrete sull’impiego del bilancio. Tradizionalmente, la politica di difesa italiana ha infatti sofferto di una forte dispersione delle risorse, spesso per la comprensibile volontà di mantenere un profilo “globale” nelle missioni ONU, ma comunque con la conseguenza di impedire una concentrazione degli sforzi nelle aree di interesse più diretto. Oggi siamo di fronte ai primi passi di un possibile riorientamento delle politiche di sicurezza, intese in senso ampio a comprendere anche le attività anti-terrorismo.

È chiaro che l’Italia non può né vuole fare da sola, in Libia o tantomeno nel contrasto complessivo ai traffici di migranti o alla pirateria in mare: al contrario, il tentativo in corso (di cui fanno parte i colloqui americani di Renzi) punta proprio a creare un consenso internazionale tra i maggiori alleati per un’azione coordinata in cui Roma abbia un ruolo di responsabilità primaria. Si potrebbe dire in estrema sintesi: siamo disposti a fare di più, se avremo il sostegno concreto dei partner. La prospettiva è dunque quella di una possibile coalizione ancora da costruire, che certamente dovrà poggiare su un contributo importante di alcuni Paesi arabi, soprattutto quelli del Golfo come ha fatto capire Obama chiedendone apertamente un coinvolgimento attivo. Il ruolo dell’Egitto, per quanto importante, pone un problema più spinoso, visto l’appoggio diretto già fornito dal Cairo a una delle parti della guerra civile libica, cioè il governo di Tobruk/Beida in Cirenaica: pur essendo il governo ufficialmente riconosciuto dall’Occidente, non è considerato affidabile poiché sembra voler impedire in questa fase qualunque accordo.

In ogni caso, sul piano operativo l’apporto americano è probabilmente insostituibile, a prescindere dall’ampiezza della eventuale coalizione. Lo è anche quello europeo, almeno nella gestione del versante dell’accoglienza e delle richieste di asilo.

Guardando invece al piano tattico e comunicativo, l’operazione diplomatica avviata da Renzi passa per una lettura specifica dei fenomeni migratori dal Nordafrica e della crisi libica in particolare: i primi mostrano la “sempre più evidente infiltrazione del terrorismo nel traffico di esseri umani”, e la seconda richiede una ricomposizione dei rapporti di potere tra le varie tribù (cioè un accordo pragmatico e sui generis, che vada oltre la semplicistica contrapposizione tra Cirenaica e Tripolitania, come anche tra presunti laici e islamisti di varia estrazione). Si tratta di un’analisi più sofisticata rispetto alla pura retorica dell’interdizione dei barconi di disperati, ma anche dell’accoglienza in quanto tale: è chiaro infatti che serve attrezzarsi per gestire flussi in buona parte stabili e continuativi, per distinguere tra diverse categorie di migranti, per recidere i legami con le organizzazioni criminali. In altre parole, serve un mix di interventi: sia preventivi e di stabilizzazione in loco, sia di monitoraggio e interdizione in mare, sia infine di accoglienza sulle navi e sulla terraferma italiane.

È la piattaforma di una possibile politica mediterranea ben più coerente e multidimensionale che in passato: un obiettivo davvero complesso che richiederà la collaborazione di molti Paesi. Per ora Washington è rimasta prudentemente in disparte e non ha preso impegni chiari, com’è del resto nelle corde di Obama, ma siamo solo all’inizio di un percorso che è cruciale proseguire con determinazione. Se ce ne fosse bisogno, lo conferma la più recente delle tragedie umane – con centinaia di morti in mare – avvenuta tra le coste libiche e quelle italiane.