Washington e Brasilia dopo l’era Trump
Dopo la vittoria di Joe Biden, in molti avevano sottolineato come il Brasile sarebbe stato uno dei Paesi che più avrebbero risentito dell’avvicendamento alla Casa Bianca: in Jair Bolsonaro, Donald Trump aveva trovato molto più di un semplice omologo, quasi un fratello ideologico. Basti pensare, ad esempio, all’approccio alla pandemia: dalla non obbligatorietà dei vaccini all’uso saltuario della mascherina, dal Covid-19 definito una “gripezinha”, una piccola influenza, agli assembramenti di persone, che adora, difficile trovare un capo di Stato come il brasiliano così agli antipodi rispetto a Joe Biden nella visione e nella gestione del coronavirus.
Era il 7 giugno quando il Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, faceva sapere che Biden e Bolsonaro, in sei mesi, non si erano ancora parlati. Certo, con linguaggio diplomatico, Sullivan spiegava che il ritardo era solo dovuto all’agenda piena di Biden, “incredibilmente impegnato”, ma che “non vede l’ora” di una conversazione nei prossimi mesi. Resta, però, il segnale palese di un rapporto ancora bloccato a una grande freddezza.
Tre giorni dopo, era il 10 giugno, l’ambasciatore statunitense a Brasilia Todd Chapman annunciava di avere scritto a Biden per informarlo della sua decisione di lasciare l’incarico per andare in pensione e ritirarsi in Colorado. La sua nomina, nell’ottobre 2019, era avvenuta in piena luna di miele tra Bolsonaro e Trump, con il primo ribattezzato non a caso dai media il “Trump dei tropici”: Chapman era una pedina importante della loro relazione. Dopo il suo arrivo nella capitale brasiliana, nel marzo 2020, l’ambasciatore finì su tutte le prime pagine quando invitò Bolsonaro a un barbecue il 4 luglio nella sua residenza, nel bel mezzo delle restrizioni invernali anti-pandemia. Secondo fonti anonime consultate dall’Associated Press, poco dopo Chapman avrebbe addirittura suggerito che il Brasile potesse influenzare il voto presidenziale nell’Iowa, uno dei principali produttori di biocarburanti degli USA, abbassando le tariffe sull’etanolo, notizia però sempre smentita dal diplomatico. Di certo c’è che ora l’ambasciata a Brasilia sarà guidata ad interim dal vice di Chapman Douglas Koneff e che – garantisce il quotidiano Folha di Sao Paulo – il successore di Chapman stavolta sarà deciso direttamente dalla Casa Bianca, e non dal Dipartimento di Stato, il ministero responsabile della diplomazia statunitense.
Il nuovo ambasciatore “potrà essere un importante donatore della campagna elettorale di Biden o qualcuno collegato al Partito Democratico, ma non un diplomatico di carriera”, assicura la giornalista brasiliana Patricia De Mello. Sarà una nomina strategica nel dialogo tra Stati Uniti e Brasile: il profilo del successore di Chapman sarà un’indicazione di cosa Washington si aspetta dal rapporto bilaterale. “La designazione di un nome collegato alle tematiche ambientali e climatiche, ad esempio, segnalerebbe che Biden intende rinnovare la pressione sul Bolsonaro in questi ambiti”, assicura la Folha.
A prescindere da quale ambasciatore sceglierà, per Biden il tema ambientale sarà centrale anche dopo il 2022, quando il Brasile potrebbe cambiare presidente. Manca ancora oltre un anno, si vota a ottobre, Bolsonaro è candidato ma l’ex presidente Lula è davanti a lui nei sondaggi; tuttavia Biden ragiona in sul medio periodo, visto che la sua presidenza è appena iniziata. Un preludio si è visto al primo vertice della sua presidenza organizzato lo scorso aprile da Biden in occasione della Giornata della Terra. Tra i 40 capi di Stato invitati da remoto per la pandemia, l’ex capitano dell’esercito era il più atteso, a causa dell’aumento del disboscamento amazzonico ma, a parte la promessa di “far cessare il disboscamento entro il 2030”, non ha preso nessun impegno vincolante.
Da quando Bolsonaro è entrato in carica nel gennaio 2019, infatti, la deforestazione ha accelerato al livello massimo degli ultimi 12 anni. Dal 2000 al 2018 sono 425.051 i km quadrati di Amazzonia brasiliana distrutti, ovvero l’8% dell’intera foresta, secondo l’ultimo rapporto dell’Amazon Geo-Referenced Socio-Environmental Information Network. Mentre il periodo da agosto 2019 allo stesso mese del 2020, secondo i dati ufficiali, ha fatto segnare un ulteriore +9,5% rispetto all’anno precedente. Non bastasse, quest’anno i dati dei primi 5 mesi del 2021 dell’Istituto nazionale brasiliano di ricerca spaziale (Inpe) mostrano che la deforestazione è aumentata ancora del 25% rispetto al 2020, con 2.548 km quadrati distrutti, un’area tre volte più grande di New York.
L’amministrazione Biden non intende tollerarlo, come ha spiegato bene Ian Bremmer alla BBC, presidente e fondatore dell’Eurasia Group. “Per quanto riguarda gli incendi in Amazzonia, la rapida deforestazione ha rappresentato un terzo della distruzione delle foreste tropicali del mondo nel 2019. Il presidente Trump, scettico sul cambiamento climatico, era disposto a ignorarne le implicazioni ambientali ma il nuovo presidente si è unito ai leader europei per condizionare le offerte di aiuto finanziario al Brasile a un’inversione di rotta sul disboscamento dell’Amazzonia”.
Alla Giornata della Terra l’amministrazione Biden ha negoziato con il Brasile su potenziali finanziamenti per conservare l’Amazzonia. L’allora ministro dell’Ambiente, Ricardo Salles ha chiesto un miliardo di dollari, ma i funzionari statunitensi hanno replicato di volere vedere prima i fatti, affermando di non credere alle promesse di provvedimenti immediati da parte del Brasile. “Sfortunatamente il regime di Bolsonaro ha annullato parte delle misure vigenti per proteggere l’ambiente”, ha spiegato a maggio l’inviato americano per il clima di Biden, John Kerry, in un’audizione al Congresso.
Il problema per l’esecutivo brasiliano è anche la mancanza di credibilità, come ha sottolineato The Economist in uno speciale del 5 giugno scorso. Da un lato c’è infatti quanto emerso da una riunione a porte chiuse dell’esecutivo nell’aprile 2020, il cui video è stato reso pubblico per ordine dalla Corte Suprema, in cui Salles esortava i membri del governo a spingere per ogni tipo di deregolamentazione ambientale mentre la stampa era ‘distratta dal covid19’. Dall’altro che il giorno dopo aver detto a Biden e agli altri leader alla Giornata della Terra che “il Brasile avrebbe raddoppiato la spesa per proteggere l’ambiente, Bolsonaro l’ha invece tagliata del 24%”.
La pandemia è un altro asse ormai centrale nei rapporti tra gli Stati a livello globale ma anche bilaterale. Il 5 maggio Bolsonaro dichiarava alla stampa che Biden avrebbe presto inviato dosi di AstraZeneca al Brasile, dopo gli USA il secondo Paese al mondo con più morti (oltre mezzo milione). Anche se nessuno a Washington confermava sui vaccini, la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki dichiarava che l’amministrazione Biden stava attivandosi per consegnare al Brasile 20 milioni di dollari in farmaci necessari all’intubazione dei pazienti covid-19, sedativi che in quel periodo mancavano nelle terapie intensive sia di San Paolo che di Rio de Janeiro.
In realtà con Biden gli Stati Uniti faranno sì arrivare vaccini al Brasile, ma lo faranno tramite il sistema COVAX dell’OMS, al quale Washington non solo ha aderito con la nuova amministrazione (Trump ne era rimasto fuori), ma ne è diventato il più grande donatore, con promesse di finanziamento di 4 miliardi di dollari entro il 2022. Entro fine giugno COVAX distribuirà 31 milioni di vaccini in America Latina, una parte dei quali anche al Brasile.
Al di là delle differenze ideologiche (globalista e progressista moderato Biden, sovranista e populista di destra Bolsonaro) e dalla presenza di questo o quel presidente tanto negli USA come in Brasile, la collaborazione tra Washington e Brasilia è forte nel campo aerospaziale. Lo dimostra il ringraziamento del segretario di Stato Tony Blinken a Bolsonaro dopo la firma, lo scorso 15 giugno, da parte del Brasile degli Accordi di Artemis, l’erede del programma spaziale Apollo, che porterà la prima donna e la prima persona di colore sul superficie della Luna. E anche nel commercio, nonostante Pechino abbia superato Washington come partner principale da qualche anno, i legami tra USA e Brasile rimangono fortissimi.
Come ha dimostrato la collaborazione messa in campo in occasione dell’attacco hacker di fine maggio scorso contro JBS, multinazionale brasiliana nonché la più grande produttrice di proteine animali al mondo e che fornisce un quinto di tutta la carne consumata negli USA. Informata dell’accaduto, la Casa Bianca si è immediatamente mobilitata, chiedendo conto al presidente russo Vladimir Putin, visto che i criminali informatici che hanno bloccato per qualche giorno gli stabilimenti JBS negli Stati Uniti pare fossero russi. Una ipotesi mai avvalorata da Mosca.