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La Russia nel Mediterraneo, tra ambizioni e ostacoli

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È ormai un luogo comune affermare che la Russia sia riuscita a rafforzare la propria presenza nel Mediterraneo dopo l’avvio della campagna militare in Siria nel 2015.

Dal punto di vista geopolitico, Mosca ha effettivamente acquisito una certa autorità come “mediatore equo e imparziale” in diversi conflitti regionali, a partire dalla Siria e dalla Libia. È stata inoltre in grado di mantenere rapporti positivi e proficui con quasi tutti i paesi della regione, compresi quelli divisi da aspre dispute. La Russia, poi, ha intensificato la presenza dei suoi militari e della sua flotta nel Mediterraneo, prima in Siria (Khmeimim e Tartus) e ora anche in Sudan. Anche dal punto di vista geoeconomico Putin ha messo a segno qualche risultato positivo specialmente in ambito energetico, che è poi il suo interesse principale: è il caso dell’inaugurazione del gasdotto Turkish Stream; dell’acquisizione del 30% del giacimento di gas egiziano “Zohr”; dell’invito a svolgere attività di esplorazione in Siria e del parziale successo sul fronte della cooperazione energetica con l’Iraq e il Libano.

Il Mediterraneo e la parte più occidentale dell’Eurasia

 

Il 2020 e i primi mesi del 2021, tuttavia, hanno visto emergere nuove sfide che potrebbero limitare le opportunità della Russia di compiere ulteriori progressi. Alcune di queste possono essere definite “tradizionali”, nel senso che sono intrinseche alla regione: la crescente competizione geopolitica e il rischio di escalation dei conflitti in corso.

In particolare, abbiamo la rinnovata attenzione alla regione e i tentativi di depotenziare l’influenza di Mosca da parte della nuova amministrazione statunitense; la sempre più marcata assertività di attori regionali e non, come la Turchia, le monarchie del Golfo e la Cina; l’escalation delle tensioni regionali  attorno alla Libia, tra la Turchia e la Grecia e tra la Turchia e Cipro. Questi fattori sono più rilevante in un’ottica di breve-medio termine.

Nel lungo termine, invece, c’è una sfida di tipo nuovo, legata all’agenda UE per la transizione energetica e la politica climatica, che è destinata a ridefinire i rapporti tra l’Europa e i suoi vicini meridionali, trasformando l’interno scenario delle relazioni energetiche e della connettività nella regione.

 

Una crescente competizione geopolitica. Le priorità regionali della Russia comprendono interessi sia politici sia economici, con un intreccio di accordi energetici e cooperazione tecnico-militare. In effetti, si può constatare che, negli ultimi due anni, le opportunità della Russia di condizionare l’andamento dei conflitti regionali perseguendo i propri interessi politico-economici si siano ridotte.

Nel conflitto libico, l’influenza russa è minore che in passato: innanzi tutto per via dell’appoggio militare della Turchia al governo di accordo nazionale, e in secondo luogo per il contributo degli Stati Uniti al cessate il fuoco e il conseguente appoggio al nuovo governo ad interim e al Primo Ministro Abdul Hamid Dbeibah (in carica da metà marzo). Il nuovo governo libico si è già dimostrato pronto a una stretta cooperazione con Berlino, Parigi e Roma, i cui ministri degli Esteri si sono subito recati a Tripoli in missione congiunta.

Il ruolo sempre più centrale della Turchia e la stessa presenza russa sembrano aver fatto superare alla Francia e all’Italia la loro precedente contesa per il controllo della Libia. Il nuovo primo ministro libico si è detto pronto alla cooperazione economica e allo sblocco dei contratti con società europee, ma al tempo stesso è intento a mantenere un alto livello di collaborazione con la Turchia, confermando l’adesione al controverso accordo marittimo bilaterale del 2019 che ha fatto infuriare la Grecia e Cipro. Nonostante il dichiarato appoggio formale al nuovo governo, la Russia non è ancora riuscita a ottenere garanzie per il rinnovo dei precedenti contratti e progetti. In teoria, Gazprom e Tatneft mantengono i diritti alle concessioni assegnate loro durante il regime di Muammar Gheddafi. All’atto pratico, però, tutto dipende ora dalla volontà del nuovo governo, che sembra più propenso a cedere le risorse petrolifere in cambio di un solido sostegno da parte della UE e degli Stati Uniti. I recenti sviluppi lasciano supporre che Mosca e Ankara coltiveranno in Libia relazioni più competitive che collaborative, e difficilmente la Russia potrà aspettarsi che la Turchia assecondi i suoi interessi economici a Tripoli. Inoltre, il petrolio libico, qualora ne aumentasse la disponibilità sulla piazza internazionale, potrebbe diventare un ennesimo fattore di volatilità dei prezzi energetici globali, a potenziale detrimento della Russia.

Un’altra fonte di competizione geopolitica regionale che può influenzare gli interessi energetici della Russia sta nei progetti in via di sviluppo nel Mediterraneo orientale. Il consorzio EastMed Forum, e soprattutto l’interesse di Washington per la vicenda, sono visti da Mosca come un attacco alle relazioni tra Russia e Cipro e tra Russia e Grecia. Il governo russo continua a investire nelle relazioni diplomatiche con Atene e Nicosia: proprio per questo, Mosca ha evitato di spalleggiare la Turchia in occasione della sua disputa marittima con la Grecia e Cipro. Schierandosi con Ankara, tra l’altro, la Russia potrebbe compromettere le relazioni con l’Egitto e Israele, a tutto discapito di altri suoi interessi economici.

Le compagnie energetiche russe sono presenti nel Mediterraneo orientale da ormai 6-7 anni, hanno acquisito i loro spazi e trovato i loro partner. Il colosso Novatek ha formato un consorzio con l’italiana Eni e la francese Total per la ricerca di riserve di gas in Libano. Rosneft ha rilevato il 30% del giacimento egiziano Zohr. Le società russe sono state inoltre invitate a esplorare le regioni costiere della Siria e stanno trattando la vendita di gas israeliano in Asia orientale sotto forma di gas naturale liquefatto (LNG).

La Russia ha interesse a partecipare a progetti sul gas nel bacino di Levante. In questo scenario, entrambi i fattori considerati sono deleteri per gli interessi di Mosca: da un lato la deterrenza statunitense nei confronti della Russia (col sostegno all’accordo tra Grecia, Cipro, Egitto e Israele per il gasdotto EastMed e la firma di nuove intese militari con Grecia a Cipro), e dall’altro il proliferare delle dispute tra Turchia e Grecia, Cipro, Israele ed Egitto.

Il terzo fattore geopolitico che incide sugli interessi economici della Russia nel Mediterraneo è dato dalle sanzioni internazionali vigenti. Le sanzioni europee e statunitensi contro Mosca costituiscono il principale freno alla partecipazione delle aziende russe alla ricostruzione siriana e alla cooperazione con terze parti nel territorio siriano.

L’Africa sta chiaramente diventando una nuova arena in cui le sanzioni saranno usate come deterrente al coinvolgimento economico della Russia: il caso dell’Algeria lo dimostra. Per quasi tutto il 2019 si è parlato di un imminente ingresso di Rosneft nel progetto di sfruttamento di gas di In-Amenas in Algeria. Il gestore del progetto, la major britannica BP, puntava a realizzare circa 2 miliardi di dollari con la vendita della sua quota di partecipazione, pari al 45,89%, ma la riluttanza di un altro socio, la società norvegese Equinor, a rischiare nuove sanzioni da parte delle autorità statunitensi ha portato al fallimento dell’operazione. Tra le aziende occidentali sta chiaramente emergendo una linea comune di rifiuto dei progetti congiunti con società russe (specie se statali) in Africa, oltre che nel Mediterraneo.

 

I nuovi scenari della transizione energetica. Il Green Deal europeo e l’obiettivo della decarbonizzazione dell’economia UE entro il 2050 modificheranno inevitabilmente i rapporti tra l’Europa e i suoi vicini nel Mediterraneo, ma anche quelli con i partner intenti a cooperare con i paesi della Regione.

A ben vedere, il processo è già in atto. Il 9 marzo 2020 la Commissione Europea ha annunciato una nuova strategia per l’Africa, articolata in cinque punti chiave – transizione verde, trasformazione digitale, crescita sostenibile, pace e governance, migrazione e mobilità. Nel febbraio 2021 a Bruxelles è stata presentata una nuova “Agenda per il Mediterraneo”: la crisi che incombe sulla regione causa Covid-19 offre all’Europa e al suo vicinato l’opportunità unica di una cooperazione mirata a una ripresa ecologica, digitale, sostenibile ed equa. Cinque delle dodici aree prioritarie di cooperazione identificate coprono i temi della transizione verde, dello sviluppo sostenibile, della connettività regionale, della digitalizzazione, della crescita green e dell’emergenza climatica.

Da questa trasformazione verde scaturiscono due grandi questioni per la Russia. Primo, i paesi mediterranei si allineeranno alla nuova agenda UE, e quanto velocemente? Secondo, i progetti di cooperazione energetica regionale che vedranno o vedono già coinvolta la Russia saranno economicamente sostenibili in una prospettiva di lungo termine?

Il finanziamento complessivo della nuova “Agenda per il Mediterraneo” ammonterà a 7 miliardi di euro, con la prospettiva di un incremento fino a 30 miliardi. Del resto, l’UE ha bisogno dei suoi vicini meridionali per realizzare il suo obiettivo: l’Africa settentrionale è potenzialmente ricca di energia solare ed eolica.

In un contesto del genere, e per partecipare ai progetti energetici nel Mediterraneo assieme alle aziende europee, le società russe non avranno altra scelta che seguire le nuove regole del gioco. Ciò significa che la Russia diventerà un rule-taker, anziché un rule-maker. Si porrà poi un’altra questione: Mosca sarà abbastanza competitiva da proporre soluzioni tecnologiche in linea con i nuovi standard green per partecipare ai progetti di cooperazione internazionale? Il primo banco di prova sarà probabilmente l’Algeria, visto che i suoi rapporti energetici con l’UE sono piuttosto tesi e la Russia non ha ancora perso la speranza di inserirsi in quel paese.

In ogni caso, la strategia green di Bruxelles apre nuovi e importanti orizzonti. Il primo è fissato al 2030. Nei prossimi 10 anni gli scambi di gas e petrolio che interessano la UE non subiranno contraccolpi: l’Europa intende ridurre le importazioni solo lievemente di qui al 2030, pur con un abbattimento del 55% delle emissioni. Ciò significa che i progetti in corso nel Mediterraneo con il coinvolgimento russo saranno economicamente praticabili per almeno un decennio. Dopo il 2030, tuttavia, la situazione cambierà: l’Europa taglierà drasticamente le importazioni di gas e petrolio. L’UE potrebbe passare da fornitori con tecnologie estrattive carbon-intensive, come quelli russi, all’Arabia Saudita, dove le emissioni sono quasi la metà10. Il meccanismo di border carbon adjustment farà inoltre diminuire le esportazioni russe, sempre per via della carbon intensity.

Insomma, il Green Deal europeo, come anche il “Piano per la rivoluzione dell’energia pulita e la giustizia ambientale” di Joe Biden, diventeranno certamente importanti fattori di trasformazione geopolitica e geoeconomica del Mediterraneo. Tale elemento si aggiungerà alla rivalità geopolitica già in essere. La Russia fronteggia tali sfide mentre fa i conti con una sempre più forte azione di deterrenza da parte degli Stati Uniti e dell’UE e con l’accresciuta competitività di attori regionali. In uno scenario simile, Mosca ha assolutamente bisogno di una nuova strategia proattiva – e non reattiva.