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Russia-Cina: una frontiera problematica e un rapporto squilibrato

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Per oltre mille miglia, il fiume Amur segna il confine naturale orientale tra Russia e Cina. Nel suo più recente viaggio, Colin Thubron, tra i più importanti autori di lingua inglese di narrativa di viaggio, ha seguito il corso del fiume, dalle origini date dalla confluenza dei due rami sorgentiferi Šilka e Argun’ nella Siberia orientale fino al mare di Ochotsk nell’oceano Pacifico.

Spostandosi con i più diversi e avventurosi mezzi di transito, Thubron ci racconta di due sponde, una settentrionale, la russa, intrisa di amarezza, disillusione e ricordi di deportazioni e massacri senza giustificazioni, e una meridionale, quella della provincia cinese Heilongjiang, fatta di città effervescenti con grattacieli, centri commerciali e viali alberati.

Fu nella valle di questo poderoso fiume, il decimo al mondo per lunghezza, che nel XVI secolo la Russia di Pietro il Grande nella sua inarrestabile espansione verso oriente entrò in contatto con l’impero cinese della dinastia Qing.

Le continue scorrerie nel territorio cinese di avventurieri cosacchi in cerca di pellicce e grano, che anticipavano l’avanzata dell’esercito russo, costrinse le forze cinesi ad attaccare le truppe zariste, forzando infine i russi a trattare una regolazione della frontiera.

La mancanza di una lingua comune allungò i tempi delle trattative, che si risolsero in lingua latina tramite due gesuiti legati alla corte cinese, uno francese e l’altro portoghese, inviati dall’imperatore Kangxi come interpreti. I negoziati sfociarono nel primo trattato di Nerčinsk, in cui si definivano i confini territoriali tra i due imperi.

Il trattato, firmato il 27 agosto 1689, risulta essere non solo il primo accordo ufficiale siglato dalla diplomazia cinese con un Paese europeo, ma soprattutto il primo documento in cui il Celeste Impero, che si riteneva il centro del mondo e al di sopra degli altri paesi che considerava abitati da barbari, tratta alla pari con un Paese straniero: la Russia.

Il fiume Amur lungo la frontiera russo-cinese

 

Una relazione squilibrata

In realtà, sono dovuti trascorrere più di trecento anni prima che le questioni dei confini territoriali si stabilizzassero una volta per tutte, precisamente il 16 luglio 2001, quando a Mosca, il presidente russo Vladimir Putin e l’allora presidente della Repubblica Popolare Cinese Jiang Zemin firmano il «Trattato di buon vicinato, di amicizia e di cooperazione». Di durata ventennale, il trattato delinea le linee guida per la cooperazione economica e le relazioni diplomatiche e geopolitiche tra i due Paesi, ampliando i rapporti bilaterali di partenariato e l’interazione strategica su basi paritarie e non ideologizzate.

Alla scadenza ventennale del giugno 2021, il trattato è stato rinnovato per cinque anni, estendendo l’intesa all’elaborazione di piani comuni finalizzati alla tutela degli interessi convergenti dei due Paesi sulla scena geopolitica mondiale e nelle relazioni con il blocco occidentale.

Questi piani comuni, forse, già includevano le intenzioni della Russia di invadere la sorella Ucraina, a fronte di una posizione di favoreggiamento della Cina, velata dalla solita neutralità secondo principi di non ingerenza negli affari interni degli altri Paesi – una posizione che assume geometria diversa a seconda delle circostanze, si pensi alla reazione di Pechino nel maggio scorso, quando il governo di uno Stato libero e sovrano, la Lituania, ha deliberato l’apertura dell’Ufficio di rappresentanza di Taiwan all’interno dei propri confini nazionali, precisamente nella sua capitale Vilnius, che sono anche confini dell’Unione Europea.

Neanche un anno dopo, quelle intenzioni potrebbero essersi trasformate in azioni quando il 4 febbraio 2022, poco ore prima dell’inizio delle Olimpiadi invernali di Pechino, Putin incontra il presidente cinese Xi Jinping per discutere formalmente di democrazia, diritti umani, relazioni di partenariato e dulcis in fundo di sicurezza internazionale, rilasciando nello stesso giorno un comunicato congiunto.[1]

Il giorno prima però, a mo’ di apripista, Putin, attraverso l’Agenzia Nuova Cina – nota anche come Xinhua, la maggiore agenzia di stampa ufficiale della Repubblica Popolare Cinese direttamente subordinata al controllo del Consiglio di Stato – in un articolo a propria firma affermava che il partenariato strategico globale Russia-Cina ha raggiunto un livello senza precedenti, che le nuove relazioni interstatali tra Russia e Cina sono superiori alle alleanze politiche e militari dell’era della Guerra Fredda, come pure che l’amicizia tra Russia e Cina “non ha limiti”. [2]

In altri termini, il messaggio di Putin intendeva dire che il matrimonio tra Russia e Cina, seppure obtorto collo, si deve fare: ciò che conta è la rivalità comune verso gli Stati Uniti e i suoi alleati che minacciano gli interessi regionali e globali russi e cinesi. Non importa cosa e quanto porterà in dote l’una o l’altra parte, e nemmeno importa se tale matrimonio si trasformi per la Russia in un vassallaggio politico, economico, sociale e tecnologico opposto alla pretesa personale e nazionale di superpotenza euroasiatica. La semplice e ineluttabile conseguenza è però che gli scambi commerciali tra Russia e Cina sono fortemente sbilanciati a favore della seconda.

 

Scambi e investimenti

Secondo gli ultimi dati pubblici disponibili dalla Banca Mondiale,[3] nel 2019, gli scambi commerciali tra Russia e Cina ammontano a 110 miliardi di dollari. In termini relativi però, quanto scambiato rappresenta per la Russia il 16,5% degli scambi globali, mentre per la Cina appena il 2,4%.

Nello stesso anno, la Cina ha scambiato con l’Unione Europea beni del valore di circa 705 miliardi di dollari e con gli Stati Uniti di circa 540 miliardi, rispettivamente il 15,4% e l’11,9% degli scambi cinesi globali. Insieme, i due ammontare totalizzano quasi 1.250 miliardi di dollari, pari a oltre un quarto del totale degli scambi della Cina col resto del mondo.

Se si aggiungono all’Unione Europea e agli Stati Uniti altri pesi massimi dell’economia mondiale appartenenti al gruppo delle democrazie liberali – come Giappone, Canada e Australia – il peso della Russia come partner commerciale di Pechino diviene una questione di pochi decimali, cioè matematicamente irrilevante.

Ancora più paradossale è che la Russia abbia esportato nell’Unione Europea il 44,4% del valore delle sue esportazioni globali, importandone appena il 4,3%.

Altro elemento di evidente squilibrio dei flussi commerciali tra Russia e Cina è rappresentato dal tipo di beni scambiati.

Delle esportazioni russe verso il mercato cinese, il 70% è costituito di idrocarburi e suoi derivati destinati alla produzione di energia, ciò che tecnicamente si definiscono «commodity», sostanze estratte dalla natura senza particolare valore aggiunto, dal prezzo basso e stabile, escludendo i casi di fenomeni speculativi per penuria naturale o azioni geopolitiche. Se agli idrocarburi russi si aggiungono altre sostanze di base come legno e minerali ferrosi e non ferrosi, la quota di esportazione di materie prime collocate a monte della catena del valore supera l’80% del valore complessivo.

Dal lato opposto, le esportazioni cinesi alla Russia consistono per circa il 44% di beni durevoli come macchinari e apparecchiature elettroniche, cioè prodotti industriali con un certo contenuto tecnologico utilizzati per la produzione di altri beni per un periodo superiore a un anno, ai quali aggiungendo i mezzi destinati ai trasporti si supera la metà di tutti i beni scambiati.

Analoga disparità nella relazione tra Russia e Cina è svelata dagli investimenti diretti esteri.

Secondo l’Istituto nazionale di statistica della Cina, l’ammontare cumulato degli investimenti cinesi in Russia a fine 2018 è stato di 142 miliardi di dollari,[4] a fronte di una controparte russa di appena 567 milioni[5]. Il totale investito dai russi in Cina è dunque pari a meno dello 0,5% di quanto stanziato da investitori cinesi pubblici e privati in Russia.

Dal recente studio della Fudan University sugli investimenti per la costruzione della Nuova Via della Seta in territorio russo,[6] è plausibile stimare che almeno tre quarti del capitale cinese investito in Russia sia andato in progetti infrastrutturali concepiti con l’obiettivo ultimo di facilitare il commercio tra Cina ed Europa, come la linea ferroviaria ad alta velocità Mosca-Kazan.

La minuscola quota di investimenti russi in Cina è probabile che riguardi tecnologie militari e spaziali.

Dati economici principali della relazione russo-cinese. Infografica: Aspenia online.

 

Il flusso univoco dei servizi

Con il deteriorarsi delle relazioni russe con i Paesi euro-atlantici, appare molto probabile che Mosca si leghi a Pechino sempre più, in un rapporto di sudditanza, non solo nello scambio di beni fisici ma anche di servizi.

Un caso emblematico è rappresentato dal sistema internazionale delle transazioni utilizzato dalla quasi totalità delle banche del mondo, meglio noto con l’acronimo inglese SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), dal quale la Russia è stata esclusa dopo l’aggressione all’Ucraina.

La Russia ha un suo proprio sistema per il trasferimento di messaggi finanziari (SFPS, acronimo russo per System for Transfer of Financial Messages) che, sempre per ragioni difensive, è chiuso verso l’esterno, eccetto per poche banche appartenenti a ex-repubbliche sovietiche della regione caucasica e, non a caso, Germania e Svizzera.

L’alternativa per Mosca è data da una integrazione, in realtà già annunciata da un portavoce del parlamento russo, del sistema SFPS con il sistema di pagamenti interbancario transfrontaliero cinese, meglio noto come CIPS (Cross-border Interbank Payments System). Questo sistema è già in uso in oltre cento paesi, con un valore dei trasferimenti bancari intorno agli 80 trilioni di renminbi, pari al cambio attuale a circa 11,5 trilioni di euro, più dei previsti 10,9 trilioni di euro per lo SWIFT attesi nell’anno 2022.[7]

E ancora, è notizia recentissima che Ericsson e Nokia, tra i principali produttori globali di apparecchiature di telecomunicazioni, dismetteranno a breve le loro attività in Russia. La dismissione si ripercuoterà sui due operatori mobili russi MTS e Tele2, che a loro volta diventeranno dipendenti da Huawei e ZTE, i due grandi produttori cinesi di infrastrutture di rete già banditi o esclusi da progetti negli Stati Uniti e in altri paesi europei perché accusati o sospettati di avere legami con i servizi di intelligence e le forze armate cinesi.

La dipendenza russa dalle strutture e sovrastrutture cinesi è lunga e irreversibile. il «new normal» della campagna di transizione politica ed economica annunciata dal presidente Xi in occasione del Terzo Plenum del Comitato Centrale del Partito comunista cinese nell’ottobre 2013, altro non potrebbe rivelarsi per il XXI secolo che una nuova forma di espansionismo e conquista economica del Celeste Impero, stavolta su scala globale e non regionale. Si parte dalla Russia.

 

 


Note:

[1] Joint Statement of the Russian Federation and the People’s Republic of China on the International Relations Entering a New Era and the Global Sustainable Development, Chinalawinfo Co. Ltd, 4 febbraio 2022, tinyurl.com/yensk2mc

[2] “Russia and China: A Future-Oriented Strategic Partnership”, Xinhua, 3 febbraio 2022, tinyurl.com/mtkku7nm

[3] World Integrated Trade Solutions (wits), Banca Mondiale, 20 agosto 2022, tinyurl.com/3rbj9wju

[4] Overseas direct investment by countries or regions, National Bureau of Statistics of China, 2018, tinyurl.com/bde248m3

[5] Foreign direct investment actually utilized by countries or regions, National Bureau of Statistics of China, 2018, tinyurl.com/bde248m3

[6] China Belt and Road Initiative (BRI) Investment Report H1 2022, Green Finance & Development Center, FISF Fudan University, 24 luglio 2022, tinyurl.com/yncdwn5a

[7] What is China’s onshore yuan clearing and settlement system CIPS?, Reuters, 28 febbraio 2022, tinyurl.com/2vrrdnt9