international analysis and commentary

Il dossier russo-ucraino per Renzi e Obama

156

Le dichiarazioni pubbliche e la mimica tra il Premier Matteo Renzi e il Presidente Barack Obama alla Casa Bianca, il 17 aprile, ci dicono che le divergenze di opinioni fra Roma e Washington sulle sanzioni alla Russia sono rientrate o sono comunque state messe da parte.

Nell’East Room, il Presidente americano ha iniziato la sua dichiarazione sull’Ucraina che va “sostenuta e assistita”. Le intese raggiunte a Minsk dovranno essere “pienamente attuate e rispettate”. Rispondendo a una domanda, Obama ha detto che le sanzioni sono collegate all’adempimento degli accordi di Minsk. Si aspetta che prima dell’estate i leader dell’Europa le proroghino almeno fino alla fine dell’anno. Poi si vedrà, in ogni caso non dovranno nel frattempo essere né modificate, né alleggerite. Il Presidente del Consiglio, al suo fianco, non si è mai espresso.

Non aveva bisogno di farlo visto che i 28 leader dell’UE avevano già inserito nella loro dichiarazione politica a conclusione del Consiglio Europeo del 20 marzo scorso un chiaro collegamento tra il mantenimento dell’impianto sanzionatorio e la piena attuazione delle intese di Minsk. Lo stesso concetto è stato ribadito dal G7 il 16 aprile, alla vigilia della missione del Presidente del Consiglio italiano a Washington. Riuniti a Lubecca sotto Presidenza tedesca, i Ministri degli Esteri del G7 hanno riaffermato che le sanzioni alla Russia “non sono un obiettivo in sé e la loro durata dovrebbe essere chiaramente collegata al pieno rispetto dell’accordo di Minsk da parte di Mosca”.

Le tensioni tra Roma e Washington sulla questione delle sanzioni alla Russia erano dunque già in gran parte rientrate prima dei colloqui alla Casa Bianca. Roma si era allineata sin da metà marzo agli altri grandi dell’UE – Francia, Germania e Regno Unito – sul principio del collegamento delle misure sanzionatorie all’esecuzione di Minsk2. Quest’ultimo accordo prevede una serie di adempimenti per le parti da qui a fine dicembre 2015. È pertanto probabile che il Consiglio Europeo di giugno deciderà per una proroga per lo meno semestrale dei Regolamenti relativi alle sanzioni economiche nei confronti della Federazione Russa.

Si spiega dunque l’aspettativa di Obama di “una proroga delle sanzioni UE prima dell’estate” e il silenzio-assenso del Premier italiano. È probabile che i due leader non abbiano voluto attribuire al dossier “sanzioni” un peso troppo rilevante per non guastare la narrativa che ci arriva da Washington: quella di un Obama colpito dall’energia di Renzi, dell’America come modello economico, e dell’Italia che avvia le riforme e volta pagina. Del resto, l’ombra del “Grexit” (con la posizione di Atene nell’eurozona ancora tutt’altro che salda) spinge a proiettare messaggi ottimistici.

Ma anche ragioni contingenti di politica estera hanno convinto ad evitare eventuali irritants. Le crisi che agitano il Grande Medio Oriente sono tornate prepotentemente alla ribalta e sembrano voler relegare l’Ucraina in secondo piano. La situazione esplosiva in Libia e la nuova guerra al Califfato hanno polarizzato l’attenzione. L’Italia non può fare a meno del sostegno statunitense sul teatro libico e l’America ha bisogno che il nostro Paese partecipi attivamente alla coalizione anti- ISIS guidata dal Generale John R. Allen.

Sulla questione delle sanzioni alla Russia rimane semmai una possibile divergenza di vedute in relazione all’ipotesi di parziale alleggerimento delle misure – a prescindere dalla loro durata temporale – a fronte di chiare manifestazioni di buona volontà da parte russa. È una questione che prescinde dalla scadenza già prevista di giugno, e nei colloqui a Washington questo aspetto è rimasto apparentemente marginale.

I veri sostenitori di questa idea sono i francesi. Parigi lo fa a scopo negoziale e con il peso che le deriva da socio fondatore del “formato Normandia” (a quattro, con Francia e Germania oltre a Russia e Ucraina). Dice a voce alta ciò che Berlino non può e non vuole affermare, sia perché la Cancelliera Angela Merkel è la vera garante del negoziato con la Russia, sia perché la Germania vuole mantenere quel ruolo di “ago della bilancia” delle decisioni dell’UE in materia di sanzioni che si è abilmente ritagliata sin dall’inizio della crisi. 

La Francia non nutre dubbi sull’efficacia delle sanzioni. Ritiene che si siano dimostrate un valido deterrente e che vanno prorogate fino alla conclusione del processo di pace. Ma sostiene anche, forse non a torto, che eventuali e tangibili progressi russi sul versante dell’attuazione degli accordi debbano essere premiati. Mosca deve poter toccare con mano i vantaggi di un percorso di riappacificazione con l’Ucraina e di normalizzazione con l’occidente. Questa teoria è condivisa dall’Italia e il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni lo ha affermato a diverse riprese.

Gli americani – e con loro una larga fetta dell’UE, dal Regno Unito alla Polonia, passando per i baltici – non sono dello stesso avviso. Per ovvi motivi storici e ancor più geografici si comprende bene la contrarietà di Varsavia o delle capitali baltiche a qualsiasi misura di alleggerimento delle sanzioni: si spunterebbe l’unica arma che apparentemente è riuscita a frenare la Russia. Ma nell’ottica americana entrano in gioco altri motivi. Mantenere il fronte occidentale unito e coeso sulle sanzioni alla Russia (a high price to pay) è uno degli obiettivi principali che Washington si è posta sin dall’inizio. Non è stato facile serrare i ranghi nelle fasi più complesse della crisi ucraina e giungere all’adozione delle misure restrittive. Un passo indietro ora, a fronte di parziali concessioni russe, non garantisce un automatico balzo in avanti qualora Mosca torni a mostrarsi inadempiente. Anche per questo Washington ha esercitato forti pressioni sull’UE per un rinnovo anticipato delle proprie sanzioni per almeno un anno e senza alleggerimenti (e non ha digerito con facilità la visita del Premier italiano a Mosca il 5 marzo).

Il quadro è complicato dall’impossibilità per gli Stati Uniti di ricorrere a sanzioni unilaterali. L’America ha bisogno dell’Europa e i numeri lo dicono chiaramente. L’interdipendenza economica euro-russa ha raggiunto livelli elevatissimi. Nel 2013 l’interscambio commerciale ammontava a circa 450 milioni di euro, il 50% del commercio complessivo russo con l’estero. L’interscambio italo-russo raggiungeva da solo 31 milioni di euro circa. Nello stesso anno il commercio russo-americano non superava i 25 milioni di euro. Sul versante economico, l’America ha nei confronti della Russia un’influenza di poco superiore a quella della Spagna.

Questi stessi numeri indicano che il peso economico della politica delle sanzioni grava soprattutto sugli europei. Se da un lato l’interruzione dell’afflusso di capitali e beni occidentali determinato dalle sanzioni, unita alla depressione della domanda energetica e alle politiche dell’OPEC, ha determinato una forte svalutazione del rublo e la riduzione delle risorse a disposizione della Federazione Russa generando una profonda crisi economica. Dall’altro, il contraccolpo per l’UE è stato anch’esso molto duro ed ha colpito settori nevralgici del commercio, della produzione manifatturiera e di quella agricola.

Non si può escludere a priori che il dibattito intra-europeo sulle sanzioni torni a riaccendersi con l’avvicinarsi del Consiglio Europeo di giugno. La Russia farà di tutto per acuire le divisioni nell’UE e molto dipenderà dall’effettiva attuazione delle intese negoziate a febbraio. Intanto, possiamo dire che nei colloqui alla Casa Bianca tra il Presidente del Consiglio e il Presidente degli Stati Uniti d’America, la questione è stata per ora efficacemente gestita.