La transizione energetica dell’Africa: tra sfide demografiche ed energia pulita
La rapida crescita demografica ed economica dell’Africa sub-Sahariana ha cominciato a sortire i propri effetti anche sulla transizione energetica del continente. Nonostante in Africa viva oltre il 17% della popolazione mondiale, il continente consuma solamente il 4% dell’energia globale; inoltre, il 70% della domanda energetica del continente (700 terawatt/ora) è fagocitato dalle economie di Nord Africa e Sud Africa. In tutta l’Africa, oltre 600 milioni di persone non hanno accesso all’energia elettrica e quasi un miliardo non dispone di fonti di energia pulita per cucinare.
A leggerla attraverso questi dati, il settore energetico sembra essere un tallone d’Achille per lo sviluppo economico e umano del continente. Tuttavia, grazie all’abbondanza di risorse energetiche e ai progressi tecnologici, oggi l’Africa ha l’opportunità unica di poter introdurre e implementare strategie energetiche a minor tenore di carbonio: un modello con basi ben diverse da quello a cui assistiamo in altre parti del mondo.
Nel 2015, l’Unione Africana adottava l’Agenda 2063, ossia un piano a lungo termine di “sviluppo inclusivo e sostenibile” per inquadrare la transizione energetica del continente. Il piano è stato poi integrato nella legislazione di oltre 30 paesi. L’aspirazione di tale documento programmatico è rendere l’Africa un continente autosufficiente dal punto di vista energetico, puntando soprattutto su energia pulita e sostenibile da un lato e su un drastico miglioramento delle infrastrutture per la distribuzione dall’altro.
Nonostante un peso attuale abbastanza basso sul totale del continente, sarà la domanda energetica dell’Africa subsahariana a conoscere la crescita più significativa nei prossimi 20 anni. L’insorgenza di conglomerati di famiglie a medio e alto reddito – un fenomeno già in atto un po’ ovunque nella fascia tropicale – sarà il fattore determinante per la diversificazione delle fonti, oltre che essere la spinta per un miglioramento della rete di distribuzione e in ultima analisi per una crescita organica di tutto il settore energetico.
Nel mix energetico, due fonti energetiche sono destinate a guidare la transizione con la loro crescita: le rinnovabili e il gas naturale.
Il continente con le più ricche risorse in tema di energia solare oggi consuma solamente l’1% del solare mondiale (5GW), un contributo che è destinato a quintuplicare nei prossimi due decenni. Stesso rapporto per il gas naturale, che passerà dal 5% al 25% entro il 2040. La strategia africana punta molto sui nuovi giacimenti scoperti negli scorsi anni in Mauritania, Mozambico, Senegal, Sudafrica e Tanzania, che permetteranno all’Africa di produrre fino al 40% del totale globale. È bene ricordare comunque che il gas naturale è considerato un combustibile fossile “di transizione”, tanto che negli scenari europei più ambiziosi si cercherà inevitabilmente di limitarne l’importanza, almeno nel lungo periodo.
Ad ogni modo, le previsioni a medio-lungo termine riposano sull’efficienza energetica; grazie a questo scenario, se in media le economie subsahariane vedranno il PIL attuale impennarsi fino a cinque volte quello attuale, questo sarà possibile con una domanda energetica che è solo il doppio dell’attuale. Un’efficienza che si spiega con la centralità di gas ed energie pulite.
Fonti energetiche a basso impatto ambientale sono infatti destinate a diventare la chiave di volta per l’Africa subsahariana, tanto che i due scenari più in voga – “Africa Case” e “Stated Policies Scenario” – danno per assodata una divergenza significativa da carbone e petrolio. Secondo l’African Energy Outlook dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, “con le giuste politiche a supporto dell’espansione di energia pulita, l’Africa potrebbe diventare il primo continente a far registrare una crescita economica ed industriale in cui le energie pulite hanno un ruolo di primissimo piano”. In tal senso, grandi attori internazionali si sono mobilizzati per esplorare le potenzialità dell’idrogeno verde, una fonte energetica alternativa che con nuove le tecnologie potrebbe presto rappresentare una priorità d’investimento.
Diversi paesi chiave stanno già mettendo in atto strategie volte non solo a migliorare la distribuzione (che rimane la sfida principale) ma anche a far da apripista per altri attori economicamente meno importanti.
Il Kenya è forse l’esempio più virtuoso in tema di distribuzione. Nairobi ha promosso un aumento dell’elettrificazione delle zone periurbane senza precedenti nell’ultimo lustro. Ad oggi, oltre il 75% della popolazione ha accesso da energia elettrica e l’attuale governo mira a raggiungere la copertura totale entro il 2022: un unicum nell’Africa subsahariana. Il Kenya è anche uno dei pochi paesi ad aver sviluppato una strategia per la produzione di energia geotermica (attualmente in fase di implementazione). L’obiettivo dichiarato è di portare il geotermico al 50% del pacchetto di energia sostenibile. Un pacchetto, questo, che ha visto notevoli progressi nella scala di produzione, in larga parte grazie all’abilità di attrarre investimenti privati. Un ulteriore sviluppo di questo ramo permetterà di soddisfare una domanda in netta crescita, ed è un aspetto su cui il governo sembra puntare particolarmente.
La Repubblica Democratica del Congo (RDC) si sta muovendo invece in un panorama completamente diverso. Le ricchissime potenzialità del bacino imbrifero permettono alla RDC di produrre la quasi totalità del fabbisogno di energia elettrica da impianti idroelettrici. Inoltre, i progetti di sette ulteriori dighe sull’Inga promettono di farne addirittura un esportatore per i paesi limitrofi. Tale progetto sembra rendersi necessario dal momento che il governo è intenzionato ad espandere la rete di distribuzione per garantire finalmente energia elettrica alla totalità della popolazione (se riuscisse a coprire l’intero paese, e tenendo conto di industrializzazione e popolazione crescenti, la domanda di energia crescerebbe di 10 volte in 20 anni, rendendo di fatto imprescindibile e necessaria la crescita dell’input energetico). Tuttavia, la rete di distribuzione è ancora lacunosa, e interventi per raggiungere le ampie zone rurali sarebbero da considerarsi prioritari.
Infine, vale la pena esaminare la situazione della Nigeria, la più grande economia del continente subsahariano. La Nigeria è un buon esempio della volontà di intensificare la produzione di gas naturale e al contempo di puntare sulle rinnovabili (in questo caso energia solare). Ad oggi, l’80% dei generatori di energia è alimentato a gas, ma il restante 20% è quasi interamente supportato da petrolio. Da qui al 2040, il governo federale ha manifestato l’intenzione di incentivare l’utilizzo dell’enorme potenziale fotovoltaico, andando a soppiantare quel 20% che oggi fa capo al fossile. Uno dei problemi della Nigeria, tuttavia, rimane la bassa densità di distribuzione e i frequenti cali di tensione, una situazione che rischierebbe di frenare l’imponente sviluppo delle industrie, soprattutto nella regione di Lagos – una delle zone con la crescita demografica più imponente al mondo.
La vera sfida del continente africano per gli anni a venire sarà la capacità di assicurare energia elettrica pulita a tutta la popolazione. Di sicuro, l’Africa sta impostando il proprio orizzonte energetico lontano dal fossile. Ma capitalizzare il potenziale del gas naturale e soprattutto delle rinnovabili significa anche rimediare ad una rete spesso inadeguata, sia per capacità che per estensione.
Un’integrazione transnazionale nella generazione di energia, unita a miglioramenti locali nella gestione della rete elettrica riuscirebbe a portare energia sicura e a basso costo a tutta la popolazione. L’intero continente, al momento, è lontano dall’efficienza energetica richiesta – sia negli usi quotidiani che nei processi industriali – e l’ottimizzazione delle ampie risorse disponibili è imprescindibile per sostenere uno sviluppo armonioso.