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Russiagate: il Glossario

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Per orientarsi nei meandri delle inchieste in corso negli Stati Uniti sulle presunte interferenze russe nelle elezioni del 2016, riteniamo utile al lettore una sorta di glossario dei protagonisti, dei passaggi principali e dei termini dei dibattito.

 

 

Abramson, Seth

Giornalista freelance e segugio implacabile, twitta che il candidato Donald Tump (aprile 2016) ha incontrato l’Ambasciatore russo negli USA Sergey Kislyak al Mayflower Hotel di Washington D.C. Per quale ragione si sono visti? Il Russiagate cova ormai sotto la brace.

 

APT 28 e APT 29

Hacker russi riconducibili al Cremlino. Li scopre l’agenzia di contro cyber spionaggio americana Crowdstrike dopo l’incidente mail che riguarda John Podesta. Ma l’episodio di Podesta (marzo 2016) non coincide con l’inizio dei giochi: i russi sono nel network democratico da almeno un anno, trafugano carte e spiano le mail di Hillary Clinton.

 

Are you kidding?

“State scherzando?” è la domanda esterrefatta del Ministro degli Esteri Russo, Sergej Lavrov, ai giornalisti americani che gli chiedono in coro se sappia del licenziamento del capo dell’FBI James Comey.

 

Asilo politico

È quello offerto da Vladimir Putin nientemeno che all’ex Direttore dell’FBI, James Comey. Paragonandolo a Edward Snowden (!!!) e cioè ad un’attivista dei diritti umani, Putin sfodera un sarcasmo esplicito: se Comey si sente minacciato in America, la Russia è pronta a dargli protezione.

 

Best, in the world

A gennaio 2018, a margine della conferenza stampa col leader moldavo in visita, Putin sfodera il suo umorismo sul dossier Steele, lasciando ai traduttori il compito di restituire, ai tanti non russofoni, il sarcasmo del leader. Con viso glaciale Putin ricorda l’età adulta di Trump e l’assurdità di festini erotici a Mosca nel 2013 per Miss Universo, in compagnia di ragazze dalla “scarsa responsabilità sociale”. Pausa da re del palcoscenico. Segue virgolettato: ”anche se sono le migliori al mondo.”

 

Bezos, Jeff

È il fondatore (e CEO) di Amazon, e dal 2013 il proprietario (o editore se si preferisce) del Washington Post. La testata è protagonista nell’inchiesta Russiagate: suo lo scoop sulle rivelazioni d’intelligence donate da Trump a Lavrov, come suo l’audio del senatore McCarthy su “Putin paga Trump”. Anche nel 1972 l’inchiesta “Watergate” partì dal WaPo. Il nuovo motto del giornale, coniato da Bezos, campeggia ormai stabilmente in prima pagina: “Democracy Dies in Darkness”.

 

Bremmer, Ian

E’ un politologo americano. E’ lui a rivelare al mondo che Trump e Putin si sono incontrati una seconda volta al G20 di Amburgo, segretamente. Per un’ora: Trump solo, Putin col suo traduttore. Smascherato, il tycoon ha detto: è stata solo una chiacchierata innocente, anzi pleasantries, cioè convenevoli. Poi si è ricordato cosa bisogna dire tutte le volte che ci sono i russi di mezzo: si parlava di adozioni.

 

Brennan, John

Ex capo della Cia fino all’inizio del 2017, ha testimoniato all’House intelligence commitee. Il fulcro del suo ragionamento, rispetto all’incontro Trump-Lavrov nello Studio Ovale, è netto: non è stata la prima volta che abbiamo condiviso informazioni coi russi, ma mai e poi mai così. Le informazioni si scambiano da pari a pari (leggi intelligence con intelligence) e non in conversazioni a tutto campo tra un capo di stato e un ambasciatore. Inoltre, nel linguaggio usato da Trump (e trascritto dai russi), orecchie attente sapranno cogliere dettagli sintomatici che riveleranno non solo le fonti, ma le stesse procedure operative dell’FBI.

 

BuzzFeed news

BuzzFeed news è il sito che dimostra come 3.0 si nasce. Tutto il press-corp anglosassone aveva accesso alle 35 pagine del dossier di Steele, ma è stato il sito “Buzzfeed news” a pubblicarle nel gennaio 2017 , avventurandosi sullo strapiombo deontologico di ogni giornalista: si dà una notizia solo quando è verificata.

Per i favorevoli alla deregulation, vige invece un ragionamento da codice dei mari pirateschi: essendo il segreto peggio custodito della politica americana, cioè una cosa orami sulla bocca di tutti, BuzzFeed lo ha semplicemente portato sul personal device di tutti.

 

Calembour
È la soluzione sofisticata che Donald Trump, in genere molto basic, ha scelto per annunciare via Twitter di essere sotto indagine. Lo ha costruito così: “sono indagato per aver licenziato il Direttore dell’FBI dall’uomo che mi ha detto di licenziare il Direttore dell’FBI”. Chi è quest’uomo? Rod Rosenstein: suo l’affidavit contro Comey che finisce sulla scrivania di Trump pochi giorni prima del licenziamento.

Cambridge Analytica 

Società britannica di analisi di “big data” che avrebbe rubato 80 milioni di profili da Facebook per influenzare elezioni a ogni latitudine: dalle presidenziali USA (in favore di Trump, con Bannon consulente) alla Brexit. Il Russiagate al contrario o il Russiagte senza Russia, se preferite. La FTC (Federal Trade Commission) a luglio 2019 multa Facebook per 5 miliardi di dollari. La privacy vale oro.

 

Catalyst

Il catalizzatore, cioè il motivo del licenziamento, è stato l’atto di lesa maestà di Comey nei confronti del DOJ (Department of Justice). Lo dice poco convinta la portavoce della Casa Bianca, Sarah Huckabee Sanders, ai giornalisti in conferenza stampa.

 

Chef (the)

Lo Chef è Yevgeny Prigozhin. Oligarca russo nato a Leningrado, come Vladimir Putin, è il proprietario dei ristoranti che ricevono i dignitari di stato esteri e il regista dei catering diplomatici per lo Zar. Da qui il soprannome culinario. Si è fatto nove anni di carcere in Russia per accuse varie ma, come si dice nell’ambiente, son meriti: stellette da appuntarsi sul petto. Non c’è solo caviale tra le sue ricette, infatti sembra che la Internet Research Agency, la santa barbara dei troll russi, fosse sua o la dirigesse lui. Adesso il suo nome è interessante anche alla giustizia americana, per diversi capi d’accusa. Il curriculum s’arricchisce.

 

Clinton, Rodham Hillary

Due volte first lady, i maligni dicono che a causa delle interferenze russe abbia perso l’occasione di un terzo mandato.

 

Cohen, Michael

Per dieci febbrili anni avvocato di Donald Trump, una volta finito in mano alla giustizia inizia a vuotare il sacco. Dice il vero per sentimento di redenzione o s’inventa tutto per scagionarsi? Le accuse a Trump e alle “proprie” debolezze, in deposizione davanti al Congresso, sono mirabolanti, ma al momento sconta tre anni per uso illecito di fondi elettorali.

 

Comey, James

Direttore dell’FBI licenziato sul serio a sua insaputa, ma dopo un giro di telefonate fra Donald Trump e mezzo Congresso. Il suo mandato scadeva nel 2023. Indagava sulle cyber interferenze russe nelle elezioni presidenziali, sui server di Hillary Clinton, e probabilmente sul “di cosa si parla stasera a tavola, al Mayflower Hotel”.

 

Crowdstrike

Agenzia di cyber-sicurezza alla quale si rivolge John Podesta per scoprire chi ha violato il network dei Dem in piena campagna elettorale. Questo glossario tratta del Russiagate dal che si evince come la risposta di Crowdstrike sia stata, ovviamente, hacker russi. Quelli che si nascondono dietro le sigle di APT 28 e APT 29.

 

Dark Web

Il lato oscuro di internet, il luogo non luogo dove si possono alterare elezioni democratiche o posteggiare leak (fuga di notizia) senza mittente. Se l’FBI smentisce Trump, confermando che Comey aveva la totale fiducia del Bureau, forse qualcuno avrà dei leak da condividere. Potrà scegliere tra tutte le principali testate americane che hanno iniziato a pubblicizzare il loro indirizzo dedicato alla cyber guerra.

 

DNC, Democratic National Committee

E’ la casa madre del partito Democratico americano, dove gli hacker russi sembra abbiano deciso di sferrare il loro principale attacco alle presidenziali del 2016.

 

Derikaspa, Oleg

Oligarca russo da perfetta parabola dostoesvkiana, grande amico di Putin e non solo. La bella Anastasia Vashukevich, dalla sua cella in Thailandia ma soprattutto dalle foto pubblicate su Instagram, dice a sua volta di esserne amica e di andarci in barca insieme, non senza il vice primo ministro russo Sergey Prikhodko. E sembra che si parlasse, sullo yacht s’intende, proprio di elezioni americane…

 

DOJ

È il Dipartimento di Giustizia americano che, secondo Trump, Comey escludeva dalle indagini sullo spionaggio russo per proteggere l’inchiesta e tenerla nel solo ambito FBI senza rivelare cosa il Bureau già sapesse su Michael Flynn.

 

Dowd, John

Avvocato privato di Donald Trump; è stato alla guida del team legale incaricato di gestire la posizione del Presidente nei confronti dell’indagine di Mueller. Era lui a scrivere, o a suggerire, alcuni tweet di Trump ormai famosi? In ogni caso si dimette a marzo 2018 in disaccordo col suo datore di lavoro. Dowd consigliava Trump prudenza nei confronti di Mueller, un concetto troppo astratto per The Donald. Quasi nello stesso giorno si dimette anche il generale H.R. McMaster, che era succeduto a Michael Flynn nella carica di National Security Advisor, la poltrona più scomoda di Washington.

 

Ecuador

Repubblica sudamericana con ambasciata a Londra, dove dal 2012 al 2019 ha trovato rifugio Julian Assange. Rapporto Mueller e inchiesta CNN suggeriscono la stessa cosa: qui Assange riceveva dai russi materiale piratato per interferire nelle elezioni americane.

 

Eight

Il numero otto. Sono i quattro russi e i quattro americani che il 9 giugno 2016 in piena campagna elettorale s’incontrano alla Trump Tower di Manhattan per parlare di adozioni tra Russia e America o, perché no, dei guai di Hillary Clinton. Ecco chi sono. Russi: Natalia Veselnitskaya,  Rinat Akhmetshin, Anatoli Samochornov, Ike Kaveladze. Americani: Donald Trump Jr., Jared Kushner, Paul Manafort, Rob Goldstone (inglese).

 

Enemy (of the American people)

“Nemici del popolo americano”. Sono i media, secondo Trump, così chiamati in un suo celebre tweet del febbraio 2017. Apre la lista il NYTimes ovviamente, al quale dobbiamo la notizia su “Comey Nut job”. Al Wall Street Journal (WSJ), dobbiamo invece la rivelazione delle riunioni d’affari al Mayflower Hotel, mentre del Washington Post sono le prime, esplosive, indiscrezioni sull’incontro nello Studio Ovale coi russi e la frase di Kevin McCarthy.

 

Flynn, Michael

Ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale nominato da Trump e subito dimissionario. Non voleva collaborare alle indagini dell’FBI sulle relazioni pericolose coi russi. Ma ora deve chiarire i suoi rapporti col Cremlino: e non parliamo solo di telefonate con l’Ambasciatore Sergej Kislyak. Quando sedeva a cena di fianco a Vladimir Putin, ad esempio, parlava solo di hockey su ghiaccio? Ha ritirato la minaccia di avvalersi del quinto emendamento e sta patteggiando con Mueller.

 

Gates, Rick

Socio, o braccio destro di Paul Mananort, o entrambe le cose. L’FBI se lo porta via la sera del 30 ottobre 2017 col suo capo. Al principio nega i 12 capi di accusa, poi alla fine accetta di collaborare con la giustizia ma intanto i capi d’imputazione sono diventati 32. L’accusa principale è money laudry, che però a livelli internazionali, e con certe potenze straniere coinvolte (scrivi Ucraina, leggi Russia) apre alla cospirazione. Ha spiegato la decisione di dichiararsi colpevole, dopo essersi dichiarato in un primo momento innocente, con l’amore per la sua famiglia. Morale: le cene dorate non valgono un barbecue.

 

Giuliani, Rudolph

E’ un duro, l’ex sindaco di New York, e da quando (aprile 2018) entra nel team legale di Trump, per Mueller inizia la parabola discendente.

 

Goldstone, Rob

È un discografico-giornalista di tabloid britannico, ma con entrature di assoluto livello in Russia. Sua la mail al figlio maggiore di Trump dove racconta che un loro comune amico russo (Emin Agalarov), figlio di un immobiliarista pezzo da novanta (Aras Agalarov), tramite i contatti altolocati del padre può far avere informazioni compromettenti su Hillary Clinton. È una prova concreta, sostiene Goldstone, che i russi vogliono il bene di Trump senior e della sua campagna elettorale. Trump Jr. risponde coi cuoricini.

 

GRU (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie)

E’ il servizio d’intelligence delle forze armate russe. Il sospetto degli investigatori americani è che gli hacker attivi contro il DNC dei Democratici siano stati tutti coordinati da quest’intoccabile centro di potere e di spionaggio fondato da Lenin nel 1918 e ancora molto utile, sembra, a Vladimir Putin cent’anni dopo.

 

Harding, Luke

Giornalista britannico al terzo (perdibile) libro sulla Russia di Putin. Si vanta di essere il primo giornalista occidentale espulso dal Paese dai tempi della Cortina di Ferro. Nel suo ultimo libro mette in prosa la sostanza del dossier di Steele e la sua tesi diretta. Da sempre i servizi segreti russi usano l’arma sessuale come forma di lotta (è capitato anche lui, c’informa) e il dossier di Steele coglie esattamente nel segno. Si tratta di un ricatto voyeristico-sensuale per influenzare Trump, architettato dai russi nei giorni di Miss Universo 2013.

 

Hockey su ghiaccio

Sport di squadra praticato sul ghiaccio. Disciplina amata da Vladimir Putin il quale, in tenuta da gioco, rilascia un’intervista sul caso Comey alla CBS News. La sostanza: non m’intrometto nelle decisioni interne di Trump.

 

Hicks, Hope

Ex modella americana, è una bellezza collegiale, stile Ivy League, e infatti lavorava per Ralph Lauren. Fedelissima di Donald Trump, passa da portavoce della sua campagna elettorale a portavoce della Casa Bianca dopo Scaramucci. Ma il 28 febbraio 2018 la sua deposizione di 9 ore sul Russiagate di fronte all’ House Intelligence Committee le costa il posto (pubblico) di lavoro.

 

House Intelligence Committee

E’ la commissione della Camera bassa del Congresso, presieduta dal Repubblicano David Nunes, che supervisiona le attività dell’Intelligence nazionale. Tutto il Russiagate, è passato di qui. Una passerella, appunto. Le conclusioni, si apprende verso la metà di marzo 2018, sono ecumeniche. Sì i russi hanno pasticciato le nostre presidenziali, ma non si può dire che abbiano aiutato Trump nello specifico. Un’altra conclusione, di ordine psicologico?, è questa: i russi lo rifaranno.

  

I love it

È l’espressione che Donald Trump Jr. usa in risposta all’offerta di Rob Goldstone di ricevere informazioni sensibili su Hillary Clinton durante la campagna elettorale. Finito sotto i riflettori, il rampollo decide alla fine di pubblicare di sua sponte tutta (o quasi) la corrispondenza in questione. Sembra che Julian Assange, nientemeno, glielo avesse consigliato poche ore prima: ma non così, bensì in forma anonima. Il gesto di trasparenza di Trump Jr. potrebbe ora avere valore legale, e non a sua discolpa.

 

Kislyak, Sergej

Ex l’ambasciatore russo a Washington, nominato da Dmitrij Medvedev nel 2008. Naturalmente è ucraino, cioè lo erano entrambi i genitori (questo per chi s’ostina a minimizzare i legami storici tra Russia e Ucraina). Parlare con lui, ultimamente, significa compromettersi.

 

Kompromat

Espressione russa per designare materiale compromettente, evocata dal New Yorker a sostegno della tesi che le telefonate – registrate – tra Flynn e Kislyak sul tema sanzioni alla Russia sono kompromat a 18 carati. Ma il vero materiale compromettente, secondo altri, sarebbe molto più… sensuale.

 

Kushner, Jared

Una naturale idiosincrasia verso il nepotismo potrebbe liquidarlo come il genero di Trump promosso alla Casa Bianca. Il ragazzo invece, classe 1981, è sì il rampollo di una famiglia d’immobiliaristi ed editori (New York Observer), ma ragiona con testa propria: vantava simpatie democratiche, studi a Harvard e successivo MBA . E’ stato prima lo stratega della campagna elettorale social di Trump e poi il vero regista fino alla vittoria. Nominato Senior Advisor del Presidente, indiscrezioni ormai confermate vogliono sia lui l’alto esponente dell’Amministrazione indagato per il Russiagate. Di certo partecipa alle principali riunioni operative di suo suocero e, intellettualmente, non sembra lui l’anello debole del sodalizio. Tutto ciò non basta, e così gli revocano il nullaosta d’accesso ai dossier ‘top secret’. Scende un gradino.

 

Lavrov, Sergej

È il Ministro degli Esteri russo, in visita a Washington incontra Rex Tillerson e Donald Trump. Esce dal primo incontro domandando “Are you kidding?” e dal secondo sottolineando la differenza con l’era Obama: “Trump e la sua Amministrazione sono uomini d’affari”. È un complimento.

 

Lichtblau, Eric

E’ un giornalista americano. Vincitore del Premio Pulitzer per un’inchiesta formidabile del 2006 su Bush Jr. e le intercettazioni della NSA. Ci riprova nel 2017 con Trump e con la CNN come editore, ma qualcosa va storto. Lo scoop tira in ballo i rapporti tra i russi del fondo RDIF (Russian Direct Investment Fund) e un uomo d’affari del team di transizione di Trump. Chi? Anthony Scaramucci. L’inchiesta non è Watergate e nemmeno waterproof: è buona, ma la fretta di pubblicarla senza il responso dell’ufficio legale della CNN le è fatale, e affonda. Lichtblau viene licenziato come fosse l’ultimo degli stagisti, Scaramucci vola a capo della Comunicazione della Casa Bianca.

 

Magnitsky Act

E se fosse questo il brodo primordiale del Russiagate? Sergej Leonidovič Magnitsky era un avvocato russo, ma lavorava per società americane. È morto nel 2009 in circostanze oscure mentre era detenuto in Russia con l’accusa di corruzione. Per gli USA, è un omicidio di Stato. Talmente convinto della cosa, Obama la prende di petto. Il testo punitivo che il Congresso emana e Obama controfirma ha un nome lungo così: Russia and Moldova Jackson-Vanik Repeal and Sergei Magnitsky Rule of Law Accountability Act of 2012. In soldoni è l’inizio della nuova guerra fredda. Con questa legge gli Stati Uniti possono adottare sanzioni economiche contro aziende o cittadini russi per violazione dei diritti umani. I russi, a giudicare col senno di poi, l’han presa peggio di Obama. Vietano le adozioni di bambini russi in America, tanto per cominciare. A questo punto entra per la prima volta in scena il nome di Natalia Veselnitskaya, avvocato di grido, che per perorare la causa degli orfani russi – ci credereste? – arriva a incontrare addirittura Donald Trump Jr.

 

Manafort, Paul

Avvocato e lobbista di caratura, è stato il manager della campagna elettorale di Donald Trump. Prima dell’incarico è stato anche l’uomo pro-Russia nella crisi Ucraina, tra il 2012 e il 2014. Per questo l’FBI ne seguiva da tempo le mosse. La sua figura rivela che il Russiagate ha radici profonde: precedenti, e di molto, allo scandalo mail di Hillary Clinton. Arrestato il 30 ottobre 2017 con Rick Gates. L’accusa principale è cospirazione, al confronto dei quali i 18 milioni di dollari riciclati rappresentano argent de poche. Non si sa se il suo principale nemico sia il procuratore Mueller o l’ex socio Gates, che ha deciso di collaborare con gli sbirri.

 

McCabe, Andrew

Vice direttore dell’FBI sotto Comey, diventa il facente funzione quando Trump silura il suo capo. Ma Trump non lo ama: nello Studio Ovale gli chiede per chi ha votato alle presidenziali, sapendo benissimo che sua moglie era candidata coi Democratici in Virginia. La domanda aveva un sott’inteso, e cioè se da investigatore avesse approfondito lo scandalo mail di Hillary o avesse fatto finta di non vedere. Trump e Session lo volevano licenziare, ma si sono ricreduti quando il nuovo capo dell’FBI, Christopher Wray, ha minacciato di andarsene lui sbattendo la porta se solo ci avessero provato.

Era un bluff, tenuto nascosto, come solo i veri bari sanno fare, fino all’ultimo. A 24 ore dalla pensione Session lo licenzia e Trump esulta su Twitter.

 

McCarthy, Kevin

Nel 2016 l’allora capogruppo repubblicano alla Camera pronuncia la frase rilanciata dal Washington Post: “Vladimir Putin paga Donald Trump”. Aggiungendo un rafforzativo: “Swear to God” (giuro su Dio). La conversazione registrata, che McCarthy non può smentire ma contestualizzare e derubricare a scherzo di cattivo gusto, è interrotta da un alto esponente del GOP, Paul Ryan, che invita i presenti a lavare i panni sporchi in famiglia. McCarthy pronuncia la frase dopo aver incontrato, con Ryan e altri, il Primo Ministro ucraino Vladimir Groysman a Capitol Hill. Cosa si sono detti dovrà scoprirlo Robert Mueller, il Procuratore Speciale.

 

Memo         

Sono i dossier con i quali Repubblicani e Democratici si fanno la guerra al Congresso. I grandi media li annunciano come esplosivi, ma poi di deflagrante hanno solo la noia. Poco di nuovo al loro interno, se non il comprensibile fastidio dell’FBI nel vedere i propri metodi e le proprie fonti messe in piazza. Per un’agenzia di Intelligence l’opposto dell’intelligenza. Per questo Session da torto a Trump sulla pubblicazione del Memo dell’FBI dedicato a Page Carter, ma il Presidente non lo ascolta e autorizza il leak. I Dem restituiscono il favore pubblicando il memo in difesa dell’FBI . Dramma nelle redazioni: trovare stagisti che abbiano la voglia di leggerseli.

 

Miss Universe

E’ un concorso di bellezza che sfiora il miliardo di spettatori nel mondo. Donald Trump ne ha detenuto il marchio dal 1996 al 2015. L’asset includeva anche i concorsi di bellezza di Miss USA e Miss Teen USA. Prima trasmesso dalla CBS e poi dalla NBC, il rapporto si conclude con la discesa in politica di Trump che provoca la reazione del Network e il rifiuto a trasmettere lo show. Trump prima rileva a CBS le sue quote e poi vende il 100% del brand a WME/IMG.

Ora che Trump per circondarsi di belle ragazze dovesse aspettare proprio l’edizione moscovita del concorso nel 2013 o chiedere entrature a Vladimir Putin sembra curioso. Senza dimenticare che l’eletta Miss Universo ottiene, tra gli altri premi, un appartamento nella Trump Tower di New York. Quando si dice la ragazza della porta accanto…

 

Money Laundry

La sinistra americana che ama Bernie Sanders ha la sua tesi. Il Russigaate, di russo, ha solo il nome. Si tratta di una colossale messa in scena per dare statura politica a una volgare operazione di pulizia di denaro sporco. In effetti, le prime incriminazioni di Robert Mueller vanno esattamente in questa direzione, e prendono nel mirino Paul Manafort e Rick Gates. Se il primo resiste ancora, il secondo ha ammesso e collaborerà.

 

Mueller, Robert

È il Procuratore Speciale del Russiagate, nominato dal numero due del Dipartimento di Giustizia, Rod Rosenstein, dal momento che il numero uno Jeff Sessions è coinvolto nell’inchiesta e si è autosospeso. Guarda caso è l’ex direttore dell’FBI. Conclude il rapporto con un enunciato wittegensteniano: il Presidente non può essere incriminato, ma nemmeno scagionato.

 

Nix, Alexander

CEO di Cambridge Analytica, che rivela di aver incontrato Donald Trump più volte durante la campagna elettorale ma rivela, soprattutto, che quelli dell’Intelligence Committee di Washington, repubblicani o democratici che siano, sono dei politici e non dei tecnici di cyber technology. In parole povere: dal momento che fanno domande su argomenti che non padroneggiano, si può rispondere loro qualsiasi cosa…

 

Nut Job

È la vanteria di Donald Trump, rispetto al licenziamento di Comey, fatta al cospetto di Lavrov e delle delegazione russa nell’ormai famoso incontro del 10 maggio 2017 alla Casa Bianca. “Nut job” è un giudizio altamente offensivo e si attribuisce alle azioni di uno squilibrato, di un pazzo: in questo caso, il Direttore dell’FBI.

 

Page, Carter

E’ stato uno dei principali advisor di Donald Trump in politica estera durante la campagna elettorale 2016. Esperto di Russia, ha lavorato alla filiale Merrill Lynch di Mosca come vicepresidente, prima di mettersi in proprio. Grossi affari coi russi che si è portato in dote in campagna elettorale. Per questo, con Paul Manafort, è nel mirino degli investigatori. Su di lui verte il Memo dei Repubblicani contro l’FBI che Trump ha dato in pasto alla stampa. Tanto rumore per nulla: Presidente e Bureau continuano per la loro strada di separarti in casa.

 

Papadopuolos, George

Advisor di Trump per la politica estera, durante la campagna elettorale trattava da Londra per avere, dai russi, le mail compromettenti di Hillary. L’FBI lo arresta a Dallas, aeroporto, nel luglio del 2017 e da quel momento il rampante consigliere ammette la sua  colpevolezza e si mette a disposizione di Mueller.

 

Podesta, John

E’ stato il capo della campagna presidenziale di Hillary Clinton. Sembra sia stato proprio lui a cadere nel tranello teso dagli hacker russi al suo account Google: un banale phishing che un qualsiasi impiegato di ultima categoria sarebbe stato in grado di riconoscere. Eppure, secondo la narrazione biblica, da quel momento i pirati russi entrano nel database del DNC, il Democratic National Committee.

 

Queen for a day

E’ quel procedimento legale che permette, nell’ordinamento criminale americano, all’accusato di fornire informazioni all’accusa, senza che poi queste vengano usate contro di lui. Il termine tecnico è proffer letter o proffer agreement, ma intanto la reginetta in questione è Rick Gates, che collaborerà con Mueller sull’incriminazione di Manafort e forse oltre.

 

Quinto Emendamento

È l’emendamento che consente di non auto-incriminarsi e al quale Flynn pensava in un primo momento di far ricorso per evitare l’obbligo di consegnare i documenti relativi ai suoi rapporti coi russi. Una carta molto alta da giocare alla prima mano di una sfida, quella con l’House Intelligence Committee, che è l’anticamera dell’ufficio di Mueller. Ma gli emendamenti, nella cultura americana, si fanno forza gli uni con gli altri: il quinto vale, perché vale il secondo (quello sulle armi fa fuoco) e tutti all’unisono si danno manforte.

 

Quota 100

Sono 100, secondo il New York Times, i “contatti” avuti con i russi da Trump e dai suoi prima del Giuramento presidenziale. Un grafico dettagliatissimo, ad personam, fotografa questa Nouvelle (Russian) Vague che ha dettato la moda 2016/17.

  

Red line

E’ il limite oltre al quale, secondo Trump, il Procuratore Speciale Mueller non dovrebbe spingersi nell’inchiesta, e cioè andando a ficcare il naso negli asset finanziari della sua famiglia. Trump non lo dice in maniera diretta, ma risponde alla domanda di un reporter del NYTimes che con malizia evoca la red line, forse memore di quanti danni ha causato l’uso del concetto (sulla Siria) all’incauto predecessore Obama.

 

Rogers, Mike

È un ammiraglio, capo della NSA (National Security Agency). Molto criticato per gli scarsi risultati ottenuti sinora e il mancato rilancio della struttura (dai suoi ranghi paralleli esce Edward Snowden) ha incontrato diverse volte Donald Trump senza mai riferire – prassi corrente – ai suoi supervisori militari la natura dei colloqui che, si sospetta, fossero relativi al come tacitare i rapporti tra membri dello staff del Presidente e i russi.

 

Rosenstein, Rod

Vice ministro della Giustizia, ha sì nominato Robert Mueller come Procuratore Speciale per il Russiagate, ma è un affidavit scritto di suo pugno quello che arriva sul tavolo di Trump con la richiesta di licenziare James Comey, il Direttore del Bureau.

 

Saturday Morning Meltdown

Se il Watergate ebbe il “Saturday Night Massacre”, il Russiagate ha il suo equivalente nel Saturday Morning Meltdown. Nixon licenziò Archibald Cox, il Procuratore Speciale del Watergate, il 20 ottobre del 1973; Trump licenzia McCabe, ex numero due dell’FBI, il 17 marzo del 2018.

 

Scaramucci, Anthony

Uomo d’affari chiamato a fare, ovviamente, il capo della Comunicazione alla Casa Bianca. Entra nel Russiagate a giugno 2017 quando tre assi della CNN (tra i quali il Premio Pulitzer Eric Lichtblau e il capo dell’unità investigativa di Atlanta Lex Haris) lo inchiodano con un’inchiesta, ahi loro, poco solida. Il Network li licenzia in tronco e si scusa, mentre Scaramucci si permette il lusso di un tweet all’insegna del fair play: “Apology accepted. Everyone makes mistakes. Moving on.” Nessuno immagina cosa intenda dire. Ora sappiamo che stava “muovendo-si” verso il ruolo di White House Director of Communcations. La mossa di Trump fa saltare la poltrona, scomodissima, del portavoce Sean Spicer e il relativo sketch tv al Saturday Night Live. Ma il sogno di Tony dura poco: dieci giorno dopo la nomina Trump lo licenzia, per volere del nuovo capo dello staff, il generale dei Marines John Kelly.

 

Sessions, Jeff

È il procuratore generale USA, il custode del diritto americano. Ma il Wall Street Journal lo accusa di aver mentito, ossia d’aver negato i suoi incontri con esponenti diplomatici russi al momento del giuramento per assumere la carica di Attorney General dell’Amministrazione Trump. Si è quindi autosospeso dalle indagini sul Russiagate, lasciando l’iniziativa al suo vice Rod Rosenstein la cui prima mossa, l’affidavit a Trump su Comey, è probabilmente l’eccesso di zelo, o l’ordine di scuderia, che innesca tutta la crisi. Trump lo ha smontato come uomo e francamente si fa fatica, per una volta, a dargli torto. Se avessi saputo che ottenuto l’incarico mi avrebbe voltato le spalle in un attimo, confessa il Tycoon ai reporter del NYTimes, avrei premiato qualcuno di più leale. Poi rincara: Sessions dovrebbe perseguire Hillary. Ma è uno dei suoi sponsor della prima ora, Rudy Giuliani, a mollarlo su questo punto: per l’ex sindaco di New York il G.A. ha preso la giusta decisione auto-ricusandosi dalle indagini. Licenzia McCabe a 26 ore dalla fine del suo rapporto di lavoro l’FBI e la pensione, e innesca il Saturday Morning Meltdown.

 

Spicer, Sean

È l’ex portavoce della Casa Bianca. Dopo aver detto che nemmeno Hitler era arrivato a tanto con l’uso dei gas, riferendosi alla crisi siriana e all’arsenale di Assad, qualcuno ha preferito tenerlo prudenzialmente a riposo nel giorno del licenziamento di Comey mandando in trincea la sua vice, Sarah Huckabee Sanders, per “catalizzare” l’imbarazzo di quello che si annunciava come un potenziale Watergate. Ha lasciato dopo sei mesi di graticola a fuoco lento. Il Saturday Night Live perde così uno degli sketch più esplosivi. Al suo posto, proprio Sarah Huckabee Sanders. A capo di tutto lo staff della Comunicazione un absolute beginner come Anthony Scaramucci.

 

Steele, Christopher

E’ un’ex spia britannica che nel 2016 ha redatto un dossier composto di 17 memo sui giorni (ma anche le notti) ruggenti di Donald Trump a Mosca. Quelli, per dirla con Putin, dove Trump si trovava in città per affari ma, com’è noto, qui si trovano anche le migliori prostitute al mondo. Tuttavia, sottolinea impassibile lo Zar, tra le due cose non c’è relazione e quindi il dossier Steele, come il successivo libro di Luke Harding, sono solo fantasie o, peggio, contro informazione. Chi invece crede a Steele, è certo sia proprio questo il vero Kompromat che mette Trump sotto ricatto russo.

 

Stone, Roger

Il tatuaggio di Richard Nixon sulla schiena rende superflua qualsiasi correspondances (per dirla come Baudelaire) con il Watergate. Ha una collezione di 400 abiti sartoriali e con Paul Manafort è tra i più fedeli collaboratori di Donald Trump, anzi, è l’uomo che lo ha inventato politicamente. L’FBI arresta lui e il suo tatuaggio a gennaio 2019 per ordine di Robert Mueller.

 

Super Bowl

La stampa americana ha definito così l’audizione di James Comey all’House intelligence committee: gli americani infatti hanno seguito la deposizione come se fosse l’atto finale della NFL. Davanti ai televisori dei locali pubblici o dei motel sparsi per la nazione, dei salotti nel placido Midwest o nei fastfood delle metropoli, gli americani hanno ascoltato Comey sotto giuramento dare a Trump, al Presidente, del bugiardo.

 

Tredici (russi incriminati) e Tre (entità russe incriminate)

E’ l’annuncio di Robert Mueller: 13 cittadini russi e tre entità sono state incriminate per le loro interferenze nelle presidenziali.

Dodici delle tredici persone incriminate lavoravano per una di queste entità: la Internet Research Agency. La cabina di regia dei troll e della guerra sporca, secondo l’accusa, che Mosca ha ordito per sfruttare la dabbenaggine di chi naviga i social e abbocca a tutto o quasi. Denigrare Clinton, promuovere Sanders: Trump eletto. Ecco l’equazione. Il Cremlino nega. A Mueller l’onere della prova. Intanto ci fa sapere che i russi, stanziati in Florida, aveva un indirizzo mail (allforusa@yahoo.com) e un account Facebook finto, a nome Matt Skiber. Ma non bisogna immaginarsi tredici smanettoni in un garage, stile Steve Jobs prima maniera. Uno degli indagati è Yevgeny Prigozhin, oligarca putiniano di ferro soprannominato lo Chef, a capo della fabbrica di troll che ha sconvolto le presidenziali 2016.

 

Trump, Donald John

45° Presidente degli Stati Uniti d’America. Ego me absolvo.

 

Trump, Donald Jr.

Figlio primogenito del Presidente, e fratello maggiore di Ivanka, è vicepresidente nell’azienda di famiglia, la Trump Organization. Studi più che normali, comparsate tv, beneficenza e, da vero cattolico osservante, la vocazione del padre di famiglia: infatti ha 5 figli, avuti tutti dalla stessa moglie. Forse per questo incontra la super avvocatessa russa Natalia Veselnitskaya (leggi dopo di chi si tratta), per capire come aggirare il blocco alle adozioni di bambini russi voluto dal Cremlino in reazione al Magnitsky Act deciso dall’amministrazione Obama. L’America ora leggerà tutte le sue e-mail, compreso il Procuratore speciale Robert Mueller che partirà dall’espressione: “I love it”. Il problema è che la sua dichiarazione sull’incontro gliela detta papà dall’Air Force One di ritorno dal G20 di Amburgo. Ma se Trump Senior non sapeva nulla dell’incontro, come ha fatto a dettare lui il comunicato per la stampa?

 

Vashukevich, Anastasia

Alias Nastya Rybka, è in prigione a Bangkok con un’accusa da XVIII secolo: addestramento alla prostituzione. Forse è dentro perché dice di sapere tutto su Oleg Derikaspa e sul Russiagate. In ogni caso, Instagram: www.instagram.com/nastya_rybka.ru/

 

Veselnitskaya, Natalia

È un’avvocatessa russa di successo e gran clientela per la quale si muovono gli Agalarov, padre e figlio, affinché possa incontrare Donald Trump Jr. E l’incontro puntualmente avviene, il 9 giugno del 2016 alla Trump Tower. Ma per parlare di cosa? Sembra di adozioni internazionali tra Russia e Stati Uniti, sospese nel braccio di ferro scatenato dal Magnitsky Act. Alzi la mano chi ci crede davvero, dal momento che nella stanza ci sono anche Jared Kushner e Paul Manafort.

 

Who is honorable and who is not

E’ l’amletica profezia di James Comey quando Trump licenzia McCabe e questi, prima di uscire con lo scatolone in mano, consegna a Mueller il memo del suo ex capo – Comey appunto – con la ricostruzione di cosa davvero si sono detti lui e Trump.

 

Watergate

Lo scandalo che costò il posto a Richard Nixon. Nessuno infatti ha creduto ai propri occhi quando, dopo il licenziamento di Comey, Trump ha ricevuto la visita di Henry Kissinger. Tuttavia l’ex Segretario di Stato di Nixon, si dice, non cena mai al Mayflower Hotel. In compenso il più malfamato dei consiglieri di Trump, Roger Stone, Nixon se lo porta tatuato sulla schiena da galeotto.

 

Whistleblower

Se il fidanzato di vostra figlia, alla domanda che mestiere fai, dovesse rispondere il whistleblower aspettate a metterlo alla porta. Nell’era social il “segnalatore di illeciti” gode di prestigio. Per assurdo il Russiagate ha avuto svariati whistleblowers (a partire da Trump medesimo, sino ai grandi media anti-Trump) mentre l’unico inquirente accreditato, Robert Mueller, si è distinto per l’assoluta sobrietà.

 

Witch Hunt

La caccia alle streghe. E’ il topos scelto da Trump per descrivere la sua situazione di perseguitato politico. Curioso notare come nella storia americana la caccia alle streghe evochi modelli di vittime, le donne e i sospetti comunisti dell’epoca maccartista, che poco s’addicono al pantheon trumpiano.

 

WordPress

E’ il blog firmato da Guccifer 2.0 che pubblica i documenti sottratti al database democratico dagli hacker (russi?) APT 28 e APT 29. Ma siccome è un generoso, gira i documenti anche a Wikileaks di Julian Assange e ad altri blog statunitensi. Tutta l’America legge come i democratici pensano di stroncare Trump ma, guarda caso, anche Bernie Sanders…

 

Wylie, Christopher

E’ il co-fondatore di Cambridge Analytica: sul suo profilo twitter si presenta così: “I make things with data…”. E’ anche il whistleblower  di turno che rivela come Steve Bannon volesse un’arma per condurre una guerra culturale e quell’arma, Wylie, è stato disposto a vendergliela.

 

ZAR

Soprannome di Vladimir Putin, non solo perché è nato nella San Pietroburgo (Leningrado nel 1952) fondata da uno Zar autentico come Pietro il Grande. I libri sulla guerra psicologica, ormai, non potranno più prescindere dalla sua vicenda esemplare. L’isteria russofoba nell’America di Trump e del Russiagate gli varrà probabilmente una laurea honoris causa in psicologia ad Harvard.