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Le sanzioni e la crisi economica iraniana: come il gioco è cambiato

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Il nuovo round di sanzioni imposte all’Iran dagli Stati Uniti e dall’Europa poco prima dell’estate ha inequivocabilmente generato problemi al sistema economico e finanziario iraniano. Il nuovo pacchetto delle sanzioni ha colpito in modo diretto il sistema della commercializzazione del petrolio iraniano e il sistema bancario e finanziario – quest’ultimo è per la prima volta completamente isolato dal resto del mondo.

Gli effetti delle sanzioni si sono presentati in modi e tempi diversi, generando tuttavia in un breve lasso di tempo una crisi economica senza precedenti.

Il mercato petrolifero, per sua natura flessibile e globalizzato, ha consentito all’Iran di continuare ad operare sfruttando le ampie maglie nell’adesione all’embargo di alcuni dei principali paesi consumatori, tra cui la Cina. Altri paesi, come ad esempio il Giappone, sono stati di fatto autorizzati esplicitamente dagli Stati Uniti a continuare nella propria politica di acquisto del greggio iraniano, per non creare pericolose distorsioni nel sistema degli approvvigionamenti, e stante il poco praticabile ricorso ad alternative regionali. Altri paesi europei hanno ottenuto di poter acquisire quote prestabilite di greggio, limitando quindi la dipendenza dalle forniture di Teheran senza creare interruzioni drastiche.

Questo sistema di equilibrio ha retto, a favore dell’Iran e dei suoi clienti, per alcuni mesi. Ma è oggi minacciato dagli effetti generati sull’altro fronte delle sanzioni: quello bancario e finanziario. L’isolamento del sistema creditizio e finanziario dell’Iran, con l’inclusione della stessa Banca Centrale nei soggetti specificamente individuati dalle sanzioni, ha determinato grandi difficoltà per i tradizionali partner economici del paese nel mantenere l’interscambio: molti si vedono costretti a cancellare volumi crescenti dei loro affari, data l’impossibilità di gestire con Teheran i flussi dei pagamenti.

La commercializzazione del greggio ha subito così un decremento stimato tra il 40 e il 50% dei flussi ordinari, attestandosi a poco più di un milione di barili al giorno e provocando perdite finanziare per circa 50 miliardi di dollari USA. Le attività di esportazione petrolifera costituiscono l’80% circa del commercio estero iraniano, e il 50% dei proventi destinati alla pubblica amministrazione.

Anche la Cina, tradizionale sostenitore di Teheran in seno al dibattito sulle sanzioni alle Nazioni Unite, ha progressivamente ridotto l’interscambio commerciale con l’Iran.

Dal canto loro, le autorità iraniane smentiscono invece quotidianamente la dimensione traumatica dell’effetto delle sanzioni, dando ampio spazio ad ogni nuovo – e spesso marginale – accordo stipulato dall’Iran per la vendita del proprio greggio. Proprio in tal senso sono stati ampiamente commentati i nuovi accordi stipulati con l’India, la Corea del Sud e l’Indonesia, sebbene la dimensione complessiva degli stessi non rappresenti una credibile alternativa ai flussi venuti meno nel corso degli ultimi tre mesi.

Il quadro complessivo è poi ulteriormente aggravato dagli effetti delle sanzioni sul piano interno. La valuta locale, il rial, ha subito una considerevole svalutazione nel corso degli ultimi mesi, innescando un pericoloso effetto a catena sulla struttura dei prezzi al consumo – soprattutto per i generi di prima necessità.

Se a giugno un dollaro veniva scambiato per circa 12.000 rial, alla metà di ottobre non erano sufficienti 35.000 rial per lo stesso dollaro, con prospettive di ulteriore peggioramento. E questo ha generato un’impennata nei prezzi della gran parte dei generi di consumo, provocando un malcontento generale che le autorità intendono fronteggiare nell’immediato attraverso una politica di sussidio e calmieramento. Una soluzione di breve respiro, chiaramente, ma al momento una delle poche utili a fronteggiare l’evoluzione della crisi.

Altro elemento di preoccupazione per le autorità di Teheran è la crescente animosità in seno al bazaar, che è già sceso in piazza più di una volta per protestare contro la politica economica del governo, e che potrebbe catalizzare il malcontento di una vasta fascia cittadina di lavoratori e piccoli imprenditori: a sua volta, ciò potrebbe dar vita ad un movimento di opposizione in un momento appunto delicatissimo sul piano economico e a pochi mesi dalle elezioni presidenziali fissate per il prossimo 14 giugno.

Un vecchio detto, in Iran, sostiene che le rivoluzioni partono sempre dal bazaar. C’è un concreto fondo di verità dietro questo detto, visto che il cuore economico dell’Iran (oltre naturalmente al sistema della produzione petrolifera) è costituito dall’attività dei commercianti e dei piccoli imprenditori, che rappresentano la tradizionale anima del bazaar.

Questo è cresciuto e si è evoluto nel corso degli anni, modificando anche in parte la propria fisionomia tradizionale. Il bazaar che concorse attivamente a provocare il collasso del sistema imperiale, aprendo le porte alla Repubblica Islamica, era ancora composto da piccoli commercianti e prestatori di denaro. Molto forte economicamente, ma con una rilevanza quasi esclusivamente locale.

La nuova generazione del commercio, i cosiddetti “figli dei bazaari”, è invece molto cresciuta per dimensioni nel corso dei trent’anni della Repubblica Islamica: l’imprenditoria iraniana di nuova generazione è oggi composta da immobiliaristi, imprenditori industriali e commercianti di profilo internazionale, che hanno dato vita ad una nuova alta borghesia urbana estremamente ricca e pragmatica. Hanno finora sostenuto la Repubblica Islamica per interesse, e nell’ambito di un sistema chiuso, isolato e corrotto hanno potuto generare e gestire le loro fortune; ma è poco probabile che siano disposti a sacrificare anche un solo dollaro per salvare la Repubblica Islamica o la teocrazia. Lo dimostra l’ingente fuga di capitali che da qualche mese ha provocato il crollo delle riserve di valuta straniera nelle banche dell’Iran.

Disilluso politicamente, e scontento della politica economica ed estera del paese, il sistema industriale e imprenditoriale iraniano sembra essere pragmaticamente interessato a salvare se stesso, senza grande interesse a sostenere l’attuale linea politica del regime, qualora questo intenda sostenere la linea del muro contro muro con l’Occidente.

Per la prima volta da oltre dieci anni, quindi, le sanzioni hanno effettivamente colpito il cuore del sistema economico iraniano. Provocando effetti considerati destabilizzanti dalle autorità politiche e imponendo la necessità di valutare e adottare in tempi brevi soluzioni urgenti e pragmatiche.

Tutto questo nel momento in cui si tengono le elezioni presidenziali americane e soprattutto a pochi mesi da quelle politiche in Israele, che rischiano di confermare e legittimare le posizioni di Benjamin Netanyahu sull’Iran. In vista delle elezioni presidenziali iraniane, la Guida suprema Ali Khamanei spera di poter riportare ordine e stabilità nel consesso dei conservatori e concentrarsi poi sul negoziato nucleare, dove la sua posizione è sempre stata di aperto sostegno alla linea del dialogo e dell’apertura.  Con il rischio, però, di non avere sufficiente tempo a disposizione.