international analysis and commentary

Le cause della crisi in Niger, tra fragilità strutturali e instabilità regionale

1,718

La giunta militare che ha preso il potere in Niger con un colpo di stato lo scorso 26 luglio continua a inviare segnali contrastanti ai suoi interlocutori esteri. Il 13 agosto il generale Abdourahmane Tchiani, a capo dell’autonominato “Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria” che oggi governa il paese, ha riferito di essere disponibile a risolvere la crisi attraverso i canali diplomatici. Appena un giorno dopo, i golpisti hanno annunciato che avrebbero processato il deposto presidente Mohamed Bazoum, recluso agli arresti domiciliari in condizioni sempre più punitive, per alto tradimento. A dispetto delle ombre che ancora aleggiano sulla vicenda è tuttavia possibile comprendere le cause della crisi nigerina e formulare ragionevoli ipotesi sugli elementi ancora non chiari, a partire dalla misura del coinvolgimento sia del governo russo sia del Gruppo Wagner.

 

Fragilità e risorse

Il Niger è innanzitutto un paese estremamente fragile sotto il profilo ambientale. Solo il 14% del suo territorio è arabile, nella regione meridionale del paese dove si concentra la presenza umana, ma è colpito da sempre più frequenti siccità, alternate ad alluvioni che erodono il suolo. Le temperature medie, che già lo rendono uno dei paesi più caldi del mondo, stanno aumentano più velocemente che nel resto del globo, aggravando i problemi dei coltivatori e degli allevatori. Le conseguenze si riflettono sul piano sociale: 4,4 milioni di nigerini soffrono di insicurezza alimentare grave, circa un quinto dell’intera popolazione, secondo gli ultimi dati del World Food Program.

Un problema reso ancora più insidioso dal fatto che il Niger è il primo paese al mondo sia per tasso di crescita della popolazione, oltre il 3% annuo, sia per alto tasso di fecondità, con una media di sette figli per donna, e quasi il 60% della popolazione ha meno di diciotto anni. Non è però l’unica sfida socioeconomica: otto nigerini su dieci vivono fuori dai centri urbani, quattro su dieci si trovano in condizioni di povertà estrema e meno di un terzo della popolazione è alfabetizzata.

La Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS). Mali, Burkina Faso e Guinea sono stati sospesi in seguito ai colpi di stato militari avvenuti tra il 2021 e il 2022, e i primi due interverrebbero militarmente a favore della giunta nigerina se gli altri stati membri, guidati dalla Nigeria, dovessero attaccarla. (©The Economist).

 

Il Niger è anche uno dei paesi più poveri e più indebitati del mondo. L’economia del Niger, di cui un terzo si svolge a livello informale, è polarizzata tra le esportazioni di prodotti agricoli e di bestiame da un lato e quelle di uranio, di cui il paese è storico produttore, e di oro dall’altra. Il minerale radioattivo, il più puro di tutta l’Africa, si estrae fin dal 1971 e le esportazioni nigerine ammontano al 5% del fabbisogno mondiale. C’è un’unica miniera ancora operante, si trova a Somair ed è operata da ORANO, partecipata statale francese, la cui concessione da parte dello stato nigerino è stata rinnovata fino al 2040 proprio dal governo del deposto presidente Bazoum, lo scorso maggio.

I prezzi dell’uranio si sono tuttavia mantenuti stabilmente bassi nell’ultimo decennio e oggi è l’oro la prima esportazione nigerina per valore, pari a 2,7 miliardi di dollari nel 2022, il 53% del totale. Anche in questo caso esiste solo una miniera su scala industriale, quella di Samira Hill, ma, a differenza del combustibile nucleare, il biondo metallo viene anche diffusamente estratto artigianalmente su piccola scala. Nel 2022 ne sono state estratte 34,5 tonnellate, secondo il World Gold Council, facendo del paese il ventisettesimo esportatore mondiale. È significativo notare come il 99% dell’oro nigerino, secondo l’OEC, sia stato destinato a Dubai: la metropoli emiratina è il principale hub per le esportazioni auree africane, di cui una rilevante parte è però trafficata illegalmente, come documentato ad esempio da The Sentry nel 2021. Infine, gli aiuti esteri costituiscono circa il 45% del budget annuale del governo nigerino.

 

Leggi anche: The massive demographic challenges in Sub-Saharan Africa

 

Sul futuro dell’economia locale gravano però le incognite delle conseguenze del colpo di stato: l’ECOWAS, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, ha imposto severe sanzioni economiche al Niger, incluso il taglio della fornitura di elettricità dalla Nigeria, che soddisfaceva il 70% del fabbisogno interno. L’Unione Europa e alcuni suoi membri, tra cui Francia e Germania, così come Stati Uniti e Canada hanno invece sospeso, integralmente o parzialmente, ogni forma di aiuto economico. La giunta golpista rischia oggi così di invertire i progressi che si erano registrati in ambito economico sotto la presidenza Bazoum: a inizio 2023 le previsioni erano di un tasso di crescita dell’economia del 7% e di un tasso d’inflazione del 4%, tra i più bassi della regione; è rilevante notare che il nuovo primo ministro scelto dai militari, Ali Mahaman Lamine Zeine, sia un economista.

Soldati delle Forze armate nigerine (FAN). L’esercito ha appoggiato il colpo di stato messo in atto dalla Guardia Presidenziale, nonostante abbia ricevuto negli anni passati sia addestramento sia equipaggiamento dai partner occidentali, inclusi Stati Uniti, Francia e Germania. (©US Army/Spc. Zayid Ballesteros)

 

Instabilità endemica

Anche il sistema politico nigerino ha una lunga storia di instabilità alle spalle. Dalla sua indipendenza dalla Francia nel 1960, si sono verificati cinque colpi di stato riusciti, incluso l’ultimo, più diversi tentativi non andati a frutto, l’ultimo dei quali sempre ai danni di Bazoum appena insediato, nel 2021, e sventato per ironia della sorte proprio dalla Guardia Presidenziale guidata dal generale Tchiani. Il paese ha dovuto inoltre affrontare due ribellioni dei tuareg, minoranza etnica nel paese, concluse con accordi pace nel 1995 e nel 2009. Tuttavia, oggi la principale minaccia di sicurezza è rappresentata dall’insurrezione jihadista che, a partire dal 2015, è trasbordata dai confini meridionali sia con la Nigeria sia col Mali e il Burkina Faso.

Il fenomeno si è intensificato nel 2021, in coincidenza con l’inizio del mandato di Bazoum, causando un’impennata del numero di vittime e inducendo l’anno seguente il governo nigerino a sondare la possibilità di intavolare dei colloqui di pace con i jihadisti. Tra il 2022 e il 2023 questa strategia, che pescava proprio dall’esperienza accumulata nel porre fine alle ribellioni tuareg, unita a una maggiore efficacia delle operazioni delle forze armate nigerine supportate dai francesi, sembrava aver dato i suoi frutti, come ha evidenziato l’ACLED, portando a una riduzione delle violenze, sebbene permanessero questioni irrisolte quali la reintegrazione dei ribelli nella società. Uno sviluppo in controtendenza rispetto ai vicini, con Mali e Burkina Faso che hanno visto grossomodo raddoppiare i morti causati dai conflitti con le formazioni armate islamiste.

Tuttavia, in Niger si è invece verificato un aumento del banditismo: sia al confine meridionale con la Nigeria, dove le gang sono composte prevalentemente da criminali locali che colpiscono da una sponda all’altra del confine, sia nelle regioni settentrionali, dove invece la minaccia è costituita soprattutto da miliziani ciadiani, ben armati ed equipaggiati, reduci dal servizio in Libia come mercenari e diventati disoccupati dopo gli accordi tra Tripoli e Tobruk nel 2020. I banditi ciadiani colpiscono le miniere d’oro, le carovane di mercanti e i convogli di migranti che attraversano il deserto, e trafficano le abbondanti armi libiche verso i paesi dell’Africa occidentale.

Anche in Niger come negli altri stati saheliani si verificano conflitti tra allevatori e agricoltori, di etnie diverse, per il controllo delle fonti d’acqua e dei terreni fertili. I jihadisti sfruttano queste inimicizie per reclutare nuove leve, offrendo loro la possibilità di colpire i propri nemici. (© Croce Rossa Internazionale)

 

Le cause del golpe

I problemi del paese sono quindi reali, anche sotto il profilo militare, come dimostra la morte di ben diciassette soldati nigerini avvenuta in un’imboscata jihadista il 16 agosto, tuttavia alla luce dei risultati, pur parziali, ottenuti dal governo Bazoum appaiono pretestuose le motivazioni con cui Tchani ha giustificato il suo colpo di stato, imputando al presidente un “continuo deterioramento della situazione della sicurezza” e un “cattivo governo economico e sociale”.

Per spiegare le cause del golpe bisogna quindi tenere in considerazione ulteriori fattori: Bazoum appartiene alla minoranza araba del paese, mentre Tchani è invece di etnia hausa, a cui appartiene oltre metà della popolazione nigerina. Altri osservatori hanno invece ricondotto la crisi a motivazioni personali: Bazoum ha rimosso diversi vertici civili e militari dalla sua ascesa al potere e Tchani avrebbe quindi messo in atto il suo colpo di mano come azione preventiva a un suo possibile licenziamento. Infine, è sicuramente rilevante che anche in Niger siano state condotte campagne di disinformazione sul web e sui social media a opera di società riconducibili al Gruppo Wagner, come ha rilevato l’African Center for Strategic Studies, che hanno infiammato i sentimenti filorussi e antifrancesi ben visibili nelle manifestazione filo-golpiste che hanno avuto luogo nel paese: il presidente Bazoum era infatti un amico di Parigi.

 

Leggi anche: Come la Russia continua ad avanzare nel Sahel, da Est a Ovest

 

Per l’Occidente, allarmato dalla prospettiva di perdere l’appoggio dell’ennesimo stato saheliano a favore di Mosca, si pone ora il problema di come contenere il danno. La Francia, a cui la giunta ha intimato di ritirare i 1.500 soldati presenti in funzione antijihadista, appare più determinata a sostenere l’eventuale azione militare minacciata dagli stati oggi aderenti all’ECOWAS per porre fine al golpe. Stati Uniti e altri stati europei, tra cui l’Italia, escludono invece di volersi impegnare in un conflitto armato e potrebbero quindi venire eventualmente a patti col nuovo regime di Niamey.

Aleggia ora sulla vicenda anche l’incognita di come evolverà l’influenza russa in Africa dopo la morte del fondatore del Gruppo Wagner, Evgenij Prigožin, nell’incidente aereo del 23 agosto scorso, attribuito a un attentato voluto da Putin come ritorsione per l’abbozzata ribellione di due mesi prima. Continuerà a esserci domanda di truppe straniere da parte dei regimi militari africani, ma soddisfarla sarà più complessa per i russi: se, da un lato, dovesse persistere la presenza dei mercenari del Wagner, potrebbe verificarsi probabilmente una frammentazione tra i diversi luogotenenti che li renderebbe meno efficaci. Se, dall’altro, fosse Mosca a prendere direttamente in mano le operazioni africane, pur utilizzando eventualmente qualche altra compagnia militare di facciata, per le giunte locali vorrebbe dire schierarsi ancora più esplicitamente col Cremlino, mossa che non tutti i generalissimi potrebbero voler compiere volentieri.

Oltre a dover affrontare i pericoli lungo il tragitto, i migranti che attraversano il Niger sono respinti a migliaia alle frontiere con Algeria e Libia e rischiano di morire di fame e di sete nel deserto. A ottobre 2022 nel paese erano presenti quasi 280.000 rifugiati e richiedenti asilo. (©UNICEF)

 

La questione dei flussi di migranti

C’è però un’utile lezione che l’Occidente può trarre dalla crisi nigerina e riguarda il traffico di migranti, di cui il paese africano rappresenta uno dei principali snodi verso l’Europa. Nel 2015 l’Unione Europea, alle prese con l’arrivo di oltre un milione di migranti, istituì il Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa per finanziare iniziative volte a contrastare il fenomeno. Il Niger, dietro promessa di poter usufruire di parte di quei fondi, varò la legge 2015-36, che metteva di fatto fuori legge il trasporto clandestino di migranti attraverso il suo territorio.

Dopo il picco del 2016, quando 330.000 migranti attraversarono il territorio nigerino, si verificò un effettivo calo drastico dei flussi, con numerosi arresti e confische di mezzi. Tuttavia, i fondi che avrebbero dovuto permettere agli ex trafficanti di avviare attività economiche legali per mantenersi si sono rivelati insufficienti o mal gestiti e il traffico di migranti è tornato lo scorso anno, come certificano dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ai livelli del 2022. La situazione attuale è anzi ulteriormente peggiorata in quanto oggi i trafficanti, per evirare gli arresti, battono piste secondarie più pericolose.

Un fallimento che all’Unione Europea è costato caro: tra il 2015 e il 2022, ha infatti finanziato diciannove progetti in Niger per un totale di 687 milioni di euro, di cui la parte più significativa è stata spesa per politiche incentrate quasi esclusivamente sul controllo delle frontiere e sull’applicazione della legge. Nel mentre, lo scorso luglio il Programma alimentare mondiale ha denunciato che a causa della mancanza di fondi avrebbe potuto assistere solo 6,2 milioni di persone in Africa Occidentale, invece che le 11,6 milioni che ne avrebbero bisogno.