Nel corso degli anni il presidente Hosni Mubarak ha reso l’Egitto un sistema apparentemente impervio al cambiamento, quasi impassibile a qualsiasi sfida politica. Oggi c’è un tentativo in atto di risolvere in maniera innovativa il vecchio problema della successione al rais egiziano. Sebbene il regime sia sempre riuscito ad adattarsi alle pressioni che comunque ha subito, sia dall’interno che dall’esterno, negli ultimi mesi sembra che qualcuno abbia davvero gettato un sasso nello stagno della politica egiziana.
Nel 2011, quando scadrà il suo quinto mandato, Mubarak avrà tagliato il traguardo dei trent’anni al vertice dello stato. Dopo un intervento chirurgico in Germania lo scorso marzo, il presidente appare affaticato, anche se nessuna legge gli impedisce di candidarsi per una sesta volta.
E’ in questo contesto che Mohamed El Baradei ha aggiunto il suo nome alla lista dei possibili candidati alla successione. Classe 1947, carriera da burocrate internazionale alle spalle, l’ex segretario generale dell’AIEA (l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) è comparso sul palcoscenico politico egiziano dopo un’assenza di dodici anni. E si è dichiarato pronto a partecipare alla corsa presidenziale a patto che il governo approvi una nuova Costituzione che garantisca una competizione leale e onesta.
El Baradei ha annunciato la nascita di un “Fronte nazionale per il cambiamento”, ottenendo l’appoggio di Hassan Nafi’a (a capo del partito Al-Ghad), Ghazali Harb (leader del partito liberaldemocratico) e, almeno a parole, dei Fratelli Musulmani. La creazione di questa coalizione ha già fatto parlare di un possibile B-day, una specie di giorno del giudizio.
Ad attenderlo all’aeroporto del Cairo, il 19 febbraio scorso, c’erano circa mille persone. Possono sembrare poche, ma in un paese dove lo stato di emergenza è in vigore da quasi trent’anni, si tratta di per sé di un avvenimento. A festeggiarlo c’era tra gli altri la moglie di Ayman Nour, lo sfidante di Mubarak alle elezioni del 2005 finito in carcere dopo aver ottenuto il 7 % dei voti.
C’erano anche alcuni membri di kifaya (in arabo, “abbastanza”), un movimento che dal 2004 si oppone al regime principalmente via Internet. Al centro della contestazione, che ora sta quindi raggiungendo le strade, c’è proprio la successione al potere e la candidatura di Gamal Mubarak, figlio di Hosni, che appare come il più probabile sostituto del rais. Le tecniche adottate da kifaya sono siti web, blogs, chat rooms e social networks: strumenti con i quali si cerca di sfuggire alla morsa della censura imposta dal regime e raggiungere un vasto pubblico.
A fine marzo il gruppo su Facebook che sostiene la candidatura di El Baradei registrava quasi 85 mila aderenti: un numero enorme se paragonato ai 6 mila utenti che, sullo stesso social network, sostengono Gamal Mubarak. El Baradei è un personaggio apprezzato da molti scrittori virtuali, anche da quei bloggers – spesso molto giovani – che all’inizio del mese hanno creato Wasla, la prima rivista egiziana di citizen’s journalism. Caso vuole che la copertina del primo numero della neonata rivista ritragga un’ immagine stilizzata di El Baradei.
Anche se non è un uomo nato nell’epoca dei social networks, El Baradei sa che per espandere la sua popolarità deve penetrare l’agorà cibernetica. E’ per questo che ha annunciato la creazione di un sito web nel quale raccogliere firme per una petizione con la quale si vuole chiedere al governo di intraprendere una serie di cambiamenti. Innovazioni che, secondo El Baradei, devono realizzarsi pacificamente per evitare uno scontro diretto con il governo.
In realtà, per contenere il “fattore B” il governo egiziano ha già sguinzagliato la stampa di regime. Lo stesso Mubarak, dopo aver dichiarato che l’Egitto non ha bisogno di alcun eroe nazionale, ha cercato di screditare il suo possibile sfidante pubblicamente, spiegando come El Baradei avrebbe fornito agli Stati Uniti il pretesto legale per invadere l’Iraq. E’ plausibile che per frenare El Baradei il governo le provi tutte, e di fronte alla macchina del regime non sarà probabilmente decisivo il numero di “amici” raccolti su Facebook – uno strumento non ancora in grado di rilevare, da solo, il vero potenziale politico di un candidato.
Eppure, secondo quanto scrive Steven Cook su Foreign Affairs, l’ex segretario generale dell’AIEA può essere l’uomo giusto per sfruttare lo scarto esistente tra la retorica del regime e la realtà in cui versa l’Egitto. Il fatto stesso che El Baradei sia stato a lungo fuori del paese, aspetto per il quale è criticato da molti, potrebbe rivelarsi in effetti il suo asso nella manica. A differenza di quanto accaduto con Saad Eddin Ibrahim e Ayman Nour, neutralizzati per il loro dalle forze di sicurezza con accuse la cui veridicità è tutta da verificare, i servizi egiziani potrebbero non avere materiale sufficiente su El Baradei a causa della sua lunga permanenza austriaca: sarà quindi più difficile trovare un pretesto al quale aggrapparsi per accusarlo di qualche illecito. Mubarak non può neanche descrivere il rivale come una pedina manovrata dagli Stati Uniti (nel tentativo di ridurne la popolarità), visto che alla AIEA El Baradei ha più volte alzato la voce contro Washington.
Contrariamente alla linea del regime, sono molti gli egiziani che cercano un nuovo eroe. E anche altrove si percepisce che potremmo essere ad un passaggio cruciale: a fine marzo da Washington è stata recapitata una lettera aperta al Segretario di Stato, Hillary Clinton, da parte di un gruppo di esperti (il Working Group on Egypt) raccolti attorno al Carnegie Endowment for International Peace, con la richiesta di occuparsi direttamente delle libertà civili in Egitto. Cominciando sul governo di Mubarak affinché riformi la Costituzione proprio per facilitare la candidatura di quanti vogliono sfidare l’intramontabile rais alle prossime elezioni.