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La vicenda di Sputnik V, vaccino da esportazione

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Sette mesi. Tanto è passato dall’annuncio a sorpresa di Vladimir Putin, l’11 agosto, di aver registrato il primo vaccino anti-Covid al mondo a sperimentazione ancora in corso. Fu allora accolto dallo scetticismo globale, all’avvio della rolling review dell’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), in marzo, per Sputnik V. Un vaccino di Stato, che oggi invece potrebbe diventare il primo vaccino non “occidentale” approvato nell’Unione, mentre però Mosca è ancora sotto sanzioni europee e statunitensi per l’annessione della Crimea nel 2014, il conflitto in Est Ucraina e ora anche il caso Navalny.

Ma quello che molti definiscono un successo geopolitico del Cremlino è piuttosto una complicata partita a scacchi dagli esiti ancora incerti.

In mezzo, alcuni eventi che hanno aperto una finestra di opportunità per Mosca. La carenza globale di vaccini. I ritardi nelle consegne a Bruxelles delle case produttrici Pfizer, Moderna e Astra Zeneca. Il no di Biden all’export di dosi fuori dagli USA. La “benedizione” della rivista medica Lancet che ha giudicato il vaccino russo efficace al 91,6%. Facendo schizzare la domanda.

Poi, due eventi chiave. Il 13 febbraio l’Ungheria di Victor Orbán, non raramente sponda delle posizioni di Putin in Europa, è il primo paese UE a rompere i ranghi per iniziare a somministrare il vaccino russo, scavalcando l’Ema. Anche grazie a questa decisione, l’Ungheria diventa il Paese dell’UE che ha somministrato più dosi di vaccino (esclusa Malta). Orbán, per la cronaca, si è vaccinato con il siero cinese di Sinopharm.

Il 9 marzo il fondo sovrano russo (RDIF) che detiene il brevetto di Sputnik V annuncia un primo accordo europeo per produrlo in Italia. E discussioni con Spagna, Francia e Germania. Promettendo “100 milioni di dosi all’Europa entro giugno”.

Per ora c’è solo un memorandum d’intesa: nessuna previsione di tempi e quantità. L’ok dell’EMA necessario per venderlo nella UE “non arriverà prima di giugno”, ammette il direttore del fondo russo, il finanziere Kirill Dmitriev. Quando altri vaccini anti-Covid saranno sbarcati in Europa e forse per Sputnik sarà too little, too late. Ma l’obiettivo simbolico è raggiunto: dimostrare che Mosca può vendere anche alta tecnologia oltre a gas, petrolio e armi.

Il 15 marzo la sospensione temporanea in molti paesi membri di AstraZeneca fa temere altre fughe in avanti. Persino Angela Merkel con Mario Draghi si mostra possibilista su Sputnik, fermo restando il via libera EMA. “Non ne abbiamo bisogno” frena la Commissione. Mosca risponde invitando a “non politicizzare” le questioni sanitarie, ma è lo stesso Putin a fare “diplomazia virale” telefonando personalmente all’austriaco Sebastian Kurz e Merkel per spingere il “Gam-COVID-Vac”. Un attivismo diretto rivelatosi controproducente per il farmaco: Sputnik V ormai per tutti è “il vaccino di Putin”. Visto con sospetto anche per quel nome scelto per il mercato estero, che richiama la guerra fredda, la corsa sovietica allo spazio.

E tra i paesi dell’UE che un tempo erano membri del blocco sovietico il “sì” autonomo al vaccino russo incrina persino la tenuta dei governi.

In Slovacchia l’arrivo del primo lotto di Sputnik V su un volo militare scatena una crisi che porta alle dimissioni del ministro della Salute, accusato dai colleghi di coalizione di “aver messo in dubbio l’orientamento filo-occidentale del paese”, e poi a catena di altri cinque ministri e del capo del governo. La distribuzione viene bloccata. In Repubblica Ceca, il presidente Zeman che aveva chiesto personalmente in una lettera a Putin le fiale vuole silurare il ministro Blatny che si è opposto. Scontato il niet a Sputnik della Polonia. Per la premier lituana Simonyte è “un’altra arma di guerra ibrida”. Infine, fuori dall’UE, l’Ucraina lo ha vietato come “proveniente da uno stato aggressore”, mentre Mosca inviava le proprie fiale nelle regioni separatiste filo-russe del Donbass.

Unico “entusiasta” il dittatore Lukashenko a Minsk. Che dopo aver definito la pandemia una ‘psicosi’, a fine dicembre è stato il primo fuori dalla Russia ad adottare Sputnik V. Mentre in esilio l’oppositrice Tsikhanouskaya chiedeva vaccini europei per i bielorussi, naturalmente senza ottenere risultati.

Un carico di dosi di Sputnik V diretto in Macedonia

 

“Più che una scelta sanitaria, la volontà di utilizzare il vaccino russo ormai è diventata una sorta di test geopolitico per i paesi dell’Europa centro-orientale. Come dire, morte o Sputnik”, chiosa Mark Galeotti, esperto di sicurezza russa all’University College di Londra. Intanto, i membri occidentali della UE attendono il parere dell’EMA, sperando di riuscire a ottenere per allora forniture più differenziate, in modo da diluire il peso politico del “vaccino di Putin” nella campagna di immunizzazione dell’Unione Europea.

Ma il core business è altrove.

“Registered in 56 countries”, vanta il profilo Twitter di @Sputnikvaccine, vetrina social del farmaco russo con oltre 200mila follower, descrivendolo come “un vaccino per tutta l’umanità”. Finora solo una ventina di Paesi lo utilizzano.

Storici partner di Mosca come Iran, Algeria, Serbia e Venezuela, clienti inattesi come gli Emirati Arabi o le Filippine. E paesi poveri che hanno poche alternative. È qui, tra i lasciati indietro dal Covax (finora Mosca non aveva aderito al progetto ONU dicendo di preferire accordi bilaterali, ma giorni fa RDIF ha chiesto di entrarvi) che Sputnik avanza più spedito. Presentandosi come alternativa alle rapaci multinazionali farmaceutiche. Strumento di scambio diplomatico e influenza commerciale. Economico, più facile da trasportare e conservare: “Costa meno di 20 dollari, due volte meno di quello statunitense”, ricorda Dmitriev alla CNN. Un “vaccino Lumumba” insomma, in memoria dell’Urss terzomondista e del leader congolese filosovietico e anticolonialista simbolo della “amicizia dei popoli” per Mosca.

In testa agli interessati c’è l’America Latina. Il cortile di casa di Washington duramente colpito dal Covid. Apripista l’Argentina, il paese che finora ha ricevuto più dosi al mondo di Sputnik fuori dalla Russia: 2,5 milioni consegnate finora su 20 milioni negoziate. Anche qui è valsa la diplomazia diretta: una telefonata di Putin per vincere le diffidenze, e a fine gennaio il presidente Alberto Fernandez si è inoculato per primo il siero russo divenendone testimonial nel continente. Il Messico aspetta 24 milioni di dosi e ne ha ricevute 200mila. La Colombia, primo alleato USA nella regione, ci sta pensando. Mentre Washington fa pressioni su Bolsonaro perché rifiuti Sputnik in Brasile.

“Possiamo fornire il vaccino a 700 milioni di persone fuori dalla Russia quest’anno”, azzarda Dmitriev. “I maggiori produttori saranno India, Cina e Corea del Sud”. Si punta all’esternalizzazione.

Ma la Russia fatica a stare al passo con la domanda. Molti paesi hanno ricevuto finora solo dosi simboliche. E la produzione estera su larga scala non è ancora partita. La stessa India dove RDIF ha annunciato accordi di produzione con 4 società, non ha ancora autorizzato Sputnik per l’uso interno, chiedendo ulteriori test.

Finora la Russia ha prodotto in patria circa 13 milioni di set vaccinali. Di questi oltre 4 milioni sono andati all’estero. Meno del 5% confezionati in Russia, come a dire che non si tratta di dosi sottratte ai cittadini russi, assicura Dmitriev. Ma i conti non tornano.

Dove la politicizzazione e la fretta pesano di più sulle sorti del vaccino, è in patria. La campagna di massa partita in Russia a gennaio non decolla. Nemmeno tra i medici. Il ministro della Salute Murashko aveva promesso di immunizzare entro luglio il 60% dei russi. Ma finora, secondo lo stesso Putin, al 22 marzo solo 6,3 milioni avrebbero ricevuto la prima dose, e 4,4 anche la seconda, su 144 milioni di russi.

Cacciatori di renne siberiani ricevono fiale di vaccino

 

“Se continua cosi ci vorrà oltre un anno” stima Alexander Dragan, data analyst indipendente russo che denuncia le discrepanze nei numeri tra centro e regioni, la scarsa trasparenza sui dati e le morti in eccesso nel paese. La Russia con 4,5 milioni di infezioni è quinta al mondo per casi di coronavirus in numeri assoluti.

Ci sono problemi logistici di distribuzione e di produzione del vaccino: in molte regioni le fiale vengono consegnate a singhiozzo, e arrivano notizie di appuntamenti per i vaccini annullati. E i sondaggi certificano che il 62% dei cittadini non vuole vaccinarsi, specie i giovani. I russi non si fidano delle autorità. E lo scetticismo investe anche la pandemia: il 64% crede che il virus sia “un’arma biologica creata artificialmente”.

Del resto, i media e le autorità locali fanno poco per pubblicizzare l’iniezione. Tanto da far pensare a molti che Sputnik sia un “vaccino da esportazione”, non concepito per proteggere i russi. Il fatto che gli annunci sul vaccino vengano sempre da politici e non da esperti non aiuta. Come l’ambiguità sulla pandemia: dopo l’estate il Cremlino non ha più deciso lockdown. Anche per evitare misure onerose a sostegno di imprese e cittadini.

Per Dragan, “il vero problema è ciò che lo Stato comunica ai cittadini. Prendete il Primo Canale della Tv statale. La Russia sembra già vincitrice. Vanno in onda storie su come la pandemia si stia gradualmente ritirando. E i successi internazionali del nostro vaccino. Nulla che incoraggi i russi a farsi vaccinare. Nel frattempo, sempre secondo il Primo Canale, negli altri paesi c’è il collasso della sanità, guerre di vaccini e sogni di Sputnik. Vecchi che muoiono, effetti pericolosi, problemi di forniture e inefficienza. Solo che così la gente potrebbe capire non che Sputnik è meglio di Pfizer, ma che i vaccini per il coronavirus fanno morire la gente. Mentre il rischio di ammalarsi in Russia sembra minimo”, scrive.

Ed è così che Putin, il 22 marzo, si è finalmente deciso a dare l’esempio: “Mi vaccino domani”, ha annunciato. Lo seguiranno?