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Verde e rosa: una nuova generazione europea

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 E’ vero che l’Europa, per più di dieci anni, è stata dominata nel bene e nel male dalla figura di una donna, Angela Merkel. Ma le elezioni del 2019 segnano probabilmente una svolta: è in ascesa una nuova generazione politica composta da donne fra i 30 e i 40 anni, europeiste, verdi e liberali.

La Germania traccia la strada, con tre figure in ascesa. Cominciamo da Katharina Schulze, 33 anni, deputato della Baviera, che ha fatto il suo apprendistato come volontaria nella campagna elettorale di Barak Obama (2008) e ha poi portato i Verdi a conquistare un numero senza precedenti di seggi nel Land conservatore per eccellenza. E’ femminista (vuole le quote rosa elettorali, a differenza della CDU), europeista, ecologista pragmatica, e usa i social come arma politica. Un secondo volto è quello di Franziska (Ska) Keller, 37 anni, che parla cinque lingue (fra cui il turco e il catalano) ed è la candidata del Gruppo Verde alla presidenza della Commissione europea. La sua ricetta politica è un mix fra nuovo ecologismo (trainato dal business, più che dall’ideologia), difesa dei valori democratici in Europa, economia sociale di mercato e visione pragmatica del problema migratorio. E infine Annalena Baerbock, 38 anni e 2 bambine, con un degree prestigioso alla London School of Economics e un seggio sicuro nel Bundestag: assieme ai temi ambientali si batte per la Web Tax in Europa.

Katharina Schulze, Ska Keller e Annalena Baerbock

 

Sono i volti di una generazione colta, pragmatica e molto decisa. Nell’insieme, sono più amate dell’erede di Angela Merkel alla guida della CDU: Annagrete Kramp-Karrenbauer, AKK, 55 anni, autrice di troppe gaffes e ancora schiacciata dalla popolarità persistente di “Mutti”, il volto rassicurante della nazione tedesca.

Lo stesso mix di politiche, ma spostate a sinistra in economia e con una durezza in più sui temi migratori, caratterizza l’ascesa delle donne nel Nord Europa. A partire dalla vittoria in Danimarca di Mette Frederisken, 40 anni, leader socialdemocratica, secondo cui “sta diventando sempre più chiaro che il prezzo della globalizzazione non regolamentata e delle migrazioni di massa è pagato dalle classi inferiori”.

E mentre la Finlandia ha nominato 11 ministri donne su 19, il fattore “gender” ha contagiato l’Europa orientale. Prima, con la vittoria delle elezioni presidenziali in Slovacchia di Zuzana Caputova, 45 anni, sulla base di una piattaforma fatta di europeismo, solidarismo, umanesimo liberale. E poi con l’attesa che la bulgara Kristalina Georgeeva, ex commissaria europea e oggi alla World Bank, possa aspirare alla presidenza della Commissione. Intanto Viorica Dancila, ingegnere, è diventata primo ministro della Romania (ma in questo caso, come nel caso di Kristalina Georgeeva e della presidente lituana Dalia Grybauskaité, si tratta di donne della generazione precedente). Mentre in Serbia Ana Brnabic, 40 anni, europeista e dichiaratamente omosessuale, è diventata primo ministro nel 2017 e gestisce la delicata partita dell’accesso (eventuale) all’UE.

L’insediamento di Zuzana Caputova alla presidenza della Slovacchia

 

E’ abbastanza scontato, viste tendenze di questo “genere”, che una donna possa aspirare a una delle cariche apicali europee, al di là della posizione, affidata a Federica Mogherini dal 2014, di Alto Rappresentante della politica estera. Il fronte liberale (appena rinominato “Renew Europe” su pressione di Emmanuel Macron), ago della bilancia della nuova maggioranza parlamentare a Strasburgo, propone come noto alla Presidenza della Commissione europea Margrethe Vestager: attuale commissario alla concorrenza, che si è opposta, secondo molti sbagliando, a una serie di importanti fusioni industriali. In confronto, i candidati di Popolari e Socialisti, Manfred Weber e Frans Timmermans, appaiono politici navigati, il che non è più un vantaggio; e risultano abbastanza ammaccati dal declino dei rispettivi partiti. La contesa sembra più aperta di un tempo. E in un clima europeo polarizzato per linee di frattura identitarie, il tema ”genere” assume di per sé anche una valenza politica.

In tutto questo l’Italia vive un paradosso: ha una legge elettorale (una delle poche in Europa) che obbliga al 50% delle quote rosa in lista, ma il tono della politica nazionale è smaccatamente maschile e non si vede l’ascesa – al di là delle sindache 5 stelle, con la loro performance discutibile – di una nuova generazione di donne con le stesse caratteristiche delle loro colleghe europee: competenti e pragmatiche, con una ricetta politica fondata su un inedito mix (per tentare una sintesi approssimativa) di temi ambientali, economia solidale e libertà individuale.

Anche sul fronte “Verde”, l’Italia è un’eccezione: non esiste una nuova forza ambientalista degna di questo nome e Greta è stata, sui social italiani, soprattutto oggetto di derisione. L’unica donna che piace davvero alla Lega è Marine Le Pen, collega di battaglie sovraniste in Europa. Giorgia Meloni aspira ad esserne, probabilmente, la versione italiana. 

 

 

 

Una versione di questo articolo è stata pubblicata da La Stampa del 15 giugno 2019.