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La Spagna dei Popolari e il quadro europeo

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L’ampio successo ottenuto dal Partido Popular (PP) alle elezioni politiche spagnole del 20 novembre era stato pronosticato per mesi da tutti gli osservatori. Tuttavia, il governo di Mariano Rajoy, un monocolore che poggerà su una maggioranza assoluta dei seggi in parlamento, potrebbe rappresentare un importante elemento di novità rispetto all’attuale quadro politico europeo.

Intanto perchè si tratta dell’unico governo monopartitico tra quelli oggi insediati nelle capitali del debito: ad Atene, Roma e Lisbona, gli esecutivi possono infatti contare su coalizioni di partiti più o meno estese. Il PP dovrà invece assumersi interamente la responsabilità delle dure politiche anticrisi richieste dalla BCE, dall’UE e da Berlino; la maggioranza assoluta dovrebbe garantire rapidi passaggi parlamentari, ma la situazione economica del paese è molto grave sia in termini di disoccupazione (21%), sia perchè la spesa pubblica ha già subito pesantissimi tagli negli ultimi due anni di governo socialista.

Finora gli spagnoli, al di là del movimento degli indignados, hanno complessivamente accettato le riduzioni di spesa e delle tutele per i lavoratori già decise: gli scioperi proclamati contro queste scelte sono falliti e gli elettori si sono accontentati di punire nelle urne il passato esecutivo, considerato incapace di far fronte alla gravità della crisi. Ma se i dati economici resteranno cattivi non è detto che la pace sociale resisterà: il partito al potere, che controlla anche le principali regioni e città, si troverà nella condizione di pagare, da solo, un pesante prezzo politico, se ai sacrifici non dovessero seguire risultati tangibili. Rajoy potrà quantomeno contare su un periodo di iniziale tranquillità da questo punto di vista, perchè il partito socialista è uscito con le ossa rotte dalle elezioni e avrà bisogno di qualche tempo per riorganizzare la sua struttura.

Inoltre, l’uscita di scena di José Luis Rodríguez Zapatero offre alla Spagna l’occasione di influire con un diverso peso sull’asse franco-tedesco che finora si è posto alla guida politica della strategia europea anticrisi. Il governo socialista infatti, per una serie di errori di sottovalutazione dell’entità della tempesta economica che si stava abbattendo sul paese, si è trovato già dal maggio 2010 in una situazione di quasi commissariamento della propria politica economica da parte dell’UE e della BCE. La “serietà” promessa da Rajoy nell’applicare il programma di riforme economiche (i cui contenuti non sono però stati definiti con precisione in campagna elettorale) dovrebbe in teoria conferire alla Spagna quel capitale di credibilità da spendere per ottenere maggiore voce in capitolo in sede europea.

Anche l’insediamento del governo Monti influirà sulle relazioni continentali del paese iberico. Il nuovo presidente del governo spagnolo potrà decidere di puntare su un’alleanza con l’Italia in un’ottica di riequilibrio dell’asse franco-tedesco, potendo contare sulla credibilità di cui gode Monti presso le istituzioni europee, e sul fatto che gli appuntamenti elettorali del 2012 e del 2013 potrebbero far saltare le poltrone di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel. Oppure, potrebbe scegliere di intraprendere una strada di contrapposizione – o quantomeno competizione – con Roma, per accreditarsi come l’unico interlocutore affidabile tra i paesi indebitati dell’Europa mediterranea. Rajoy ha già dichiarato più volte che la situazione spagnola è “molto diversa” da quella italiana.

Le relazioni di Mariano Rajoy con la cancelliera tedesca, anche se non strettissime, sono certamente migliori di quelle che legavano Angela Merkel a Zapatero: la Spagna, indipendentemente dalla strategia che deciderà di adottare, resterà nello scenario politico europeo complessivamente allineata all’asse franco-tedesco e opposta a David Cameron e ad alcuni governi dell’Europa centro-orientale. È uno schieramento che diverge soprattutto nella discussione sulle modifiche ai Trattati, in particolare a proposito dell’inserimento di nuovi impegni obbligatori per gli stati, tra cui la stabilità dei bilanci. D’altronde quest’ultima è una regola che i popolari spagnoli, insieme ai socialisti, hanno già sancito come valida a livello regionale in una riforma costituzionale varata a tempo di record poco prima delle elezioni.

I mercati hanno riservato un’accoglienza non certo calorosa a Mariano Rajoy (in ogni modo, il risultato elettorale era scontato anche per gli operatori e non si può certo parlare di una sfiducia personale): due giorni consecutivi di cali in borsa (in linea con le altre piazze europee), e un livello di spread coi titoli tedeschi tornato pari a quello italiano, dopo essere stato negli ultimi mesi anche di 100 punti inferiore. Se la sfiducia dei mercati, che costringe il governo di Madrid a pagare quasi il 7% di interesse sui propri titoli di stato, non si dovesse ammorbidire in un lasso di tempo ragionevole, la permanente criticità della situazione spagnola potrebbe rappresentare un motivo di frizione con la Germania.

Infatti, un eventuale beneficio per il bilancio pubblico derivante da un programma di tagli, a queste condizioni, sarebbe in gran parte ingoiato dallo sforzo per pagare crescenti interessi sui bonos emessi dallo stato: si rivelerebbe dunque poco utile, benchè costoso economicamente e politicamente. In quest’ottica, Rajoy ha già espressamente chiesto alla BCE di non trascurare l’acquisto di titoli di stato spagnoli nel periodo di interim tra il vecchio e il nuovo governo, che si concluderà tra circa un mese. Ma l’intervento morbido della BCE, basato sull’impostazione monetarista della Bundesbank che privilegia la lotta all’inflazione, non sarà per ora in grado di invertire stabilmente la tendenza dello spread, così com’è già accaduto nei casi greco e italiano.

Perciò, la Spagna potrebbe unirsi al fronte sempre più numeroso di coloro che spingono perchè la Germania ceda su due punti fondamentali della strategia europea anticrisi: l’adozione degli Eurobond e la trasformazione della BCE in prestatore di ultima istanza della zona Euro.

Come noto, Angela Merkel si è finora detta contraria a entrambe le soluzioni. Ma un’eventuale vittoria del socialista François Hollande alle presidenziali francesi di maggio 2012 potrebbe isolare la cancelliera tedesca su questo tema. Si concretizzerebbe allora la possibilità di una pressione congiunta da parte di Francia, Italia e Spagna, cioè i grandi paesi che più soffrono dell’aumento dello spread, per convincere la Germania a sacrificare uno dei due pilastri della sua politica economica: rinunciare alla priorità della BCE sulla lotta all’inflazione in favore di un impegno più deciso nell’acquisto di titoli del debito, in cambio della codifica nei Trattati europei dell’obbligo alla stabilità dei bilanci.

Si tratta di scenari condizionati dal prossimo andamento dell’economia e della finanza. Ma l’avvicendamento al timone del governo spagnolo potrebbe rappresentare un momento più decisivo di quanto si pensi, nel quadro della ridefinizione della mappa del potere europeo.