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Le elezioni inesistenti: il Venezuela ancora sotto il chavismo

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Dubbi ce n’erano pochi, ma sono stati dissipati lunedì 7 dicembre. Il chavismo ha recuperato il controllo dell’Assemblea nazionale del Venezuela, in elezioni segnate dal boicottaggio da parte dei principali partiti e leader dell’opposizione e da una massiccia astensione.

Con una partecipazione del 31%, inferiore di oltre 40 punti percentuali alle elezioni parlamentari del 2015 vinte dall’opposizione, la coalizione di governo ha ottenuto oltre 3,5 milioni dei 5,2 milioni di voti espressi, cioè il 67,6 %, secondo i dati del Consiglio elettorale nazionale del paese sudamericano.

Dal 2015 l’Assemblea era l’unico organo dello Stato controllato dall’opposizione. Gli antagonisti del Presidente Nicolàs Maduro stavolta hanno deciso di non partecipare, così come fecero alle elezioni presidenziali del 2018, perché ritenevano che non ci fossero eque condizioni per la competizione elettorale. Eppure sono stati oltre 14.000 i candidati ai 277 posti dell’Assemblea, a dimostrazione del fatto che fare politica resta un buon affare ai quattro angoli del globo.

Il leader dell’opposizione Juan Guaidó il 5 gennaio cesserà dunque di essere il presidente del Parlamento, cosa che gli ha permesso di sfidare Maduro nel 2019. Guaidó, commentando le elezioni, ha parlato di “frode” e ha assicurato che l’astensione è stata addirittura superiore a quella annunciata dal CNE, oltre l’80%.

Nicolás Maduro

 

“Chi non vota non mangia”

La frase “el que no vota, no come” era stata pronunciata nei giorni passati da Diosdado Cabello, potentissimo vicepresidente del PSUV (Partito Socialista Unito del Venezuela). E pochi giorni fa, l’Osservatorio antifrode dell’Assemblea nazionale aveva indicato che i candidati parlamentari chavisti avrebbero utilizzato le cosiddette “buste Clap” per fare campagna e ottenere voti nel 55,60% dei comuni del paese. Si tratta di sacchetti contenenti farina, uova, un po’ di carne e altri generi di prima necessità che dovrebbero sostenere una famiglia per un mese intero.

Per farne richiesta è necessario avere una tessera statale utilizzata anche per votare. Si chiama “carnet de la patria”. È una tessera plastificata che include un codice QR personalizzato e, in teoria, univoco. È stata creata con l’obiettivo di conoscere lo stato socioeconomico della popolazione e razionalizzare il sistema delle missioni bolivariane e quello dei comitati locali di approvvigionamento e produzione. In pratica è nata per controllare soprattutto gli aiuti alimentari alla gente, ma poi è stata anche usata per controllare chi si recava a votare e calcolare, sulla base dei flussi, la percentuale dei voti a favore del chavismo in un dato quartiere.

Poco usata stavolta invece, la tattica detta del “topo impazzito”, quella cioè di spostare all’ultimo momento le urne degli elettori dei quartieri più centrali, in genere più affini all’opposizione, negli slum periferici. Pericolosi e in genere controllati dai chavisti. 

Il partito vincitore, come accade ormai dal 2015 in Venezuela (ultimo anno in cui l’opposizione ha vinto le politiche prendendo così il controllo del parlamento e mettendo in minoranza i chavisti), è stato quello degli astensionisti. L’opposizione ha affermato che la popolazione ha risposto agli inviti a non partecipare alla “farsa elettorale”. In realtà le cose non stanno proprio così. Quello che ha tenuto lontane le persone dalle urne è stata la paura del contagio, ma anche la disillusione. La gente passa già la vita a fare fila, se proprio deve, davanti ai supermercati e ai negozi. L’economia è completamente dollarizzata. In un paese dove il salario medio ufficiale è di circa 3 (tre) dollari. In queste condizioni nessuno ha voglia di rischiare di ammalarsi per un voto che non cambierà nulla nel quotidiano delle persone. 

L’iperinflazione ha portato alla dollarizzazione dell’economia venezuelana

 

La consulta popular

Juan Guaidó e i suoi accoliti hanno lanciato invece una “consultazione popolare”, come alternativa alle elezioni parlamentari. Nella speranza di ottenere una partecipazione più alta da poter successivamente sbattere in faccia al regime, dal 7 al 12 dicembre è stata indetta una votazione di protesta. Tre i quesiti, al limite della presa in giro secondo l’analista internazionale Mariano de Alba: “Gli estensori del documento hanno chiesto agli elettori se volessero mandar via Maduro chiedendo invece elezioni presidenziali e legislative libere; se riconoscessero o meno le elezioni del 6 dicembre e se la popolazione dovesse pretendere una transizione democratica del Venezuela. Secondo uno dei quesiti formulati dalla consultazione, detta transizione dovrebbe essere gestita dalla comunità internazionale. Si tratta di domande che chiunque potrebbe porre, ma che non smuoveranno certo un regime che non ha nessuna intenzione di passare la mano”. 

Ancora una volta Maduro e i suoi hanno inoltre mostrato grande tempismo, organizzando le elezioni nel momento in cui gli Stati Uniti erano troppo preso dalle proprie beghe interne e dalla lotta a colpi di carte bollate fra Donald Trump e Joe Biden per immischiarsi. Il voto elettronico è stato gestito dalla Ex-Clé, una società nata in Argentina, ma che lavora quasi esclusivamente per il chavismo. Anche gli osservatori internazionali hanno vidimato la regolarità delle consultazioni. Va detto però  che erano tutti provenienti da paesi amici di Caracas. Fra gli osservatori più noti, l’ex presidente dell’Ecuador, Rafael Correa.

In effetti, stavolta non c’era nemmeno bisogno di commettere brogli, visto che l’opposizione non ha partecipato. E’ vero che ben 108 fra partiti e movimenti hanno preso parte al processo, ma si trattava perlopiù di liste-civetta e di finti oppositori. Il voto è stato comunque un successo organizzativo del chavismo, che ha dimostrato di non avere nulla da imparare quando si tratta di propaganda, riducendo le iniziative all’estero dell’opposizione a un fatto quasi folkloristico.

Tramonto a Caracas

 

L’opposizione possibile

Probabilmente le vere armi per indebolire Maduro restano quelle del congelamento dei beni all’estero degli alti papaveri venezuelani. L’unica cosa che il regime teme davvero. Un brutto segnale è arrivato però dall’Africa e in particolare da Capo Verde, l’arcipelago di isole al largo del Senegal dove è bloccato da settimane Alex Saab, il prestanome più importante del chavismo, su cui pende una richiesta di estradizione degli Stati Uniti. Si tratta di un avvocato colombiano nazionalizzato venezuelano e menzionato perfino nello scandalo dei panama papers.

L’uomo, negli anni, è riuscito a ingraziarsi il regime di Caracas ed ha effettuato diverse operazioni di importazione in Venezuela, come la fornitura di case prefabbricate della Housing Mission per un importo di 685 milioni di dollari (2011), altre fatture per 340 milioni di dollari sono state emesse per  la vendita di forniture alimentari al governo di Táchira (2016) e altri 425 milioni di dollari di vendite al sistema CLAP (2017) con la sua società Group Grand Limited di Hong Kong, altri 11 milioni li ha fatturati la società Asasi Food FZC registrata negli Emirati Arabi Uniti. E sono solo le operazioni più note e clamorose. Il sospetto è che Saab abbia preso tangenti clamorose gestendo questi ricchissimi contratti in nome e per conto degli alti papaveri del regime.

Dall’ottobre 2018 è indagato per presunto riciclaggio di denaro, che avrebbe ottenuto negoziando con il governo venezuelano tra il 2004 e il 2011. In Italia è noto perché era riuscito a impalmare una giovane modella: Camilla Fabri. Lei faceva la commessa con uno stipendio da meno di 2000 euro al mese, ma a causa delle indagini della guardia di finanza italiana sul compagno/marito, iniziate nel 2018, è finita a sua volta nel mirino del fisco dopo aver acquisito un appartamento del valore di quasi 5 milioni di euro in via dei Condotti a Roma. I magistrati italiani pensano che la giovane, poi scomparsa, sia servita da prestanome dello stesso Saab.

Dopo che per settimane era sembrato davvero che l’uomo d’affari avrebbe potuto finire a Washington per svelare trame e segreti economici dei chavisti nel mondo, improvvisamente egli si è visto concedere gli arresti domiciliari, un bruttissimo segnale per l’opposizione venezuelana. Se Saab venisse liberato o le autorità capoverdiane inavvertitamente lasciassero decollare questo personaggio, magari da un aeroporto periferico del paese, il segnale sarebbe drammatico.

Il risultato delle elezioni legislative, i fin qui velleitari tentativi dell’opposizione e l’ignavia della comunità internazionale, Unione Europea su tutti, fanno temere però che Maduro e il chavismo resteranno al potere in Venezuela ancora per lunghi anni.