international analysis and commentary

Passaggio a Myanmar per Hillary Clinton

304

«Noi non vediamo affatto questa visita alla luce di una qualsiasi competizione con la Cina. Per noi è solo un’opportunità per ricucire i rapporti». E’ questa una delle dichiarazioni del segretario di Stato americano Hillary Clinton durante il breve viaggio diplomatico in Myanmar (Burma) del 30 novembre: l’ultima visita di un segretario di Stato nel paese guidato da una giunta militare, oggi al potere in veste civile, risale a oltre cinquant’anni fa. Da parte sua, il governo cinese ha risposto con un articolo apparso sul quotidiano governativo Global Times, in cui si legge che “Pechino non starà a guardare l’America calpestare i suoi interessi in Myanmar”. Fatto salvo il gioco delle parti, la visita di Hillary Clinton è l’ennesimo segnale dell’importanza che l’amministrazione Obama riserva alla regione Asia-Pacifico, e del tentativo di limitare l’influenza cinese nell’area.

Considerato che il 90 per cento del commercio mondiale si sviluppa su trasporto navale e dunque sulle rotte marittime, è facile comprendere come la sicurezza dell’Est e del Sudest asiatico giochi un ruolo fondamentale nel garantire la solidità dei rapporti economici tra gli Stati Uniti e l’Asia.

Fin dal suo insediamento, l’amministrazione Obama non ha mai nascosto di voler accrescere l’influenza americana nell’area a danno, giocoforza, della Cina. Non lo dice solo la presenza nelle acque del Pacifico di 313 navi da guerra statunitensi, ma anche il rafforzamento delle relazioni diplomatiche che Washington sta perseguendo con diversi paesi del Sudest asiatico – la ripresa dei rapporti con Myanmar ne è solo l’ultimo esempio.

Nell’impostazione americana, la dimensione di sicurezza e difesa è inseparabile da quella economica e commerciale: mentre si è intensificata la collaborazione militari (in particolare con Malaysia, Singapore, Filippine, Indonesia, e Australia) e restano i tradizionali rapporti con Giappone e Sud Corea, sta crescendo la pressione su Pechino perché assuma un atteggiamento meno assertivo sulle risorse marittime nel Mar Cinese meridionale. Le abbondanti materie della zona (tra cui petrolio e gas naturale) sono contese con il Vietnam, le Filippine, la Malaysia, il sultanato del Brunei e Taiwan. L’obiettivo americano è soprattutto quello di rendere più sostanziali e autorevoli gli incontri dell’Asean, presentando a Pechino un fronte più coeso che faccia meglio rispettare le regole del gioco.

Su questo sfondo si deve leggere la storica visita di Hillary Clinton in Myanmar. Le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e dall’Europa al paese, che nel 1990 ha subito il colpo di stato della giunta militare, hanno aperto la strada alla Cina. Pechino è così diventato il principale partner economico del Myanmar grazie ai 5,3 miliardi di dollari di scambi nel 2010 e ai 15,8 miliardi di investimenti. Se una visita diplomatica non è sufficiente per parlare di una svolta radicale rispetto a un “rogue state”, l’incontro tra Clinton e diversi esponenti del governo ha posto le basi per relazioni diplomatiche più frequenti e durature. Il presidente birmano Thein Sein, alla guida del paese dopo le elezioni-farsa dell’anno scorso, ha promesso ulteriori passi in avanti in termini di aperture democratiche, maggiore rispetto dei diritti umani, la liberazione di prigionieri politici e una tregua con le minoranze etniche (che sono attualmente perseguitate). Durante i colloqui con il Segretario di Stato è stato anche affrontato il tema dei “rapporti nucleari illegali” tra Myanmar e Corea del Nord, con gli Usa che temono soprattutto la vendita di tecnologia e missili balistici alla giunta militare e chiedono che alcuni siti sospetti vengano aperti ai controlli dell’Aiea. Durante la visita, Hillary Clinton ha anche incontrato l’icona pro-democrazia Aung San Suu Kyi, che ha passato in prigione 15 degli ultimi 21 anni, colpevole di aver guidato il partito che ha stravinto le elezioni del 1990 il cui risultato è stato poi ribaltato dai militari.

Secondo diversi analisti politici, un segno del successo della strategia degli Stati Uniti si può intravedere nella recente liberazione di molti prigionieri politici da parte del governo, nell’abolizione della censura preventiva sulla stampa e nell’abrogazione del divieto di candidatura per chi ha subito condanne per ragioni politiche. Si potrebbe leggere in questa chiave anche il rifiuto del governo, giunto improvviso e inaspettato il 30 settembre scorso, di costruire la diga Myitsone nel nord del paese. L’enorme costruzione, da oltre 3 miliardi di dollari, faceva gola alla Cina che era disposta a comprare gran parte della prevista produzione energetica.

I dissidenti birmani assicurano che in realtà le misure interne prese dal governo non cambiano la situazione di fondo: le persecuzioni e le violazioni dei diritti umani continuano; è interessante in ogni caso che si ipotizzi che la decisione di sospendere la diga sia dovuta al tentativo del governo di liberarsi almeno in parte dall’eccessiva influenza cinese. Pur tra molte incertezze, la visita di Hillary Clinton porterà alcuni risultati positivi per il Myanmar, visto l’impegno preso da gli Stati Uniti di non porre più il veto agli aiuti destinati al paese dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Se è difficile pensare che l’America abbia con questa visita conquistato un alleato in più nel Sudest asiatico, si può affermare che ora ha un nemico in meno.