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Sud America e Latinos, due chiavi per la rielezione di Trump

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Combattere contro “la troika della tirannia” ovvero Cuba, Venezuela e Nicaragua. Una guerra dichiarata in termini che più chiari è impossibile. Prima lo scorso novembre a Miami da John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale; poi, soprattutto, sempre a Miami, dallo stesso presidente , Donald Trump in persona, il 18 febbraio. In quel suo ormai storico discorso ai venezuelani ma anche ai cubani e ai latinos della Florida, Trump lo ha dichiarato a più riprese: “giorni nuovi stanno arrivando in America Latina” dove “il socialismo sta morendo e dove libertà, prosperità e democrazia stanno rinascendo”. Per poi ribadire un concetto chiave: “gli Stati Uniti non saranno mai un Paese socialista”.

Perché questa insistenza? La cosa non deve stupire più di tanto visto che sul rapporto con il nuovo ”asse del male” rappresentato da questi tre paesi Trump ha intenzione di impostare la sua prossima campagna elettorale. La Florida – basti pensare al 2000 con il testa a testa di Bush jr. contro Al Gore – è uno stato determinante per la sua riconferma nel 2020 alla Casa Bianca.

Graffiti a Little Havana, Miami

 

In Florida del resto vive il 70% degli esuli cubani residenti in tutti gli Stati Uniti, e anche i venezuelani stanno crescendo a dismisura, visto l’esodo biblico che negli ultimi mesi ha subito un’accelerazione senza precedenti. Sono già oltre duecentomila infatti i residenti provenienti dal paese caraibico nella sola Florida, secondo i dati di una ricerca condotta dall’Università di Miami sul finire del 2018.

Intanto, il Venezuela rimane una grande spina nel fianco per Trump. Lo scorso maggio il Dipartimento dei Trasporti ha sospeso i servizi cargo e passeggeri tra Venezuela e Stati Uniti, mentre lo scorso 17 aprile è stato posto il veto su tutte le transazioni finanziarie tra gli Stati Uniti e la Banca Centrale del Venezuela, che si è vista così ridurre la possibilità di accedere e detenere una cospicua quantità di valuta estera, principalmente dollari statunitensi. Poco prima, il 22 marzo, Washington aveva congelato tutti i beni e le attività della Banca di Stato dello Sviluppo Economico e Sociale del Venezuela, sia negli Stati Uniti che per i  cittadini americani fuori dal Paese.

L’ondata di sanzioni, che ha lo scopo di frenare il finanziamento delle casse statali venezuelane, era iniziata nell’agosto del 2017 con un decreto sul divieto di negoziazione di nuovo debito sovrano emesso dal governo di Caracas e dalla Petróleos de Venezuela S.A. (Pdvsa), la compagnia petrolifera statale. Non erano mancati poi provvedimenti ad personam, con la first lady Cilia Flores, la vicepresidente e capo dell’Assemblea Costituente Delcy Rodríguez e i Ministri della Difesa e dell’Informazione Vladimir Padrino e Jorge Rodríguez che si sono visti i conti  negli Stati Uniti bloccati e le transazioni limitate a partire dal settembre 2018.

Oltre alle sanzioni contro il Venezuela, Washington si è mossa, sempre in aprile, contro la Banca Corporativa del Nicaragua, conosciuta come Bancorp – accusata di riciclaggio di denaro per la famiglia del presidente Daniel Ortega – insieme ai conti correnti di Laureano Ortega Murillo, suo figlio. Precedentemente, nel novembre del 2018 le sanzioni avevano preso di mira la moglie, Rosario Murillo, che è anche vicepresidente del Nicaragua. È stata ritenuta responsabile di violazioni dei diritti umani e repressione della democrazia tale da rappresentare “una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti e per la sua politica estera”.

Rosario Murillo e Daniel Ortega

 

Il 2018 era stato un anno terribile per il già fragile equilibrio del Nicaragua, con pesanti tensioni sociali esplose in primavera.– Altre sanzioni mirate da Washington avevano colpito Nestor Moncada Lau Consigliere per la sicurezza nazionale, accusato di favorire lo “smantellamento sistematico delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto”, di ricorrere “all’uso della violenza indiscriminate e di tattiche di repressione contro i civili”, nonché di incoraggiare “la corruzione, che ha condotto alla destabilizzazione dell’economia nicaraguense”.

Quanto a Cuba, dal 5 giugno 2019 un altro decreto presidenziale di Washington  ha vietato l’approdo a tutte le navi da crociera con turisti americani. La decisione coinvolge 17 compagnie di navigazione e ha già pesatosul turismo – solo quest’anno 800mila cancellazioni – e su 300mila piccoli artigiani, 100 “paladares” (bar e ristoranti privati) e oltre 300 caffetterie gestite in proprio che hanno dimezzato gli incassi. L’obiettivo era comunque gli incassi del governo cubano: tra tasse portuali, diritti di attracco e percentuali, l’equivalente di 30 milioni di euro.

A questo decreto si aggiunge un’ulteriore stretta, decisa sempre in aprile, quando gli Stati Uniti hanno attivato il capitolo III della Helms-Burton, legge approvata nel 1996, rafforzando così l’embargo contro Cuba. Mai nessun presidente degli Stati Uniti lo aveva fatto prima. A partire dal 2 maggio  scorso i cittadini statunitensi che videro i loro beni confiscati dalla rivoluzione castrista possono fare causa a chiunque li abbia poi comperati dal regime dell’Avana. In questo infatti consiste il capitolo III della legge. Si tratta non solo di case ma anche di hotel, fabbriche e terreni o concessioni e, tra gli interessi più colpiti da possibili richieste danni milionarie in tribunali statunitensi ci sono investitori  stranieri come gli spagnoli della multinazionale Meliá che oggi amministra uno degli hotel simbolo di Cuba, l’Habana Libre, o gli ex Hilton canadesi ma anche di molti altri paesi europei. Bruxelles non ha gradito, e nella dichiarazione congiunta dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri UE, Federica Mogherini e della Commissaria al commercio Cecilia Malmström, si legge che «l’Unione Europea ribadisce la sua forte opposizione all’applicazione extraterritoriale di misure unilaterali relative a Cuba contrarie alle legge internazionale», per aggiungere poi che ogni opzione è aperta per proteggere i suoi legittimi interessi, compreso il ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio.

Il provvedimento dell’amministrazione Trump è stato descritto dal Segretario di Stato Mike Pompeo come uno strumento per dare finalmente giustizia ai cittadini statunitensi. “Per oltre 22 anni il capitolo III è rimasto sospeso nella speranza che il regime cubano passasse alla democrazia. Ma l’amministrazione Trump sa vedere la realtà, ovvero che i dittatori vedono l’appeasement (la normalizzazione delle relazioni lanciata da Barack Obama) come una debolezza. Il tentativo di moderare il regime non ha funzionato». E ancora: «Cuba ha esportato per anni la sua oppressione in Venezuela. I militari, i servizi di informazione e le forze di sicurezza cubane mantengono Nicolás Maduro al potere. Questo comportamento mina la stabilità dei paesi dell’emisfero occidentale e costituisce una minaccia diretta alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti». Nell’ambito dello stesso pacchetto di misure si è inclusa anche la limitazione dell’invio delle rimesse a 1000 dollari USA per persona ogni tre mesi.

Raúl Castro con Nicolás Maduro

 

Insomma, Washington ha stretto la morsa sul comunismo cubano che annaspa in una politica incapace di realizzare quelle riforme economiche promesse nel 2007 da Raúl Castro. Fu allora che Obama diede un’opportunità storica all’isola, togliendo tutte le limitazioni che Trump ha adesso reintrodotto. Il risultato è che con il Venezuela al tracollo umanitario Cuba è ripiombata in una crisi grave, quasi come negli anni ’90, quando cadde l’Urss insieme con il sostegno economico che arrivava da Mosca.

Al vecchio generale Leopoldo Cintra Frias, Ministro delle Forze Armate Rivoluzionarie, non è restato che consigliare ai suoi connazionali di mangiare jutía – un roditore simile alla nutria – per combattere la carenza di carne. «La jutía contiene più proteine di tutti gli altri tipi di carne, compresa la carne bovina. E ha una pelle di alta qualità» ha dichiarato senza ironia il braccio destro di Raúl in diretta alla televisione di stato.