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Il voto in Ohio, specchio dell’America

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As Ohio goes, so goes the nation. È un detto che, ogni quattro anni, si sente ripetere in maniera ossessiva nelle settimane che precedono il voto per la Casa Bianca. Più i sondaggi indicano una vicinanza tra i candidati, più è probabile che questo Stato del Midwest diventi la chiave di volta del risultato elettorale. L’altra formula che si sente ripetere è: nessun Repubblicano ha mai conquistato la Casa Bianca perdendo l’Ohio. Il Buckeye State è importante per una serie infinita di ragioni. La più prosaica è che, assieme alla Florida (29), è lo swing state con il numero più alto di voti elettorali (18). Per costruire la maggioranza di almeno 270 voti elettorali in un’elezione dal risultato incerto come quella del 2012, quindi, l’Ohio è cruciale. Specie per Mitt Romney, che ha bisogno di riconquistare alcuni territori strappati da Obama ai Repubblicani nel 2008 e guadagnare altrove. Per Obama, invece, l’Ohio è l’assicurazione finale: tenendo quello e non perdendo nel resto della regione dei grandi laghi, la sua rielezione è quasi assicurata. Per questo i due candidati e i loro vice (più l’ex presidente Bill Clinton, come anche il cantante Bruce Springsteen, entrambi grandi sostenitori di Obama) hanno visitato l’Ohio almeno trenta volte nel corso di due mesi di campagna.

La seconda ragione per cui gli occhi di tutti sono puntati sull’Ohio è la sua somiglianza in termini socio-economici con il resto del paese. Qui convivono infatti aree urbane relativamente grandi (Cleveland e Cincinnati), company towns in decadenza (Youngstown) o ancora tali (Toledo), aree a vocazione agricola e nuovi hub di servizi come la capitale Columbus, i cui abitanti sono aumentati in maniera costante nell’ultimo decennio. L’Ohio è anche uno Stato profondamente religioso e con accenti più conservatori nel sud est. Si dice che proprio la religione costò al Democratico Kerry la vittoria nel 2004. Sulla scheda elettorale infatti, il giorno delle presidenziali, si trovava anche un quesito sull’aborto che rese particolarmente alta l’affluenza alle urne di quegli evangelici di solito non impegnati in politica. “Nello Stato l’affluenza aumentò e in molti ci dicemmo, se più gente va a votare è più probabile che vinciamo”, racconta Robert Shrum, all’epoca capo della campagna di John Kerry, durante un incontro al Foreign Press Center di New York, “Sbagliavamo, il Get Out the Vote lo avevano fatto meglio i Repubblicani con quel referendum”.

Quest’anno Obama spera che l’intervento di salvataggio dell’industria dell’automobile abbia lo stesso effetto. L’Ohio è vittima di un declino industriale e demografico ormai da diversi decenni. Le piccole città con la main street deserta non sono rare. L’intervento voluto dal presidente a favore di GM e Chrysler ha determinato la salvezza di diversi stabilimenti industriali. Non solo: l’amministrazione ha anche lanciato una battaglia sugli pneumatici – contro la Cina in seno al WTO. Meno posti salvati in questo caso, e anche un relativo aumento dei prezzi degli pneumatici per i consumatori, ma un effetto certo sull’orgoglio delle fabbriche locali che ancora ne producono. Per queste due ragioni – e anche per la presenza di un senatore, Sherrod Brown, molto legato ai temi del lavoro – la classe operaia bianca locale è meno ostile nei confronti di Obama di quella nazionale.

“Non bisogna esagerare l’idea di una ostilità dei blue collars verso i Democratici: nel 2008 il 50% del voto espresso in Ohio proveniva da operai, che hanno votato Obama al 44%”, spiega John Russo, professore alla Youngstown University. In effetti, a giudicare dal genere di persone presenti nei comizi Democratici nello Stato, molti operai sentono che senza l’intervento federale oggi la fabbrica dove lavorano sarebbe chiusa. Invece, grazie anche al boom dell’estrazione del gas a est dello Stato, l’Ohio ha beneficiato di tassi di disoccupazione più bassi della media nazionale. Cosa che non accadeva da molti anni.

Obama vinse bene nel 2008, ma senza i distacchi netti visti in  altri Stati. E qui, come altrove, i Democratici persero il governatore nelle elezioni di mezzo termine del 2010. Ma quello di quest’anno sarà senz’altro un voto diverso rispetto a due anni fa, sia per ragioni di partecipazione – nelle presidenziali gli elettori saltuari, in maggioranza Democratici, votano di più – sia per capacità della macchina organizzativa di Obama for America.

Le contee dove si giocano davvero le elezioni sono tre e comprendono le città importanti: Cleveland, Cincinnati e Columbus. Obama è favorito nella prima e nella terza (a Cleveland i Democratici vinsero anche nel 2010), ma gli serve un margine alto per compensare la sconfitta certa che subirà al Sud e nelle aree rurali. Viceversa per Romney.

Molto si deciderà nella zona di Columbus. Qui la popolazione è aumentata – altrove è diminuita – ed è in teoria un cambiamento demografico che favorisce Obama. In città vivono molti giovani studenti e alcuni settori dei servizi sono particolarmente dinamici. Ma in che percentuale andranno davvero a votare i giovani? E come vivono la propria condizione quelle migliaia di persone che si auto-definiscono small business – una categoria a cui spesso fa riferimento Romney? Non si tratta solo di commercianti o altri piccoli imprenditori in senso tradizionale; come spiega ancora John Russo della Youngstown University. “Molti giovani precari definiscono se stessi in questo modo. Sono consulenti, gente che fa più di un lavoro e cerca di mettere assieme una vita, per scelta o perché un posto fisso non lo trova. In ogni caso non hanno vissuto anni facili. Romney spiega loro che sono imprenditori vessati da tasse e regole e propone un’idea di economia senza Stato né burocrazia. Costoro, però, sono molto più liberal di Romney se si parla di temi etici come aborto o matrimonio tra persone dello stesso sesso”.

Come del resto molti operai bianchi sono relativamente contenti dell’economia, e quindi in teoria aperti all’idea di votare per Obama, ma totalmente contrari al matrimonio gay e alle politiche sociali e religiose dei Democratici.

Insomma, nel voto degli elettori dell’Ohio potrà essere decisiva una scelta relativa a identità e valori

Un ultimo punto interrogativo riguarda il voto degli afroamericani: i Repubblicani hanno ingaggiato – anche a livello nazionale –una battaglia non del tutto corretta per eliminare le frodi elettorali (che per altro si calcola siano rarissime se non addirittura inesistenti). Le polemiche sui regolamenti elettorali e alcuni nuovi limiti imposti sul sistema e gli orari di voto (poi in parte dichiarati incostituzionali dai tribunali dello stato), potrebbero finire per abbassare il tasso di partecipazione delle minoranze etniche e dei più poveri, ovvero di coloro che sono meno a proprio agio nei rapporti con la burocrazia e più facilmente scoraggiabili, tra cui dunque anche i neri.

Questi temi definiranno da che parte voterà l’Ohio, lo specchio finora fedele degli Stati Uniti.