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L’effetto WikiLeaks in Medio Oriente: oltre le classiche fratture

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La bufera WikiLeaks di fine novembre ha avuto dei precedenti significativi per i riflessi sul Medio Oriente: erano già stati pubblicati migliaia di documenti americani classificati relativi all’andamento della guerra in Afghanistan tra il 2004 e il 2010, e altri sul dibattito interno all’amministrazione Bush all’indomani dell’11 settembre.

L’interpretazione prevalente delle rivelazioni più recenti è che, nel complesso, queste abbiano giovato soprattutto a Israele – la Turchia ha perfino avanzato il sospetto che proprio Israele abbia contribuito alla divulgazione dei documenti. Di contro, tutti i paesi arabi ne sarebbero usciti sconfitti, assieme alla solidarietà panaraba.

In effetti, dai documenti emerge sostanzialmente un’immagine di Israele molto più dinamica e inserita nel quadro regionale di quanto la stessa retorica nazionalista israeliana vorrebbe far intendere: il governo, il Mossad e lo stato maggiore intrattengono rapporti continuativi di consultazione con una serie di attori arabi, a cominciare da Fatah, l’Egitto, la Giordania e gli Emirati Arabi.  

Un caso interessante è quello del Qatar – paese con cui tuttora Israele non ha relazioni diplomatiche ufficiali. Dai documenti risulta che il senatore democratico John Kerry avrebbe avuto una conversazione con l’emiro del Qatar Hamad bin Khalifa al-Thani, in cui quest’ultimo ammetteva che per Israele è difficile perseguire negoziati di pace a fronte di un’opinione pubblica araba convinta che Hamas e Hezbollah siano usciti vincenti dai recenti confronti con il paese ebraico. Un’analisi schietta della situazione, insomma, che però conferma una volta di più i vincoli che bloccano le ledership arabe rispetto al conflitto arabo-israeliano quando si tratta di assumere iniziative ufficiali.

Le principali informazioni di WikiLeaks riguardo a Israele non svelano dinamiche inattese, ma piuttosto aiutano ad evidenziare le ragioni dei vari protagonisti e a portare alla luce anche i tentativi diplomatici non andati a buon fine.

Per quanto riguarda l’operazione Piombo Fuso (dicembre 2008- gennaio 2009), sappiamo ora che Israele tentò di coordinarsi con Egitto e Fatah, promettendo loro la piena restituzione della Striscia di Gaza una volta che Hamas fosse stato sconfitto e il territorio smilitarizzato. Entrambi rifiutarono l’offerta, per motivi piuttosto ovvi. L’Egitto, perché il suo vero obiettivo è la piena annessione di Gaza alla West Bank e l’innalzamento di un muro di separazione ancora più alto tra la Striscia ed il suo territorio, nonché l’interramento di tutti i tunnel per tagliare le uniche vie di collegamento diretto con il proprio territorio. Quanto al rifiuto di Fatah, questo fu dovuto al fatto che la presidenza Abbas non avrebbe potuto annettere la Striscia bypassando la leadership di Hamas, se non al prezzo di una nuova spaccatura della sua stessa opinione pubblica.

Altre fonti divulgate riguardano i commenti sia dell’amministrazione americana che del governo israeliano sulla debolezza attuale dell’ANP, e più specificamente sulla leadership di Abu Mazen. Il ministro degli Esteri Tzipi Livni avrebbe lamentato, dopo un primo round esplorativo presso i Palestinesi in vista della ripresa di negoziati a inizio 2007, il fatto che non fosse possibile raggiungere un accordo finale senza prima riformare l’ANP. Di opinione simile sarebbe stato Ehud Barak nelle conversazioni con il vice-ambasciatore americano. Il capo del Mossad, Meir Dagan, si sarebbe spinto al punto di affermare che, senza l’aiuto delle forze armate israeliane, probabilmente Fatah avrebbe lasciato il posto a Hamas anche nella West Bank.

Un episodio di forte frizione tra Washington e Israele riguarda la vendita di armi e aerei da guerra F-15 all’Arabia Saudita: gli Israeliani avrebbero protestato sostenendo che i sauditi non davano sufficienti garanzie in funzione anti-iraniana. Gli Stati Uniti avrebbero offerto rassicurazioni affermando che anche per i sauditi l’Iran rappresentava la minaccia numero uno. Un funzionario del dipartimento di stato suggerì anzi a Netanyahu di sfruttare questa contingenza che vedeva gli interessi dei due paesi convergere inaspettatamente sul dossier iraniano, ma il premier israeliano temeva che, una volta ottenuta dall’Iran la bomba nucleare, tutti i paesi arabi si sarebbero automaticamente riallineati in funzione anti-Israele.

La maggiore preoccupazione principale israeliana sarebbe stato il momento in cui, a fronte di un Iran nucleare e di un gap minimo di armi convenzionali con i paesi arabi sunniti, la ripresa della guerra contro Israele sarebbe potuta diventare nuovamente un’opzione attraente per tutti. Proprio per scongiurare un accerchiamento ed un rafforzamento degli arsenali di armi convenzionali possedute da Hamas e Hezbollah, Israele avrebbe attaccato con due raid aerei nel 2009 il Sudan, colpendo due carichi che dall’Iran erano diretti ai suoi confini attraverso l’Egitto e i tunnel clandestini di Gaza.

Altre rivelazioni scomode di WikiLeaks riguardano il ministro della Difesa libanese Elias Murr: egli avrebbe dato dei “suggerimenti” agli Israeliani su come invadere nuovamente il sud del paese, proteggendo dai bombardamenti le aree cristiane ed evitando accuratamente le sedi delle Nazioni Unite, al fine di non incorrere nella strumentalizzazione delle risoluzioni ONU da parte di Hezbollah. Murr avrebbe inoltre tentato di tenere l’esercito libanese fuori da qualsiasi futuro conflitto, dal momento che Hezbollah non aveva certo chiesto al parlamento libanese di accettare o meno i missili provenienti dalla Siria e dall’Iran sul suo territorio. Tale spaccatura è nota, ma risalta in tutta evidenza dai documenti.

Alcune indiscrezioni riguardano il leader siriano Bashar al-Assad, che non avrebbe acconsentito alle richieste iraniane di coinvolgere la Siria in un eventuale conflitto con Israele provocato da Hezbollah. Ciò confermerebbe una parziale autonomia siriana rispetto a Teheran, e dunque anche la concreta possibilità che la restituzione delle alture del Golan a Damasco faciliterebbe l’uscita definitiva della Siria dal conflitto israelo-palestinese.

Quale giudizio dare su tutta questa mole di notizie provenienti dalle cancellerie mediorientali e sfuggita al controllo della diplomazia americana? Tutto sommato, ne emerge un Medio Oriente paradossalmente più positivo di quanto non appaia quotidianamente sui giornali: una regione in cui alla retorica spesso bellicosa che si riscontra nelle parole dei leader si affianca un lavorio paziente di tessitura di rapporti che vanno ben oltre la tradizionale spaccatura tra arabi e israeliani. Dunque, un quadro molto più variegato di interessi, in cui la solidarietà araba non è più l’asse portante della politica mediorientale, sebbene condizioni ancora le posizioni pubbliche assunte dai governi. È però anche una regione in cui si consuma un confronto ad alto rischio e sempre più diretto tra Israele – intenzionato a mantenere il proprio vantaggio strategico – e l’Iran – che vorrebbe e forse potrebbe riaggregare attorno a sé i paesi dell’area una volta in possesso di una bomba nucleare. In ogni caso, per quanto destabilizzanti possano essere le fughe di notizie di WikiLeaks, in Medio Oriente esse svelano il volto più razionale e rassicurante delle dirigenze politiche.