L’innovazione che ridisegna il futuro
La nostra sembra davvero un’era caratterizzata dall’impotenza assoluta. Siamo reduci da una pandemia devastante e siamo circondati da due conflitti internazionali di grave entità: in Ucraina a seguito dell’invasione russa, e in Israele a seguito della strage del 7 ottobre 2023 che ha dato inizio ad un conflitto rispetto al quale è difficile, ancora dopo un anno, fare qualsiasi previsione. Ma nel mondo ci sono comunque infiniti conflitti che stanno continuando e di cui si parla di meno, ma che ogni giorno causano morti e distruzione.
Oltre a questo, abbiamo uno sviluppo esponenziale della tecnologia che sta cambiando il nostro modo di produrre, di lavorare, i nostri modelli di business e il nostro modo di consumare. Un fenomeno potenzialmente positivo, ma che certo sembra essere totalmente fuori controllo e soprattutto fuori dalla portata di una efficace gestione democratica.
Tra cambiamento e disorientamento
Come ho riflettuto anche nel mio libro appena uscito, Arcipelago Innovazione, ci sentiamo soli e impotenti rispetto a un mondo che sta cambiando così velocemente e rispetto al quale non si trovano esempi di governance all’altezza di guidarci, di sostenerci, di prendersi cura di noi. Dobbiamo auto-organizzarci, in ogni ambito, dobbiamo cercare di capire fenomeni complessi, dal mondo del lavoro all’edilizio alla mobilità, come la great resignation e le skill del futuro, in particolare nelle modalità “soft” e “green”, come abiteremo il futuro tra bioedilizia ed ecovillaggi, e senza dubbio l’intelligenza artificiale – una sorta di tecnologia “trasversale” che è destinata a permeare quasi tutti gli aspetti della vita sociale.
Indagare il rapporto tra scienza e impresa, le relazioni già in essere e quelle auspicabili tra ricerca e industria, è una grande opportunità che non bisogna perdere per approfondire i grandi progressi che la scienza consente e consentirà nel prossimo futuro e per sensibilizzare la società riguardo l’importanza degli studi scientifici. Nel mondo ci sono tanti parchi tecnologici, luoghi cardine del rapporto tra scienza e impresa che facilitano e velocizzano i processi di innovazione, dove coesistono ricerca, formazione e territorio: Silicon Valley negli Stati Uniti, Sophia-Antipolis in Costa Azzurra, Porto Digital in Brasile, Adlershof in Germania, Kista Science City in Svezia, Cambridge Science Park in Inghilterra, Philips Research a Eindhoven in Olanda, campus Huawei di Dongguan in Cina, Kilometro Rosso e H-Farm in Italia. Qualunque sia il contesto politico e culturale, abbiamo bisogno non solo di aziende e istituzioni più efficienti, ma anche di gruppi di persone in grado di lavorare insieme senza ego, senza attriti e disattivando quel pensiero rigido che erige muri incredibili davanti alla possibilità di progresso e di benessere.
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Un punto spesso sottovalutato è che proprio la constatazione del fatto che le nostre società vivono attualmente un palese deficit di pensiero e di senso deve condurci ad incentivare maggiormente lo sviluppo di scienza e tecnica. Abbiamo assistito, e continuiamo ad assistere perché in continua evoluzione, alla trasformazione del vecchio posto di lavoro, alla riformulazione dei contratti, al modellamento della società in comunità, a un diverso approccio all’apprendimento dove ciò che conta è il know-how, l’esperienza, la conoscenza dei singoli e delle loro peculiari abilità all’interno dei team. In questa era della collaborazione le organizzazioni si aprono sempre di più a formare delle comunità per tendere ad un reciproco vantaggio, mantenendo la propria identità.
Città alla ricerca di senso
Su questo sfondo, rendere le città “smart” non è solo una moda: si stima che nel 2050 il Pianeta sarà abitato da circa 9,7 miliardi di persone, quindi non è solo una questione di migliore vivibilità ma proprio di sfruttare la transizione digitale per offrire una migliore efficienza energetica e nell’utilizzo complessivo delle risorse naturali – per consentire, in ultima analisi, una migliore qualità diffusa della vita.
A questo riguardo, un caso di straordinario interesse è la città di Amsterdam tra le «mature cycling cities», quelle città cioè che sono frutto di decenni di programmazione urbana e culturale.
Il programma di rendere Amsterdam una smart city è iniziato infatti nel 2009 e trai i suoi obiettivi ambientali c’è quello di ridurre le emissioni di CO2 del 40% entro il 2025. Per farlo, in città vengono installati sugli edifici contatori intelligenti basati su sensori che riducono la propria impronta di carbonio, consentendo agli abitanti di monitorare il proprio consumo energetico in tempo reale. Così come è importante usare centri di lavoro intelligenti e spazi di co-working per ridurre il pendolarismo.
Amsterdam non è solo innovation city da un punto di vista energetico, ma anche digitale e sociale, con i diversi programmi attuati per rendere la città un’eccellenza nel mondo. Come il manifesto partecipativo “Tada, clarity about data”, creato con le imprese locali, il mondo accademico e i residenti, per promuovere consapevolezza, inclusione, trasparenza e l’uso etico dei dati. La città si serve inoltre di applicazioni di intelligenza artificiale e di sistemi algoritmici per il controllo automatizzato dei parcheggi o per dare priorità alle segnalazioni dei cittadini, anche attraverso lo strumento OpenCity per agevolare ed incentivare azioni di partecipazione sociale-digitale.
«Sogno una città che abbia spazi a sufficienza per tutti, una città con aree verdi e aree dedicate ai bambini per giocare in sicurezza. Sogno una città con aria pulita da respirare, dove le persone vogliono vivere, lavorare, rilassarsi. Oggi molte persone si spostano in città lasciando a casa la propria auto, alcuni decidono di non comprarla: il nostro compito è quello di supportare questo trend. Il futuro delle nostre città così come la salute di tutti noi, sono troppo preziosi. Dobbiamo ridurre la dipendenza da automobile e diminuire gli spazi dedicati ai parcheggi: questa è una delle priorità del programma Amsterdam Car-lite», dice Sharon Dijksma, assessore al Traffico e trasporti, acqua e qualità dell’aria del comune di Amsterdam, intervistata da Forbes.
Ci sono buoni esempi che dimostrano come anche le eccellenti capacità imprenditoriali italiane possano dare vita a ecosistemi locali e a un indotto della conoscenza che portino benefici sui territori. Si dovrebbe puntare sui parchi tecnologici, rafforzare la formazione che abbiamo invece tagliato con grande danno per le imprese, e puntare sulla creatività e la conoscenza. Abbiamo visto come, pur vivendo in un mondo globale, a fronte della terribile sfida pandemica siamo stati allo stesso tempo divisi, perché ogni Paese, seppur interconnesso con gli altri, ha trattato l’emergenza in maniera molto individuale e indipendente, non tenendo conto delle complessità e delle connessioni economiche-politiche mondiali.
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A questo punto, continuare a chiedersi se subire o costruire il nuovo futuro è d’obbligo, per far sì che a indebolirsi non sia la leadership comunitaria e collettiva che, invece di mantenere attivo il dialogo e la cooperazione, cederebbe il passo a egoismi sempre più marcati, all’isolazionismo e in alcuni casi ad una deriva autoritaria. È tornata prepotentemente la dimensione locale, la realtà dei comuni e perfino dei quartieri o dei circondari, perché la qualità della vita si misura dove abitiamo. Il tema della sostenibilità s’impone su tutti, dando una declinazione locale anche a quella globalizzazione che aveva tentato di cancellare ogni differenza annegando ogni realtà in uno standard unico, una notte in cui “tutte le vacche sono nere”, per dirla con una celebre frase di Hegel. Il passaggio verso un’economia sempre più circolare passa inevitabilmente attraverso i programmi regionali e delle singole città.
L’integrazione degli eco-sistemi
È per questo che occorre andare a definire un linguaggio comune, un ecosistema integrato; nel caso italiano, si tratto soprattutto di efficientare i rapporti fra le regioni che le faccia dialogare in un’unica direzione e cioè quella della valorizzazione energetica del nostro territorio. È questa la globalizzazione intelligente che porta benefici in termini di benessere, passando dal sostenere consumi alimentari più consapevoli (come la spesa a kilometro zero nel negozio sotto casa), al produrre e condividere energia, arrivando a creare delle comunità energetiche, dove il cittadino, le imprese locali, gli esperti di energia e le stesse istituzioni locali riprendono in mano la gestione del proprio modo di consumare e produrre energia.
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Le città del futuro saranno sempre più declinate alla bioedilizia e a un’ecologia della felicità contro la solitudine delle grandi città. Malaga è un esempio di città innovativa sotto vari aspetti.
Già nel 2009, il Gruppo Enel aveva scelto questa città andalusa per realizzare progetti innovativi di smart city con la prima sperimentazione europea di Smartcity che fu un apripista per altre realizzazioni operative, come i progetti di mobilità elettrica Green eMotion e Zem2All (Zero Emissions Mobility To All) e per forum internazionali, come Greencities.
Nel 2014, a cinque anni dall’avvio, il bilancio del progetto Smartcity Malaga è stato ricco di risultati: i consumi di elettricità sono diminuiti del 25% a parità di prestazioni; le emissioni si sono ridotte del 20%, pari a un taglio di 4.500 tonnellate di CO2 all’anno: utilizzando kit di efficienza tra le mura domestiche, il 42% dei clienti residenziali coinvolti ha ridotto i propri consumi di energia del 10%, mentre risparmi importanti hanno ottenuto i clienti industriali e del terziario grazie all’installazione di sistemi di efficienza energetica con controllo attivo. Particolarmente consistente è stato il risparmio di energia (-65%) nel campo dell’illuminazione pubblica grazie alla sostituzione di lampioni con nuovi modelli a LED. Nel complesso, la riduzione complessiva dei consumi energetici è stata del 25% [fonte dati Enel].
E nel 2024 Malaga è stata classificata al primo posto tra le prime cinque città intelligenti della Spagna. Gli obiettivi chiave di Malaga Smart City sono ridurre le emissioni di CO2, aumentare l’efficienza energetica e aumentare l’uso delle energie rinnovabili per diventare una città più sostenibile. Il progetto comprende soluzioni di efficienza energetica per la casa e ha beneficiato circa 12.000 famiglie dal suo lancio nel 2009.
L’equilibrio di questa città è dovuta ad una combinazione di fattori, che comprende la Malaga Valley, un ecosistema innovativo sulla costa meridionale della Spagna. I luoghi più importanti sono il Malaga TechPark (PTA), l’Università di Malaga (UMA), poi ci sono diversi progetti pilota di Smart City, l’investimento nella ricerca e sviluppo di ferrovie ad alta velocità, il Club Malaga Valley e la struttura di supporto per gli imprenditori e dall’altro la nuova iniziativa “Málaga WorkBay” per incentivare il lavoro a distanza in città, attrarre nuove imprese e dipendenti, ma anche per sostenere il suo ecosistema turistico e ricettivo.
Málaga TechPark, Comune di Malaga ed Endesa hanno presentato un nuovo progetto pilota per la città. #eCityMálaga è un modello di città intelligente che mira a promuovere l’innovazione nel campo delle energie rinnovabili, dei trasporti sostenibili, dell’edilizia efficiente e delle infrastrutture digitali. Il progetto pionieristico è già in fase di sperimentazione nel Málaga TechPark (PTA) e sarà esteso al resto della città nel 2027. Di conseguenza, il Málaga TechPark diventerà un punto di riferimento per il modello di “economia circolare”, in cui l’uso delle risorse, la produzione di rifiuti e il consumo di energia sono ridotti al minimo riducendo i cicli dei materiali.
In particolare, nel parco tecnologico verranno promosse le energie rinnovabili attraverso parcheggi alimentati a energia solare. Tutti gli edifici del parco saranno inoltre dotati di impianti fotovoltaici, che dovrebbero coprire almeno il 25% del fabbisogno del parco. Inoltre, la superficie alberata sarà triplicata.
Ed è così che sulle spiagge nel Polo Nacional de Contenidos Digitales si possono trovare, oltre ai turisti, dipendenti di aziende creative che lavorano da un luogo sicuramente appetibile a molti. Questo sviluppo tecnologico, turistico e culturale ha permesso anche lo sviluppo di nuove start up interessate a questi settori.
I cambiamenti ambientali sono tra le questioni a cui più dobbiamo volgere lo sguardo e dobbiamo farlo anche come singoli cittadini, adottando delle routine quotidiane rispettose della natura e dell’ecosistema, consentendo una vita migliore.
Nuove competenze per disegnare il futuro
E’ necessaria una convergenza di competenze ambientali, utilizzo dei big data, health organization, capacità di decisione, ascolto attivo, empatia. Queste ultime sono le cosiddette soft skills che dovremo assolutamente sviluppare nel futuro prossimo con molta attenzione se vorremo gestire con efficacia le organizzazioni a tutti i livelli. Un dato di fatto incontrovertibile è che la ridefinizione delle priorità dovrà essere sia individuale che collettiva e, soprattutto, il futuro è di chi saprà adottare uno stile di leadership diffusa.
Walter Isaacson, nella sua monumentale biografia uscita recentemente sulla figura di Elon Musk, nel parlare della Tesla cita una riflessione importante di Steve Jobs sul significato di design: “Nel vocabolario dei più, design significa apparenza. Per me non ci potrebbe essere niente di più lontano dal vero significato di design. Il design è l’anima che si trova nel cuore di un oggetto creato dall’uomo e che gradualmente si estrinseca in piani esteriori”. Sempre nello stesso passaggio Isaacson cita una considerazione di John Ive, l’allora designer della Apple, che aveva inserito una maniglia incassata nel simpatico iMac color caramella. “Questa maniglia non era molto funzionale perché l’iMac era un computer desktop non certo destinato a essere trasportato in giro. Ma la maniglia trasmetteva un segnale di affabilità – diceva Ive – Se ci metto una maniglia, la relazione diventa possibile, rendo il computer avvicinabile, intuitivo. Ti do il permesso di toccarlo”.
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Cosa vuol dire dunque disegnare il nostro futuro in modo possibilmente “affabile”? Partendo dalla bella definizione di Jobs è proprio questo, è la nostra anima che si estrinseca in quello che produciamo: può essere un oggetto, ma può essere un progetto che per essere “affabile” deve però contenere la nostra anima. Come diceva Henri Bergson: “L’umanità ha bisogno di un supplemento d’anima perché la stessa diventi più umana”, ed è proprio questo supplemento che abbiamo scoperto in tutti i casi illustrati nel nostro arcipelago, il futuro è dunque nelle nostre mani di “designer”, non facciamolo scappare e mettiamoci l’anima.