L’Europa di oggi e l’eredità di Adenauer: conversazione con Caroline Kanter
“L’Europa deve trovare la forza di smetterla di sottolineare soltanto le sue divergenze e valorizzare l’unità nella diversità, punto di forza su cui non molti nel mondo possono contare. La Germania ha reagito meglio alle conseguenze sociali della crisi economica e alla sfiducia dell’opinione pubblica grazie alle scelte di una leadership unica, che non sarà facile replicare in futuro. E l’Italia deve guardarsi dall’isolamento non solo politico ma anche nell’ambito economico.”
Caroline Kanter, direttrice da quattro anni e mezzo della sezione italiana della Fondazione Konrad Adenauer (KAS), il pensatoio politico tedesco vicino alla CDU e fondato nel 1955, gode di una posizione privilegiata come osservatrice dei cambiamenti dei nostri tempi, con particolare attenzione all’Europa. Alla vigilia di elezioni mai così seguite, o temute, o incerte – a seconda dei punti di vista – Aspenia online l’ha incontrata nella sede romana della KAS.
L’Europa di oggi piacerebbe all’uomo a cui è intitolata la vostra fondazione?
Konrad Adenauer sarebbe orgoglioso dell’Europa di oggi. Adenauer si è impegnato a fondo per rialzare la Germania dalla polvere morale e materiale dov’era piombata con il nazismo, reintegrandola nell’Occidente e costruendo un’integrazione europea che limitasse i danni del nazionalismo. L’Europa di oggi ha i suoi problemi, ma non è banale ricordare che la scommessa di garantire la pace e la prosperità è stata vinta: non era facile. E che questo è avvenuto grazie all’intesa tra le due “nemiche” dei due secoli precedenti, Francia e Germania. Quello che non piacerebbe ad Adenauer è la mancanza di coraggio di molti leader attuali: dirigenti politici che invece di guidare, fomentano l’irresponsabilità dell’opinione pubblica, puntando su vantaggi di breve periodo e senza avere una visione di ampio respiro dei problemi e del futuro.
A proposito: l’intesa tra Francia e Germania regge ancora su qualche equilibrio? Negli anni ’50 e ’60, quando fu costruita, Parigi era tra i giganti della politica internazionale, e la forza economica dei due paesi poteva essere paragonabile. Oggi è la Germania che soprattutto attraverso la politica commerciale guida le intese della UE con il resto del mondo.
Un problema tra Berlino e Parigi significa un problema per tutto il continente. Il passato ha dimostrato che gli statisti possono trovare compromessi anche in presenza di sistemi politici, interessi e anche caratteri personali che non convergono, come accadde appunto tra la visione europea e quella nazionale di Konrad Adenauer e Charles De Gaulle. Per la Germania è stato sempre importante non tralasciare le esigenze e gli interessi degli stati membri più piccoli per costruire un consenso ampio sulle decisioni, e l’ex Cancelliere Helmut Kohl è stato un esempio in questo.
Adenauer accettò che alcuni interessi francesi, come ad esempio la difesa dell’agricoltura, formassero parte della spina dorsale della Comunità Europea; in cambio una Francia riluttante a schierarsi nelle fila della NATO rinunciava a una visione egemonica delle istituzioni comunitarie e della loro politica estera, e a qualsiasi velleità di accordo con la Russia sovietica.
L’Europa di oggi è cambiata, e costruire patti tra così tanti membri non è semplice. L’allargamento a Est è avvenuto in maniera ordinata e – grazie ai compromessi istituzionali raggiunti appunto all’epoca – è stato frutto di accordi condivisi. Di fronte a una nuova Unione Europea, più plurale e allo stesso tempo bisognosa di riforme politiche, suona stonata la pretesa di Emmanuel Macron di voler costruire un super-stato dotato di una struttura di potere verticistica, che schiacci i livelli di potere intermedi necessari a un corretto equilibrio democratico e istituzionale. Il rifiuto di Angela Merkel e della donna che guida la CDU dopo di lei, Annegret Kramp-Karrenbauer, non sono una mossa meramente strategica, ma danno voce a preoccupazioni diffuse tra molti stati membri.
In queste divergenze pesano anche delle differenze storiche e istituzionali tra Francia e Germania. La Francia, proprio grazie a De Gaulle, è la porta-bandiera di uno stato poderoso, in un certo senso erede di una monarchia imperiale. La Germania del Dopoguerra, invece, poggia su una Costituzione che garantisce il maggior numero di contrappesi possibili al potere dell’esecutivo. L’Unione Europea e la sua filosofia di regole più che di politica non è estranea a questo secondo modello.
Il centralismo non può funzionare in un’Unione a 28 membri, o a 27. D’altronde – con tutte le peculiarità del caso britannico – questa è una delle lezioni della Brexit: il muro contro muro istituzionale non risolve i problemi.
La Francia si vede scossa dalle fondamenta per la fine dei suoi partiti, per le nuove domande sociali, per il cambiamento delle forme di rappresentanza. Come gli italiani sanno bene, sono tanti i Paesi in cui i sistemi politici continuano a contorcersi su se stessi senza trovare un equilibrio, in un processo dove è più facile che appaiano forze pericolose per le stesse istituzioni democratiche. Perché in Germania non succede?
La Germania ha goduto di un “bonus Merkel”. Da un lato la storia personale della Cancelliera è unica. Dall’altra, anche forse per la sua formazione fuori dall’Occidente, Angela Merkel ha capito che il mondo stava cambiando, che l’Europa uscita dalla caduta del Muro non sarebbe stata stabile come si credeva, che il rapporto tra individui, società e politica era in mutazione. La sua leadership è stata diversa da tanti altri dirigenti politici interessati ad apparire forti e decisionisti. Ma Merkel è anche stata capace di prendere decisioni che forse non sono piaciute allo stato maggiore del suo partito e ad una parte dei suoi elettori – come sull’abolizione del servizio militare, sulla chiusura del programma di energia nucleare, sui matrimoni omosessuali, sull’introduzione del salario minimo – ma che hanno fatto progredire la politica e il paese, con un effetto positivo sull’opinione pubblica.
Merkel nel suo discorso d’addio al Congresso del partito ad Amburgo (7 dicembre 2018), lo ha sottolineato: “Ho salvato la CDU, che poteva fare la fine della DC italiana”. E’ un’eredità difficile per la nuova leader Annegret Kramp-Karrenbauer.
La situazione dei “partiti popolari”, i grandi partiti di massa come i democristiani e i socialdemocratici che un tempo rappresentavano quasi tutto l’elettorato, in Germania è difficile. La CDU ha perso elettori verso AfD e anche verso i Verdi, due forze non tradizionali. Insieme alla debolezza di quei partiti, che c’è anche in altri paesi, avvengono cambiamenti sociali e politici profondi di cui dobbiamo cogliere i segnali d’allarme. Viste le circostanze, per Annegret Kramp-Karrenbauer la sfida è unire il partito e fare una proposta chiara all’elettorato. Detto questo, un aspetto positivo del sistema tedesco resta però comunque la sua struttura, in cui i rappresentanti politici sono legati alla loro constituency territoriale da un rapporto diretto di responsabilità: i cittadini hanno un punto di riferimento chiaro e stabile.
Lei guida la KAS da oltre quattro anni: come le sembra stia cambiando il nostro Paese?
Credo che alla base della frammentazione e dell’instabilità di oggi ci sia la necessità di ricostruire un rapporto funzionante e responsabile tra politica e cittadini. Non mi piace giudicare un Paese che non è il mio, ma qui al KAS vediamo la differenza: con l’ultimo governo, i politici e le istituzioni italiane hanno diminuito la collaborazione con gli istituti internazionali e i loro contatti con i rappresentanti politici di altre parti d’Europa, volgendosi invece solo attorno alle questioni nazionali e a interessi di brevissimo periodo. FC’è il rischio che l’Italia si stia isolando e questo, più che le decisioni di spesa, è il più grande danno che il paese nel medio periodo può soffrire dalla situazione attuale. Non solo perché si perde voce e influenza nelle istituzioni europee e nella costruzione della nuova UE, ad esempio. Ma anche perché in questo modo si blocca l’interesse di investitori internazionali o partner interessati a lavorare con l’Italia, che invece restano cauti, affacciati alla finestra, in attesa di capire cosa succeda a Roma.
L’intesa franco-tedesca è stato il traino per ancorare molti Paesi, tra cui l’Italia, al progetto europeo. Oggi i motori dell’Unione sono diversi, e sono cambiati anche i presupposti che erano alla base dell’integrazione: il senso di comunità e la volontà di ricostruzione del Dopoguerra, la paura per una Russia potentissima, l’esistenza di valori civili e religiosi condivisi tra i dirigenti politici. L’Europa ha futuro?
In Europa, sarebbe più utile lanciare una riflessione ampia e condivisa sulla direzione che tutti insieme vogliamo prendere, invece di affidarsi al decisionismo di pochi. Siamo molto bravi a concentrarci sui nostri problemi, ma dovremmo essere in grado di guardare a che cosa succede fuori dal nostro continente. Da una parte gli europei dovrebbero sforzarsi di riscoprire e valorizzare i momenti luminosi della loro storia, che hanno prodotto un’identità secolare: l’umanismo, la costruzione della democrazia, il riconoscimento dei diritti umani, le radici cristiane. Dall’altro, esistono anche delle ragioni pratiche per l’utilità di un’unione europea: in un mondo in cui emergono dei grandi attori regionali e uno scontro tra sfere di influenza, un grande soggetto politico ed economico è la dimensione giusta per prendere decisioni che non siano miopi, chiuse, particolari e mal pianificate. Oggi c’è la democrazia, ma non diamola per scontata: trenta, sessanta, o novanta anni fa non c’era nella maggior parte del continente. Come diceva Konrad Adenauer, bisogna approfondire le questioni, perché diventino semplici.